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Tempeste e stabilizzazioni

Paolo Pombeni - 28.06.2023
Elezioni Molise 2023

Siamo di fronte ad un quadro molto mosso sia sul piano internazionale che su quello interno. Sul primo fronte l’attenzione è concentrata su quanto sta accadendo in Russia, ma anche in Europa non mancano movimenti (successo dei conservatori in Grecia, qualche impennata locale dell’estrema destra in Germania). Sul secondo fronte c’è un quadro più che mosso nella maggioranza al governo (tensioni Salvini-Meloni, incertezze sulle decisioni da prendere), mentre nell’opposizione di sinistra frana una volta di più l’alleanza PD-M5S.

Sono tutti fattori che non andrebbero sottovalutati. Il contesto internazionale ha ricadute inevitabili sugli equilibri geopolitici e la difficoltà di capire cosa stia accadendo a Mosca complica le cose. Si intuisce che potrebbe esserci in atto uno scontro di Palazzo all’interno del sistema oligarchico del Cremlino, ma per ora i contorni di quanto sta accadendo non sono chiari. Le lotte intestine hanno tempi in genere non brevi e nelle dittature (tale è il sistema russo) sono giochi al massacro. Naturalmente il fatto che ciò avvenga in un paese che ha 7mila testate nucleari non consente di liquidare il tutto come un loro affare interno che non ci riguarda.

Anche la situazione europea va osservata con attenzione. Da un lato perché è un versante della questione ucraina e dunque della gestione della crisi russa, dall’altro perché sconta sempre più il nervosismo per il quadro futuro degli equilibri nella gestione della UE, con la difficoltà di ridurre tutto al duplice riferimento dell’asse franco-tedesco e dell’alleanza fra popolari e socialisti (che era stata un po’ l’altra faccia di quell’asse).

L’Italia non si trova in condizioni tranquille a gestire questo contesto. Nella “grande politica internazionale” non ha figure capaci di sopperire con il proprio carisma la debolezza di un sistema come il nostro che ha problemi di fragilità nei bilanci e di difficile gestione dei meccanismi dirigenti. Nella politica europea è indebolita dalla assurda ostinazione a non voler ratificare il MES, una battaglia di bandierine che serve solo a fare un po’ di propaganda.

Si potrebbe dire che però il nostro paese ha trovato una sua stabilizzazione politica con un consenso alla destra-centro che le opposizioni non riescono a scalfire. Lo dimostrano anche le recenti elezioni in Molise dove il cosiddetto campo-largo delle opposizioni di sinistra ha registrato l’ennesimo insuccesso. Non è prendendo limonate e caffè insieme, né correndo a marciare in tutti i pride e le manifestazioni di piazza che si recupera il consenso perduto. I vari grilletti parlanti che girano per i talk show a ripetere che la destra-centro governa col voto di un elettore su quattro si raccontano la favola di un astensionismo che è fatto di gente che sogna solo di tornare a votare la sinistra dura e pura. Ma è una favola della buona notte, a cui segue immancabilmente un risveglio amaro.

Il fatto è che le due componenti della sinistra non vogliono accettare che il mondo è cambiato, che sono finiti sia gli entusiasmi per la politica del “vaffa” sia quelli per le intemerate degli utopismi dell’individualismo irresponsabile. Quella roba può ancora fare folclore, ma a quel livello rimane. Ci sarebbe bisogno di mettere in campo proposte di soluzione per i molti problemi che affliggono la nostra realtà quotidiana: proposte realizzabili, che pur se non possono cancellare di un colpo i disastri accumulati in vari decenni, possono avviare miglioramenti anche significativi.

Certo occorrerebbe il coraggio di sporcarsi le mani. Proviamo a dare un esempio banale. È vergognoso come il governo sta gestendo l’emergenza post-alluvione: è in ritardo enorme nel nominare il commissario governativo per le stupidissime impuntature di Salvini (e di un po’ di personaggi di FdI) ed ha lasciato la gestione di questa fase intermedia al ministro Musumeci che si è dimostrato sostanzialmente inetto. Cosa fa l’opposizione? Si bea nel denunciare lo scandalo, insiste sulla nomina a commissario del governatore Bonaccini pur sapendo che non l’otterrà. Se fosse capace sfiderebbe invece il governo nel fare lei dei nomi di personalità di alto livello e non ascrivibili ad alcuna forza politica e accettabili dalla maggioranza: metterebbe nell’imbarazzo le componenti realiste e capaci dell’esecutivo e si co-intesterebbe una soluzione di buon senso guadagnandoci in prestigio presso l’opinione pubblica.

Così si fa politica, così si crea alternativa e si spostano voti. Ma per farlo occorrerebbero in politica classi dirigenti formate all’azione pubblica e non alle sceneggiate sui media e alla rincorsa all’applauso dei vari fan-club che abbondano in questo paese. Naturalmente il discorso vale anche per la destra centro che però gode del vantaggio di non doversi confrontare con una opposizione in grado di metterla alle strette: fin che questa fa demagogia, la destra non è corto di contro-demagogia da opporle.

Qui dobbiamo però tornare al discorso iniziale. I tempi sono troppo difficili per consentire che la politica si faccia sventolando bandierine per l’elettorato, mentre i dirigenti negoziano più o meno sottobanco (anzi a volte senza neppure preoccuparsi di nasconderlo) distribuzioni senza regole di posti agli amici e sprezzo per le regole del sistema giuridico (la giustificazione che questo è non di rado mal gestito e piegato ad interessi di parte è una scusa per infrangerlo nei molti casi in cui ciò non avviene). Per ora c’è una fuga nell’astensione dalla partecipazione elettorale e una resistenza delle persone migliori a mettersi a disposizione di un servizio alla collettività.

Ma non durerà ancora a lungo e quando questo incantesimo si romperà non vivranno un passaggio felice né la destra, né la sinistra e, purtroppo, neppure noi gente normale.