Cittadini del mondo
Dopo quasi due millenni bisogna plaudire l’imperatore Marco Aurelio quando sostiene che “schiavo è colui che si sente sottomesso ad una natura capricciosa, cittadino del Mondo è chi riconosce di vivere in mezzo ad una natura governata da leggi rigorose” (I Pensieri”, Mondadori 1974). L’aforisma è quanto mai attuale perché dà origine ad interpretazioni opposte degli eventi “naturali” che si susseguono, fra cui l’attuale pandemia. La visione capricciosa della natura rende l’organizzazione sociale rigida, nello stesso tempo incerta, financo evanescente, e favorisce la concezione misterica dei molti mali che attanagliano i popoli: guerre, carestie, razzismi, sfruttamenti, diseguaglianze, dittature, malattie, epidemie...
E’ quanto è accaduto nel corso dell’emergenza attuale: prima e dopo l’evento acuto scaturito in Cina ha prevalso l’inerzia, finalmente sono state adottate misure organizzativo-socio-sanitarie di contrasto mentre si andavano affinando misure cautelative e strumenti diagnostico-terapeutici. A parte l’incertezza iniziale, tutto ben fatto di fronte alla pandemia conclamata, preceduta dall’epidemia in Wuhan che qualcosa avrebbe dovuto insegnare sotto ogni punto di vista, scientifico e operativo.
E’ bene osservare che le epidemie osservano una certa ciclicità e la loro insorgenza e i loro effetti clinici sono sufficientemente prevedibili e, almeno in parte, conosciuti, evitabili e prevenibili. Sta nell’incrocio del virus con gravi guasti ambientali e defedamenti di organismi umani il meccanismo intimo del suo potenziamento e della sua devastante diffusione.
In sostanza, il periodo che ha preceduto lo straripamento planetario dell’epidemia è stato consumato con sottovalutazione, fino all’omissione, di azioni preventive e di immediato contrasto per la propensione culturale ad agire, more solito, sugli effetti prodotti piuttosto che sulle cause.
Si tratta, a ben guardare, del medesimo metodo a posteriori utilizzato di fronte ai grandi raggruppamenti di malattie cronico-degenerative e neoplastiche: la loro risoluzione, una volta instauratosi il danno, viene attribuita all’esclusiva pertinenza medica e all’organizzazione sanitaria incentrando l’attenzione su lesioni anatomiche ed effetti clinici piuttosto che sulle cause, spesso attinenti a scelte politiche prima ancora che a competenze mediche (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Eppure, sulle diffusioni virali - dalla “spagnola” alla “asiatica”, dalle epidemie influenzali all’HIV, da Ebola alle varie epatiti e alla “mucca pazza”, dalle “aviarie” alla “Sars” e all’attuale Sars-Covid 2 - emergono fattori comuni favorenti e addirittura determinanti la nascita, lo sviluppo e l’acuirsi delle epidemie: le devastazioni ambientali con deforestazioni sistematiche, usi spropositati di antiparassitari e fertilizzanti, inquinamenti di aria, acqua e terra, sfruttamenti eccessivi di risorse naturali, alterazioni climatiche, surriscaldamenti, siccità, insufficienze di controlli internazionali…
Uno studio recente pubblicato sulla Rivista “Science of the Total Environment“, dimostra che il 78% di infezioni e decessi per coronavirus si sono verificate nelle 66 Regioni più inquinate d’Europa da elevate concentrazioni di diossido di azoto (N2O): in testa Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Regione autonoma di Madrid e poi a scalare le altre 61. Che esista una stretta relazione tra coronavirus e inquinamento è stato confermato da tante altre ricerche, l’ultima dell’Università tedesca di Halle-Wittenberg: livelli elevati di smog risultano determinanti nell’innesco e la diffusione esponenziale del processo epidemico. E intanto l’Università di Harvard continua a sostenere che esista un legame stretto e proporzionale fra incrementi del Pm2,5 µm (“particelle solide e liquide, sospese in aria- ambiente prodotte da tutti i tipi di combustione, caratterizzate da lunghi tempi di permanenza in atmosfera, in grado di penetrare in profondità nell’albero respiratorio” Ministero italiano della Salute) ed insorgenza e gravità dell’epidemia virale e che, inoltre, incrementi di 1 mcg/m3 di aria-ambiente sia in grado di determinare innalzamenti del tasso di mortalità fino 15%. Anche la ricerca condotta dalla Società Italiana di Medicina Ambientale, in collaborazione con le Università di Bologna e Bari, conferma che le alte concentrazioni di Pm 2.5 µm registrate nello scorso febbraio nella Pianura Padana, complice l’assenza di precipitazioni piovose e nevose, sono risultate determinanti nell’accelerazione della diffusione epidemica e nell’impennata dei suoi effetti devastanti.
A questi squilibri ambientali, indotti dalla nostra organizzazione sociale e produttiva, va aggiunto il fenomeno di enhancement fornito al virus dalla crescente diffusione fra la popolazione di malattie cronico-degenerative, prima ancora delle età avanzate, che rendono pressoché disarmati gli organismi. La Società italiana di pediatria sostiene da tempo immemorabile che "per avere un anziano sano, dobbiamo avere un bambino curato bene, che abbia dei corretti stili di vita e nutrizionali". Un assioma valido per adolescenti, adulti e, parafrasando il concetto, per l’ambiente in continua evoluzione. Si configura in questo assunto una strategia per evitare, per quanto possibile, la furia di epidemie che trovano alleati solidali in degrado ambientale e malattie cronico-degenerative, che sembrano ormai far parte del corredo della modernità, sebbene pressoché innominabili ma sussurrate e indicate per allusioni e parafrasi.
Intanto, la speranze di imminenti svolte non appaiono realizzarsi, sebbene i cantori dell’inarrestabile marcia del progresso e delle magnifiche sorti e progressive insistano sulla teoria smithiana dell’approssimarsi a macchia d’olio di ricchezza e benessere per tutti (A. Smith, La ricchezza delle nazioni, Newton Compton 1976).
* Già docente di Chirurgia Generale nell’Università di Bologna e direttore di Chirurgia generale negli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna
di Paolo Pombeni
di Stefano Zan *
di Francesco Domenico Capizzi *