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Semestre tedesco. Ritorno all'idea di Europa?

Francesco Cannatà * - 01.07.2020
Merkel e Macron

Ogni sei mesi la Presidenza del consiglio dell’UE passa da un paese dell’Unione all’altro. Oggi, dopo 27 semestri, il compito torna alla Germania. Era dal 2007 che Berlino non usufruiva di questo incarico. A tredici anni da quel momento due sono i punti tra le due presidenze tedesche. Come allora l’Europa si trova di fronte a una grossa sfida politica. Come allora la guida della Germania è nelle mani di Angela Merkel. Nel 2007 la crisi europea aveva la forma del recente fallimento del Trattato per la Costituzione europea, bocciato dal no francese al referendum. Un rifiuto che oltre a segnare l'atto di nascita ufficiale del movimento populista e anti-europeo azzerava anni di tentativi riformisti continentali. Nel 2007 la presidenza tedesca elaborava e approvava un piano che, salvando l’essenziale del progetto di Costituzione, rappresentava il primo passo verso il Trattato di Lisbona. Oggi è il Coronavirus che pone l’Europa di fronte all’ennesimo “compito decisivo”. E anche oggi è Angela Merkel che affronta la situazione. La prova che la dirigente tedesca e il suo paese sono coscienti dell’importanza del momento, si è avuta lunedì 18 maggio. Quel giorno in una teleconferenza comune Angela Merkel e Emmanuel Macron si sono detti pronti a porre le cornici del rilancio economico dell’Unione Europea.  Fisicamente lontani, il presidente parlava da Parigi, la cancelliera da Berlino, i due dirigenti davano prova di unità politica per contrastare la concreta eventualità del disastro economico continentale e il rischio della definitiva frattura politica tra europei.

 

Allo scopo di garantire l’unità del mercato unico e della zona euro minacciati dal corona virus, Francia e Germania proponevano debiti comunitari pari a 500 miliardi di euro. Denaro da versare attraverso il canale del bilancio comune a Stati, regioni e settori dell’Unione più duramente toccati dalla pandemia. A differenza della Francia, per la Germania questo passo significava la rottura con decenni di ortodossia politico-economica tedesca da sempre contraria ad ogni idea di un debito collettivo europeo. Ma sono state le frasi pronunciate subito dopo dalla cancelliera a riflettere la sostanza dell’impegno di Berlino per il nuovo destino dell’Europa. Di fronte alla stampa internazionale Angela Merkel chiariva che i 500 miliardi prospettati per il fondo europeo di ripresa erano “una risposta di corto respiro”.  Le dimensioni della crisi sono tali che per vincere la partita secondo la cancelliera c’è bisogno di “strategie profonde”. Piani da elaborare nella già programmata Conferenza per il futuro dell’Europa, dibattito che ora “occorre ponderare e realizzare in modi differenti  da quanto pensato in precedenza”. Per la democratica cristiana tedesca è infatti arrivato il momento di “discutere seriamente sugli ostacoli che bloccano il funzionamento dell’Europa cosi da porre le basi per il futuro del continente”. Impegni che non escludono l’eventualità della “modifica dei trattati” in modo da rendere la “collaborazione” tra gli Stati del continente “molto più stretta”. Enunciazioni che oltre ad essere di per se notevoli, indicano un forte cambio di passo nell’approccio europeo del più forte Stato dell’Unione. In un sol colpo, e senza grandi turbamenti, Angela Merkel ha indicato di essere pronta a rompere con due solidi tabù del proprio paese, cambiando cosi i termini del dibattito economico europeo. Fino al 18 maggio era scontato che nessuna dissesto statale sarebbe stato contrastato attraverso debiti comuni europei  o da nuovi trasferimenti solidali tra Stati. Su questa linea si trovava, sin in dalla crisi dell’Euro del 2011-2012, anche Angela Merkel. Ora, improvvisa, la virata che ha creato molte aspettative. Un cambiamento fondamentale innanzitutto dal punto di vista politico. Di fronte allo choc brutalmente asimmetrico della mortalità causata dalla pandemia, ci si chiedeva se i governi dei paesi meno colpiti avrebbero fatto prova di solidarietà verso Stati e popoli diventati improvvisamente fragili. Le differenti classi dirigenti nazionali avrebbero scaricato tutto sul tecnicismo di organi come la Banca centrale europea, che non ha però compiti di questo tipo, oppure al Meccanismo europeo di stabilità che può solo concedere prestiti?

L’importanza della svolta, sta inoltre nel fatto che se realmente si compirà, creerà un precedente. In futuro, in casi di bisogno, si potrà riattivare la capacità budgetaria di cui finora l’Europa è stata priva. Senza contare che per assicurare il pagamento del debito che potrebbe ora venire contratto, l’Unione europea dovrà accordarsi su nuove risorse comuni ad esempio una tassa sul carbone oppure imposte sui profitti delle multinazionali delle nuove tecnologie. E, soprattutto la seconda di queste misure, spingerà l’UE a contrapporsi agli USA, costringendo l’intera Unione a porsi il problema della competizione tra le potenze politiche mondiali. Dilemma che in termini più o meno simili, da anni affronta anche la Germania riunificata. Come si vede si tratta di scelte che potrebbero far nascere un circolo virtuoso in grado di smuovere l’UE dall’attuale impasse.

Al proprio semestre europeo la Germania si era preparata mettendo in primo piano soprattutto la risoluzione di due macigni politici: la conclusione della Brexit e l’accordo sul bilancio continentale pluriennale, 2021-2027. Budget pari a 1094 miliardi di euro, ossia l’1,074% del prodotto nazionale lordo europeo, si trova davanti al dissenso di come distribuire i 75 miliardi del mancato contributo britannico. Subito dopo le priorità della diplomazia di Berlino andavano al rafforzamento delle ambizioni internazionali dell’Europa: progressi nei rapporti con i paesi africani, comportamento unitario nei confronti della Cina, autonomia europea in settori come la sovranità digitale, la difesa, la sanità e difesa dell’ambiente. Altrettanto importanza si dava alle richieste fatte alla presidenza tedesca: l’Italia per esempio ritiene indispensabile giungere a un comune diritto d’asilo e una pari suddivisione europea dei rifugiati. Questa era la road map del semestre tedesco prima della pandemia. Il coronavirus ha stravolto questi piani. Ora si tratta soprattutto di affrontare le conseguenze della pandemia cosi da permettere la ripresa economica del continente. Il resto non verrà abbandonato ma sarà, per cosi dire, avvolto nel superamento della crisi sanitaria. La netta svolta europea della Germania non è però dovuta solo al coronavirus. È la situazione mondiale che spinge Berlino a dare il proprio fondamentale contributo alla nascita di un solido polo politico europeo di dimensioni e potenza capaci di far fronte ai nuovi rapporti di forza globali. Nuove e vecchie potenze mondiali cercano la preminenza in modi sempre più aggressivi, senza temere la nascita di una nuova guerra fredda. Uno scenario che privilegia la concorrenza politica, economica, militare tra Stati e agglomerati statali in formazione. Una prospettiva che l’UE ha sempre cercato di scongiurare ma che ora si trova di fronte. Altrettanto vero è che ogni volta che ha provato di svolgere il ruolo della potenza, l’Europa non ha fatto molta strada. Ciò non vuol dire che il destino del nostro continente debba essere quello del museo. L’Europa ha a propria disposizione possibilità, forze e intelligenze enormi. Deve però capire che il tempo delle delega ad altri delle responsabilità è finito. “Prendere nelle proprie mani il proprio destino”. L’esortazione agli europei di Angela Merkel ha già compito tre anni.

 

 

 

 

* Dottore di ricerca in Storia dell’Europa orientale e autore di Nel Cuore d’Europa, Textus 2019.