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L’affondamento della “Arandora Star” - Un episodio atroce?

Terri Colpi * - 14.10.2020
Arandora Star

L’80° anniversario dell’affondamento della nave “Arandora Star” celebrato il 2 luglio 2020 è stato sottolineato da un intervento assai significativo del presidente Mattarella che ha definito la tragedia “un episodio atroce” ed ha espresso la sua solidarietà ai discendenti delle 446 vittime italobritanniche  che affogarono nel 1940.

Questo evento bellico ha avuto un impatto pesante sulla comunità degli italiani residenti da lungo tempo in Gran Bretagna ed ancora oggi continua a provocare forti emozioni. Più o meno durante l’ultima decade  per impulso delle comunità italobritanniche sono stati realizzati in Gran Bretagna alcuni memoriali civili permanenti.  Questo risveglio tardivo che viene dopo 60 o 70 anni dal naufragio, rende palese la sfida di una minoranza che vuol trovare una voce all’interno della storia dominante della vittoria britannica, la quale concede poco spazio alla narrazione delle vittime. La ripresa di una memoria sul versante italiano iniziò nel 1968 a Bardi (Parma), l’epicentro di provenienza della comunità delle vittime, ma anche in Italia i morti dell’Arandora non vengono generalmente registrati fra i caduti di guerra e non sono stati sempre adeguatamente ricordati. Il messaggio di Mattarella mette in luce non soltanto il crescere di una consapevolezza in Italia, ma altresì una prospettiva che si differenzia da quella dell’establishment britannico compreso l’ambiente degli storici. Benché senza dubbio la colpa dell’affondamento ricada sul comandante del sommergibile tedesco che silurò l’Arandora Star, le complessità e le questioni che coinvolgono la nave e il suo carico umano di internati civili ci parlano di una evidente riluttanza da parte di alcuni in Gran Bretagna a porsi domande e a confrontarsi con questo incidente storico.

Quando Mussolini dichiarò guerra alla Gran Bretagna il 10 giugno 1940, i maschi italiani che avevano fra i 16 e i 70 anni e che risiedevano lì da meno di venti anni furono immediatamente internati. A differenza dei rifugiati ebrei tedeschi e austriaci arrivati di recente in Gran Bretagna, non si era avuta nessuna previa valutazione o categorizzazione degli italiani per valutare quale fosse il loro livello di pericolosità per la sicurezza nazionale. La sola differenziazione era stata quella per cui 1500 individui, definiti dai servizi di sicurezza (l’MI5) come “personalità pericolose”, avrebbero dovuto essere deportati nei territori britannici di oltremare (come Australia e Canada). La lista comprendeva i membri delle sezioni inglesi dei “Fasci Italiani” e del PNF, essendo considerata questa partecipazione come sinonimo di rischio per la sicurezza nazionale. Nell’autunno del 1940, tuttavia, il governo riconobbe che l’appartenenza ad un “fascio” non indicava necessariamente l’intenzione di sostenere lo sforzo bellico contro la Gran Bretagna ed è generalmente accettato che la maggioranza dei normali membri dei fasci erano molto probabilmente “innocui”. I “capi” dei fasci, politicamente più motivati, sono tuttavia ancora considerati come potenziali rischi per la sicurezza britannica a dispetto del fatto che ogni atto cospirativo o di sabotaggio non può essere accertato fintanto che molti dossier governativi rimangono non consultabili, alcuni fino al 2040, mentre altri sono stati distrutti o “sono andati perduti”.

Al di là di stabilire cosa potesse significare essere leader e persino membri del fascio per gli italobritannici, se teniamo presente la loro “lealtà spaccata”, una questione principale circa la Arandora Star nasce dal fatto che solo la metà di queste “personalità pericolose” destinate alla deportazione poté essere trovata e che di conseguenza i numeri complessivi vennero fatti quadrare a casaccio prendendo soggetti fra gli italiani arrestati che si trovavano nel centro di detenzione di Wharf Mills e nei dock di Liverpool, da dove salpò l’Arandora. In aggiunta ad alcuni ben noti antifascisti, come Decio Anzani e Uberto Limentani, ed a soggetti già naturalizzati britannici, è molto rilevante il gran numero di “non fascisti” (italiani che non erano membri dei fasci) arbitrariamente selezionati. Questo, unito alla vaghezza della definizione di “personalità pericolosa” fa sorgere dunque il tema della “innocenza” per la maggioranza di coloro che persero la vita quando la nave fu affondata. A differenza del presidente Mattarella che ha espresso il suo desiderio di “commemorare quelle vittime innocenti”, gli storici britannici tendono a sorvolare sui procedimenti di selezione e ad allontanare l’attenzione dal reale status degli uomini imbarcati e accusano gli autori italiani di sostenere che “tutti” fossero innocenti. Nel 1940 una inchiesta governativa condotta da Lord Snell concluse che c’erano stati errori solo in “circa una dozzina di casi” che si riferivano proprio ad antifascisti e a cittadini britannici. La faccenda non è mai stata ripresa in considerazione a causa delle limitazioni di accesso ai materiali classificati e al potenziale imbarazzo politico, nonché per il timore della rivendicazione di indennizzi.

Nel 2004 Andrea Tagliasacchi, presidente della provincia di Lucca, tentò di sollevare un altro aspetto centrale nel dibattito quando scrisse al primo ministro Tony Blair, chiedendo “giustizia” in aggiunta a “riparazioni”. La nozione di responsabilità si concentra sulla nave stessa e sulla convinzione che negligenze ed omissioni su aspetti centrali abbiano contribuito all’affondamento e alla notevole perdita di vite. In Gran Bretagna e in Italia gli italiani si chiedono perché l’Arandora non avesse reso riconoscibile che trasportava internati civili. Il presidente Mattarella allude sottilmente a questa domanda senza risposta quando afferma che  essa fu “silurata … da un sommergibile tedesco che l’aveva scambiata per una nave da guerra”. Ulteriori questioni spinose sorgono dal fatto che c’era così tanto filo spinato sul ponte, che non c’erano state esercitazioni di sicurezza, che c’era un numero insufficiente di scialuppe di salvataggio e che le guardie erano normali soldati anziché abili marinai. Di nuovo: i documenti relativi a questi aspetti rimangono inaccessibili. La mancanza di trasparenza da parte del governo e la cultura della segretezza che circonda l’Arandora Star hanno concorso alla longevità e allo scontento della sua “memoria”.  Per esempio, solo nel 1990 il Ministero dell’Interno ha reso disponibile “l’elenco degli scomparsi”. Si pensa che l’accesso ai documenti governativi possa rivelare dettagli del fatale viaggio verso il Canada interrotto giusto al largo delle coste irlandesi. I discendenti dei caduti sostengono di avere il diritto a conoscere i fatti. Detto questo, d’altro canto non dovrebbe essere dimenticata l’opinione sfumata dell’ultimo italobritannico sopravvissuto al disastro, lo scomparso Rando Bertoia: il caso Arandora Star non si sarebbe mai verificato se Mussolini non avesse dichiarato guerra alla Gran Bretagna. Per molti italobritannici una “colpa derivata” ricade contemporaneamente sull’Italia.

La lettera di Tagliasacchi non sortì alcun risultato, ma rappresentò un incoraggiamento per le “campagne di scuse” italobritanniche che si aprirono intorno al 2000. Queste campagne che partirono quando iniziò la memorializzazione furono altrettanto senza successo nell’ottenere risposte dal governo. Un messaggio più conciliante sulla vicenda della Arandora Star venne dal presidente Cossiga nel 1990 che si concentrò sulla sottolineatura dell’amicizia italobritannica e le campagne di scuse non furono mai sostenute dalle autorità italiane in Gran Bretagna. Inoltre i governi scozzese e gallese di recente formazione , non avendo alcuna responsabilità per le decisioni del gabinetto di Westminster durante la guerra, non si assunsero, come c’era da aspettarsi, né responsabilità né dovere di scusarsi e quindi poterono adottare posizioni più empatiche. Al contrario di quanto avviene in Inghilterra, memoriali con caratteri “nazionali” della Arandora Star esistono ora in Scozia e nel Galles. La mancanza di successo in particolare della comunità italiana di Londra nel creare un sito commemorativo fuori dei confini spaziali della vecchia “colonia” a Clerkenwell sottolinea il più lontano e taciturno governo a Westminster. Ciò nondimeno la chiesa italiana di St. Peter coi suoi memoriali si trova nel collegio parlamentare del leader del Labour Party, Sir Keir Starmer, che ha sostenuto il London Arandora Star Memorial Trust. Le crescenti fratture politiche e culturali fra le nazioni del Regno Unito, particolarmente con la Scozia, sono un fenomeno che influenza fortemente l’identità e gli atteggiamenti fra gli italoscozzesi. E’ molto improbabile che si realizzi una collaborazione fra le comunità italiane per motivazioni politiche “nazionali” che porti ad un  riconoscimento  commemorativo che sia veramente valido per tutta la Gran Bretagna.

Solo il tempo ci dirà se un memoriale nazionale per le vittime della Arandora Star sarà realizzato in Italia quando si troverà un sostegno politico e uno slancio per ricordare uno dei peggiori disastri mai capitato ad un gruppo di emigranti di questo paese.

 

 

 

 

* Research Fellow, University of St. Andrews