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Germania e Francia, due ostpolitik?

Francesco Cannatà * - 17.10.2020
Norbert Röttgen

Il 7 ottobre una intervista e una iniziativa movimentano l’asse Parigi-Berlino-Bruxelles. Cinque giorni dopo la risposta dell’UE. Per una volta i tempi continentali non vanno a passo di lumaca. Una necessità per ribadire che il destino dei paesi europei, nonostante le divisioni, sta nell’unità. Soprattutto quando si tratta delle relazioni tra Francia e Germania e dei rapporti tra Europa e Russia. Questo il senso infatti dell’intervista a Norbert Röttgen apparsa mercoledì scorso su le Monde. Il 55enne deputato della CDU non è solo il presidente della Commissione esteri del Bundestag, ma tra i principali pretendenti  alla presidenza del partito cristiano-democratico tedesco. Carica ambita anche da Armin Laschet, presidente del Nordrhein-Westfälia, e Friedrich Merz, al momento semplice iscritto alla CDU. Chi dei tre il 4 dicembre vincerà questa battaglia, per diventare nel 2021 candidato cancelliere della CDU-CSU, dovrà confrontarsi col leader bavarese Markus Söder. Domenica scorsa in una intervista alla radio Deutschlandfunk,  Röttgen ha affermato di sentire “il vento favorevole”. Tra le frecce al proprio arco, oltre al sostegno della base e del gruppo parlamentare, il tedesco vanta anche la stima della Gran Bretagna, paese dove studiano i suoi tre figli. Lo scorso 6 marzo infatti, alle Dahrendorf Lecture del St Antony’s College di Oxford, è stato presentato dallo storico Timothy Garton Ash, come il “possibile prossimo leader del mondo libero”. Ironia a parte Röttgen è anche il presidente del Club of Three, forum britannico nato a Londra a metà degli anni ’90 per permettere a personalità accademiche, economiche, politiche e dei media franco-inglesi-tedesche il dialogo ufficioso su temi strategici. Sempre a marzo la FAZ aveva pubblicato l’appello suo e di Tom Tugendhat, conservatore e presidente della Commissione esteri della Camera bassa britannica. I due, in vista della prossima uscita di Londra dalla UE, oltre a chiedere un “trattato di amicizia tedesco-britannico capace di completare i futuri accordi europei”, delineavano le linee guida di una diplomazia post-Brexit interna al formato E-3 (Francia-Germania-Regno Unito), in grado di “coprire impegni politici-militari che vanno dalla stabilizzazione irachena fino al sostegno dei processi di pace” nelle regioni più precarie del mondo.

 

È possibile dunque che non sia stato un caso se l’intervista del tedesco sia apparsa in Francia nel giorno in cui i ministri degli Esteri di Berlino e Parigi firmavano una dichiarazione di condanna con la “massima forza” del tentativo di avvelenamento dell’oppositore russo Aleksej Naval’nyj. Un delitto organizzato in Russia secondo Heiko Maas e Jean-Yves Le Drian. Perciò i due diplomatici sottoponevano ai “partner europei” la richiesta di sanzioni verso “11 persone responsabili del crimine e della violazione del diritto internazionale” conseguente all’uso della sostanza chimica Novichok. L’altra coincidenza dell’appello di Röttgen ai francesi sta nel fatto che il 7 ottobre a Berlino ha preso il via al processo contro l’omicidio avvenuto nella capitale tedesca nell’agosto 2019 di un ceceno cui la Germania aveva concesso asilo politico. Delitto che per il pubblico ministero tedesco “è stato commissionato dalle autorità russe”.

È innegabile che il contenzioso russo-tedesco stia prendendo dimensioni diverse dal passato. È inoltre probabile che la Germania dopo molte esitazioni si stia convincendo a metodi più netti nei confronti di Mosca, e lo voglia fare insieme alla UE. Una mossa in cui Berlino deve essere certa di non avere attriti con Parigi. Dalle parole di Röttgen a le Monde traspare infatti il timore che la Francia, una delle colonne portanti del processo di integrazione europeo, possa trovare difficoltà a armonizzare il proprio ruolo continentale con quello dei rapporti tra Parigi e Mosca. Il tutto mentre Bruxelles tenterà di riprendere forme di partenariato col Cremlino.

 

I profondi rapporti storici tra Francia e Russia, il loro inserimento nella tradizione gaullo-mitterendienne, hanno permesso, dopo il crollo dell’URSS, un rapido riavvicinamento tra i due paesi. Col XXI secolo Cremlino ed Eliseo hanno gestito la nascita di una fitta rete di relazioni istituzionali, scambi regolari ai massimi livelli, seminari annuali tra governi e incontri tra commissioni parlamentari comuni. Senza dimenticare la presenza di forti impulsi personali. Soprattutto Jacques Chirac che da giovane aveva studiato lingua e cultura russa - conoscenze che lo avevano spinto a tradurre in francese alcune novelle di Onegin - non nascondeva l’intenzione di coinvolgere maggiormente Mosca nella politica europea. Anche dal punto di vista delle relazioni internazionali esistono affinità tra le diplomazie dei due paesi. Nel multilateralismo, soprattutto quello basato sulle Nazioni Unite, entrambe vi vedono una garanzia di stabilità. Anche se, a differenza di Parigi, Mosca ritiene questo il mezzo per mantenere le zone d’influenza e il simbolo della propria potenza statale.

La presidenza Macron coincide col quarto mandato presidenziale di Putin. Nel 2018, in 12 mesi i due si sono incontrati 4 volte. Naturalmente anche per Parigi, Putin, al suo 20° anno di potere, è il simbolo del degrado senza precedenti dalla fine guerra fredda delle relazioni tra Russia e occidente. Mosca, dopo l’appoggio a Marine Le Pen e la delusione per il “mancato arrivo a Parigi dell’effetto Trump” - così le Izvestija commentando l’elezione del francese - ha subito fatto i conti con la realtà. Nel nuovo presidente francese, giunto al potere in anni segnati dalla debolezza politica di Angela Merkel, il pantano Brexit di Theresa May e il furioso unilateralismo di Donald Trump, il Cremlino vi vedeva il simbolo “dell’Occidente collettivo”. Da qui la volontà di coltivarne i legami.
Parigi, pur non nascondendo la critica alla volontà egemonica russa, definirà i colloqui con Mosca “franchi”. La “lealtà” con gli alleati è sottolineata, ma ciò non deve ostacolare “la stipula di contratti” e la strategia di “lavorare con Mosca”. La svolta dell’Eliseo arriva con la fine del Trattato sui missili nucleari a media gittata, IFN, a fine 2018. Un giro di boa giustificato dal pericolo della proliferazione nucleare a spese dell’Europa. Per evitare questo scenario Macron afferma la necessità di coinvolgere Mosca nella (nuova) sicurezza continentale. Un piano ribadito nell’agosto 2019. Ricevendo Putin a Fort Brégançon, il francese evita le critiche e definisce Mosca una “potenza europea”. La nomina nel 2020 dell’ex ministro degli Esteri, Hubert Védrine, fautore del dialogo col Cremlino, come membro di una struttura incaricata di riflettere sul futuro della NATO, va nella stessa direzione.

Il caso Naval’nyj è però insostenibile anche per l’Eliseo. Dopo una fase di silenzio, Macron lo definisce un “tentativo di omicidio”. La Francia giunge cosi alle stesse conclusioni dei “partner europei”: per eliminare un oppositore Mosca ha usato una “sostanza neuro tossica”. Una posizione precisata a Vilnius. I primi di ottobre nella capitale lituana Macron ripete il bisogno di chiarezza su Naval’nyj. Non rinnega però la scelta del “dialogo strategico” con Mosca. Altrettanto vero è che recandosi a Vilnius Macron sottolinea l’impegno francese alla sicurezza della regione in linea con le garanzie difensive date da Berlino ai Baltici dopo l’annessione russa della Crimea. Inoltre, il coordinamento franco-tedesco toglie a Mosca la possibilità di utilizzare il dialogo con l’Eliseo per seminare discordia nel campo europeo. Ciononostante, per Röttgen Macron è ancora “troppo tiepido” con il Cremlino. Per il tedesco, anche se “la Germania sta cambiando velocemente” le trasformazioni del mondo “sono più rapide”. Ritmi che impongono “il rafforzamento dell’Europa come reale attore geopolitico” e dunque la sintonia tra Berlino e Parigi. Per ora ci deve accontentare dell’unità mostrata sul caso Naval’nyj dai tutti paesi europei  il 12 ottobre e le successive sanzioni verso sei persone e una entità legate al regime russo.

In attesa del congresso CDU e sperando che quel giorno il mondo sia ancora riconoscibile.

 

 

 

 

* Dottore di ricerca in Storia dell’Europa orientale e autore di Nel Cuore d’Europa, Textus 2019.