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Angela e Ursula al volante safety car

Massimo Nava * - 24.06.2020
Ursula Von Der Leyen e Angela Merkel

L’Europa è spesso descritta come un’eterna incompiuta, una casa senza tetto, una governance zoppa. Gli egoismi nazionali prevalgono sugli ideali dei padri fondatori. Ma l’emergenza sanitaria ha rovesciato il tavolo, ha cambiato prospettive, ha imposto una riflessione urgente e collettiva, ha avuto l’effetto di un drammatico spartiacque.

Dopo una prima fase in cui ciascun governo è andato per conto suo, come se il virus avesse infettato anche le istituzioni oltre che i cittadini, si sono fatti passi importanti, forse irreversibili, verso una maggiore integrazione e solidarietà. Nell’emergenza, l’Europa è diventata un’arca di Noè in cui tutti dovevano trovare un rifugio. I Paesi che hanno sofferto di più riceveranno più aiuto, a prescindere dallo stato di salute delle loro finanze. E nell’epoca in cui la governance globale e il dialogo fra grandi potenze sembrano una chimera, l’Europa è ancora progetto sostenuto da valori condivisi, in primis, la solidarietà. I sovranisti sono nell’angolo.

Come succede in un Gran Premio automobilistico, quando c’è tempesta, è entrata in pista la safety car. E due donne – Angela Merkel e Ursula von der Leyen –, due donne tedesche, si sono messe alla guida dell’auto, che, come si sa, anche nei Gran Premi, è una tedeschissima Mercedes.

Lo hanno fatto in momenti diversi. La presidente della Commissione Europea ha subito assicurato «tutto il necessario», rievocando la celebre espressione usata dall’ex presidente della BCE, Mario Draghi.  La Merkel ha preso tempo, ma poi ha rotto gli indugi, con coraggio e oltre le aspettative, dopo avere valutato la convenienza.

 La data del primo luglio 2020, giorno in cui assumerà la presidenza di turno del Consiglio europeo, è qualche cosa di più di una coincidenza. È un fatto storico : le più alte responsabilità delle politiche europee nelle mani di due donne tedesche, nel momento più drammatico degli ultimi decenni.

Ursula e Angela sono diverse, per carattere e origini. La von der Layen è nata e vissuta nella Germania occidentale, ha trascorso molti anni a Bruxelles, la sua « seconda casa », è un’europeista convinta e vorrà dare al suo mandato il senso della responsabilità storica. La  vita politica della Merkel è stata influenza dalle origini. La carriera è stata al servizio della Germania riunificata. Ma sono complementari. Ursula ha navigato nella politica tedesca, è stata fra l’altro ministro della difesa. Angela, probabilmente, non avrebbe fatto i passi che ha fatto con un interlocutore alla Commissione diverso dalla von der Leyen.

Senza confondere ruoli istituzionali e competenze, sono un dato di fatto la sintonia di vedute, il rapporto personale, la comune famiglia politica. Ci sarebbero argomenti per quanti temono l’egemonia tedesca sul Vecchio Continente, ma le circostanze offrono una lettura diversa. L’intesa fra le due tedesche è oggi una garanzia per superare veti e pregiudizi, sia da parte dei Paesi membri verso la Germania, sia da parte della Germania verso l’Europa. Angela e Ursula sono il miglior interlocutore, la più utile « sponda » politica, reciprocamente il migliore alleato, in quanto la fiducia è la chiave di tutto per andare avanti, persino oltre i trattati scritti nel marmo. La storia dirà se ai passi compiuti nella primavera, seguirà una grande stagione di rinascita dell’Europa, attorno alle linee guida che la Cancelliera ha annunciato. I segnali sono confortanti, nonostante le resistenze di alcuni governi « virtuosi ». Si è infatti affermata anche nell’opinione pubblica tedesca una nuova sensibilità che ha fornito ad Angela Merkel  strumenti di consenso e la consapevolezza che fosse il momento di mettere da parte la sua proverbiale prudenza.

Il presidente della Repubblica Federale Frank-Walter Steinmeier, in occasione del settantacinquesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, aveva detto: «Questa pandemia non è una guerra. Non ci sono nazioni che combattono nazioni, soldati che combattono soldati. È un banco di prova per la nostra umanità. La Germania non può uscire da questa crisi forte e sana se i nostri vicini non saranno anche loro forti e sani. A trent’anni dall’unità tedesca, a settantacinque anni dalla fine della guerra, noi tedeschi non siamo solo chiamati, siamo obbligati alla solidarietà!».

Clamoroso e inusuale, anche nei toni, l’editoriale di «Der Spiegel», dell’inizio di aprile.

«L’Europa sta affrontando una crisi esistenziale. Apparire come il guardiano della virtù finanziaria in una situazione del genere è meschino. Forse conviene ricordare per un momento chi ha finanziato la ricostruzione della Germania nel dopoguerra. Il rifiuto tedesco degli eurobond è gretto, vigliacco, non solidale. Se gli europei non danno un segnale sarà una vera festa per i populisti, per i nemici dell’Europa e per gli hedge fund di Londra e di New York che, come nel caso della Grecia, punteranno sul fallimento di uno Stato europeo e questa volta vinceranno la scommessa. Berlino si può e si deve permettere questa solidarietà».

La svolta è stata certificata il 18 maggio. E in sintonia con la storia europea, è stata firmata dalla Merkel e da Emmanuel Macron. Ufficialmente, una pagina franco-tedesca, a conferma che nulla in Europa si muove se Parigi e Berlino non trovano un accordo.

La firma sugli strumenti di intervento già decisi (il prestito per la cassa integrazione, il MES per le spese sanitarie, le garanzie della Banca europea per gli investimenti) era ancora fresca quando la Merkel e Macron hanno annunciato il recovery fund da cinquecento miliardi, un fondo di solidarietà concepito come uno strumento inedito e non in linea con l’ortodossia dei trattati.

«L’obiettivo è che l’Europa esca rafforzata, unita e solidale da questa crisi» ha detto Angela Merkel. La cancelliera ha conciliato ragioni ideali e motivazioni pratiche. Si è convinta che le regole di bilancio non avevano più lo stesso senso di fronte alla drammatica pandemia. Ha colto al volo l’occasione di poter sospendere il divieto di aiuti di Stato per sostenere le imprese tedesche. Si è guadagnata uno straordinario consenso in patria. Ha dimostrato che una destra moderata, popolare e moderna, autenticamente europea, può governare nell’interesse dei cittadini senza inseguire posizioni populiste ed estremiste. E’ riuscita a far coincidere interessi tedeschi ed europei e a rilanciare una visione ideale dell’Europa: solidale, protettrice, capace di investire sul futuro, con buona pace degli euroscettici e dei sovranisti.

La Germania si è finalmente assunta la leadership del Vecchio Continente, senza suscitare  apprensioni e ostilità, ma accettazione. Ha dimostrato che nessun Paese, nemmeno il più forte, non può fare a meno degli altri e che la Germania non può fare a meno degli europei. La forza della Germania e delle sue imprese è anche la forza dell’Europa e delle imprese europee. Nella pandemia, non ci sono vinti e vincitori, ma un comune destino.

«Make Europe Great Again» sarà la sua eredità politica, quando (e se) uscirà di scena.

 

 

 

 

* Giornalista e scrittore