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Shinzo Abe, la “normalizzazione” giapponese e i Tre Principi sull’esportazione di armi
Il Giappone ha compiuto di recente un altro passo importante verso il definitivo superamento del pacifismo post bellico e in direzione della cosidetta “normalizzazione” della propria politica estera e di difesa. Questo passo consiste nel rilassamento dei Tre Principi di Esportazioni delle Armi. Per inquadrare questa riforma nel panorama della politica estera e di sicurezza giapponese e più in generale nell’ambito dell’evoluzione dello scenario strategico dell’Asia Orientale è necessario chiarire cosa sono i Tre Principi di esportazione delle Armi e più in generale cosa vuol dire per il Giappone diventare una “nazione normale”. leggi tutto
Le sfide dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante
La conquista della provincia di Ninive, di Mosul, seconda città dell’Iraq, di Tikrit, città natale di Saddam Hussein, e la marcia verso la capitale Baghdad da parte degli jihadisti dello Stato islamico in Iraq e nel Levante rappresenta uno degli eventi più importanti degli ultimi anni e costituisce una sfida di enormi proporzioni sia per i territori e le popolazioni direttamente coinvolte sia per tutta la comunità internazionale: non solo “occidentale”. L’espansione territoriale, militare e finanziaria delle forze jihadiste riporta alla ribalta una serie di questioni chiave del passato politico della regione e del suo futuro.
Anzitutto, dimostra la fragilità della divisione del mondo arabo in stati-nazione. Disegnati a penna dalle cancellerie francesi e britanniche durante la Prima Guerra Mondiale, i confini attuali dell’antica Mesopotamia rispecchiarono più gli interessi di potenze straniere che non la reale configurazione sociale e comunitaria di quei territori. E tuttavia, lo sviluppo coloniale e postcoloniale di governi centrali e dei relativi eserciti nazionali ha garantito l’inviolabilità di questi stessi confini tracciati sulla sabbia. Le comunità tribali e confessionali ovviamente li attraversano quotidianamente leggi tutto
L’Ucraina orientale tra scontri, separatisti e speranza
Lo scorso autunno l’Euromaidan iniziò a Kiev come un movimento per avvicinare l’Ucraina all’Europa e ai valori europei. Tuttavia, a pochi mesi di distanza, si potrebbe avere l’impressione che la metà russofona del paese non condivida il messaggio della piazza di Kiev o addirittura lo opponga. Questo è il quadro dipinto dalla maggioranza dei media russi ma che a volte traspira anche a Occidente, dove una lettura superficiale della questione potrebbe suggerire una netta divisione tra Est e Ovest. Ma dove si trova esattamente il conflitto in Ucraina e da dove esattamente deriva? La questione è complessa ma proveremo a suggerire alcune interpretazioni. leggi tutto
“Quanto costa il crollo di un impero?”. Dall’89 all’Ucraina
Una buona domanda vale più di tante cattive risposte. Dunque è utile recuperare un interrogativo che Umberto Eco poneva ai contemporanei all’epoca del crollo del muro di Berlino. Facendo leva sul “senno di poi” di cui dispone chiunque volga lo sguardo al passato, la domanda posta da Eco era “quanto costa il crollo di un impero?”. Lo sguardo si volgeva ai tanti precedenti in cui un’entità politica autoproclamatasi o da altri definitiva “impero” era esplosa; in cui, per dirla con Eco, il “coperchio” di un’autorità centrale aveva ceduto alla pressione interna e esterna, lasciando fluire un magma incandescente di ripercussioni destinate a giungere ben lontano dalla sede originaria. Pur senza cadere in ricostruzioni semplicistiche, Eco ricordava come i riverberi più virulenti della fine dell’Impero Romano fossero riscontrabili almeno per sei secoli a venire; per arrivare fino alle tante, drammatiche macerie lasciate in eredità al “Secolo Breve” dal crollo di quattro imperi durante la Prima Guerra mondiale e dall’agonia di quelli coloniali nei decenni successivi. leggi tutto
Il “Secolo del Pacifico”? Obama e il pivot asiatico
Nell’autunno del 2011, l’Amministrazione Obama annunciò il riposizionamento strategico e operativo statunitense nella regione dell’Asia-Pacifico, ritenuta centrale nella definizione delle priorità geopolitiche americane. Uno dei primi passi verso la costruzione di una cornice militare per la strategia del cosiddetto “Asia pivot” fu l’intesa con l’Australia sull’invio di 2500 marines nella base di Darwin. Era il novembre del 2011 e il “New York Times” definiva la decisione come “la più grande espansione della presenza americana nel Pacifico dai tempi della Guerra del Vietnam”. Da quali premesse originava questa rinnovata attenzione di Washington per l’Estremo Oriente? Quali obiettivi intendeva perseguire l’Amministrazione Obama e cosa ci suggerisce, rispetto alle ambizioni iniziali, il bilancio odierno?
Alla svolta asiatica hanno concorso molteplici fattori. Il primo, la percezione della minaccia cinese. All’impetuosa crescita economica di Pechino, si sono affiancati progressivamente un crescente attivismo militare del paese e un incremento leggi tutto
Medio Oriente. La Guerra fredda intra-sunnita
Un conflitto nel conflitto. Una matrioska di battaglie a bassa intensità per il controllo del Medio Oriente. È questa la guerra – fredda - che si combatte in Siria, nel Golfo e, soprattutto, in Egitto. Se le primavere arabe hanno evidenziato la competizione tra Islam sunnita e Islam sciita per la supremazia regionale, l’intervento con il quale, il 3 luglio, l’esercito egiziano ha deposto Mohammed Mursi - il presidente espressione della Fratellanza Musulmana - ha scatenato la più latente guerra all’interno della compagine sunnita.
Guerra che si combatte su più fronti e che vede contrapposti membri della stessa famiglia. Da una parte i sostenitori di quell’Islam politico rappresentato dall’ormai opaco e screditato modello turco che ha gioito per le rivoluzioni del 2011 e ha criticato la deposizione di Mursi. Dall’altro i simpatizzanti dell’Islam wahabita di origine saudita che ha fatto il possibile per contenere i “pericolosi” effetti delle primavere, sostenendo anche l’uscita di scena del rappresentante della Confraternita egiziana.
Le dinamiche interne al Consiglio di Cooperazione del Golfo, Ccg - l’organizzazione leggi tutto
Ucraina e Russia: opportunità per l’Europa
L’Ucraina è tagliata in due dal Dnepr che la percorre da Nord a Sud. Una zona russofona ad est mentre ad Ovest si trova la regione che guarda verso l’Europa e che parla una propria lingua anche se affine al russo. Il Dnepr è uno dei grandi fiumi dell’Est europeo al centro della storia politica e religiosa delle civiltà slave. Dalla capitale Kiev, adagiata sulle sue rive, si è irradiata, quasi mille anni fa, la cristianizzazione delle Russie. L’Ucraina è terra di mezzo, e, come tale vittima di grandi conflitti, ma è anche un polo culturale con forti legami con l’intero universo slavo e russofono, dal quale non è possibile pensarla separata. Una parte del paese dei cosacchi anela alle garanzie in termini di qualità della democrazia civile ed economica che l’Europa, nonostante la profonda crisi economica, rappresenta. E dunque il dilemma se aderire ad una integrazione più profonda con l’UE staccandosi dalla Russia o entrare nell’Unione doganale con il paese di Putin. Scegliere una delle due alternative vuol dire per l’Ucraina andare incontro a spaccature con effetti destabilizzanti su tutto l’est Europa extra Ue. Gli scontri e le tensioni di questa prima parte del 2014 ne sono la prova, così come le reazioni scomposte della Russia che minacciano di spostarsi sul piano militare a fronte di una diafana “personalità” internazionale della Ue. leggi tutto
Ucraina: l’Europa apolitica all’ombra della guerra
Affrontare oggi, da osservatori, la questione russo-ucraina è come tentare di verniciare un’auto in corsa. Gli eventi scorrono a velocità variabile, subendo accelerazioni e decelerazioni spesso improvvise. Gli sviluppi dell’ormai costante tensione politica e diplomatica non si lasciano afferrare pienamente e sono imprevedibili negli esiti. Conviene allora tentare di fissare alcuni punti fermi che interessano la dimensione internazionale di questa vicenda. Considerando questi punti, e i fatti che li riguardano, tutti ovviamente collegati l’un l’altro, forse si possono chiarire alcuni aspetti fondamentali di un quadro internazionale complesso ed intricato.
Il primo fatto, il più ovvio, è che la guerra non ha cessato d’allungare la propria ombra sul continente europeo. L’idea dell’Europa quale zona di pace perpetua, divulgata fin dai giorni in cui infuriavano le guerre jugoslave è, letteralmente, ancora un’utopia. leggi tutto
Le più grandi elezioni della storia: l'India al voto
Sono 815 milioni le persone chiamate al voto nelle elezioni nazionali che si tengono in queste settimane in India: è il più massiccio esercizio democratico nella storia di tutti i tempi. Con 1,2 miliardi di abitanti, infatti, l’India ha un corpo elettorale che è circa 15 volte quello italiano; i seggi sono poco meno di un milione, i giovani che votano per la prima volta sono 23 milioni (quasi il 3% dell’elettorato), gli uomini 426 milioni, le donne 387 e per la prima volta circa 30 mila elettori sono registrati come appartenenti ad «altro genere» sessuale. leggi tutto
Il Soft Power, le catacombe e l’Azerbaigian a Roma
C’erano una volta gli anni ’90 con le loro mode e subculture, oggi già avviate sulla strada della redenzione vintage. C’era allora il trionfalismo post-Guerra Fredda, le “magnifiche sorti e progressive” di un mondo conquistato dal progresso della democrazia, unificato dalla “globalizzazione”, rimpicciolito dai nuovi mezzi di comunicazione e dai viaggi low cost. Ci fu anche qualcuno furbo abbastanza da arricchirsi (quale miglior tributo a quell’epoca!) proclamando in milioni di copie la “fine della storia” e la prossima “morte per noia” di un’umanità ormai priva di ambizioni. leggi tutto