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17 aprile 2024
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Voci del cattolicesimo indiano. Presupposti per un nuovo cammino

Claudio Ferlan - 18.10.2014
John Dayal

Oltre le polemiche tra cardinali, oltre la resistenza della parte tradizionalista alle aperture ipotizzate dagli innovatori, il sinodo sulla famiglia offre l’occasione per volgere lo sguardo a parti della Chiesa universale geograficamente e culturalmente molto lontane da Roma. Una di queste realtà è l’India.


Essere minoranza religiosa


Indirizzati dall’urgenza, musulmani e cristiani hanno ripetutamente unito la propria voce a quella di movimenti sociali impegnati nella lotta per la difesa dei diritti civili. L’allarme suona a causa dei sempre più frequenti attacchi subiti dalle minoranze religiose per mano di estremisti indù. I dati raccolti raccontano di addirittura seicento casi acclarati tra maggio e settembre 2014. Non si tratta solo di violenza e di preoccupazione per l’incolumità e per la libertà di espressione dei fedeli delle religioni minoritarie. È anche un problema politico. Emerge dall’appello dei gesuiti indiani (Jesuits in Social Action) e dal dossier reso pubblico da John Dayal (segretario del consiglio cristiano pan-indiano) come diversi leader politici, nazionali e locali, sostengano apertamente le azioni estremiste e garantiscano sovente l’impunità ai colpevoli di violenze anche efferate. Per avere un’idea dei rapporti numerici attuali nel panorama religioso indiano, si noti che quasi l’80% della popolazione si professa induista, i musulmani si attestano intorno al 13% e i cattolici poco sopra il 2%.


Il matrimonio interreligioso


Una storia esemplare, priva del lieto fine, è quella del matrimonio tra il cattolico Joseph Pawar e la indù Ayushi Wani. I due si sono sposati contro la volontà delle famiglie e hanno cercato, dopo la celebrazione (con rito indù), di fuggire per cominciare una vita di coppia lontano dai luoghi d’origine. Messa in moto dalla denuncia presentata dai genitori della ragazza e dalle minacce di gruppi estremisti, la polizia dello stato del Gujarat (dove gli sposi novelli avevano cercato riparo) li ha rintracciati. Si è temuto per l’incolumità di Joseph, tutelato da speciali misure di protezione e l’unione è stata dichiarata nulla. A norma di legge, certo, poiché per la validità del matrimonio misto serviva una speciale dispensa mai ottenuta dai due. La polizia ha però espressamente dichiarato che il provvedimento si spiega anche con l’esigenza di evitare una prevedibile rivolta di massa.

Prima di gridare all’intolleranza, serve riflettere sulla disciplina cattolica dei matrimoni misti. Il codice di diritto canonico (1983) chiede la dispensa dell’autorità ecclesiastica e l’impegno della “parte cattolica ... ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede” e a “fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica”. In una lettera apostolica del 1970 l’allora papa regnante Paolo VI (di prossima beatificazione) sconsigliava apertamente le unioni miste, pur riconoscendone la legittimità.


La voce delle famiglie


È evidente che la disciplina del matrimonio tra seguaci di diverse fedi è un punto centrale nella costruzione del dialogo interreligioso. Lo sanno bene i portavoce laici dei cattolici indiani, che proprio al sinodo in corso hanno fatto conoscere le proprie urgenze per voce di Arul Raj Gali, sacerdote impegnato nella pastorale familiare e padre sinodale. Sul matrimonio misto hanno chiesto di consentire la celebrazione fuori dalla messa, per evitare la somministrazione dell’eucaristia alla sola parte cattolica, prevista dal diritto canonico. Ancora, si auspica una revisione dell’età minima per i matrimoni – il che implica una nuova considerazione da parte vaticana dei costumi in vigore nella società indiana – e la semplificazione del procedimento di nullità in caso di violenze domestiche. Questo desiderio in particolare chiama in causa i maltrattamenti diffusi in una cultura dalle forti connotazioni patriarcali, tanto che molti esponenti del cattolicesimo indiano si sono pronunciati per la necessità di un superamento della subalternità della donna, anche nella Chiesa. I lavori del “Forum Cattolico Indiano” hanno messo in risalto la necessità di un maggiore coinvolgimento dei laici nella vita comunitaria e, in sintonia con alcune posizioni emerse nel sinodo per la famiglia, la necessità di un ripensamento del Vaticano su questioni quali la contraccezione e l’ammissione dei divorziati all’eucaristia.

Si riconosce da questa breve rassegna una mescolanza di questioni locali e universali, di problemi contingenti, politici, giuridici e morali. Fin dalla prima esperienza missionaria in India e nell’Estremo oriente le menti europee più disposte al confronto trasmisero alla Santa Sede il bisogno di trovare un incontro tra dottrina e cultura cattolica da un lato, regole e costumi del mondo che cominciavano a conoscere e apprezzare dall’altro. Sulla strada indicata si è camminato sì, ma non troppo. Servono oggi nuovi passi in avanti.