Ultimo Aggiornamento:
27 marzo 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

La “linea di massa” di Xi Jinping: lotta alla corruzione e lotta per il potere nel Partito Comunista Cinese

Aurelio Insisa * - 21.10.2014
Xi Jinping

A circa quindici mesi di distanza dalla sua inaugurazione il 18 giugno 2013, il Partito Comunista Cinese ha dichiarato conclusa alla fine dello scorso settembre la campagna politica di rettificazione della “linea di massa” (qunzhong luxian). L’obiettivo primario della campagna, dai toni e dagli slogan esplicitamente maoisti, è stato riavvicinare il Partito alle masse cinesi, eliminando in particolare i quattro “mali” che affliggono i suoi membri: formalismo, burocratismo, edonismo e stravaganza.

I risultati sono stati recentemente annunciati con i consueti toni trionfalisti da parte dell’agenzia di stampa cinese Xinhua: 586000 riunioni di partito in meno; la rimozione di più di 160000 “impiegati fantasma;” circa 300000 membri puniti per uso inappropriato di fondi pubblici e infrazioni nei codici di condotta; infine, una riduzione di nove miliardi di dollari americani nei fondi pubblici utilizzati per viaggi all’estero, “auto blu” e ricevimenti ufficiali. Si tratta di cifre enormi, che gettano indirettamente una luce inquietante sulla vastità degli sprechi e dei fenomeni di corruzione interni al Partito. Fatte le debite proporzioni demografiche, son cifre che farebbero impallidire perfino alcuni burocrati dell’amministrazione regionale siciliana.

 

Masse, tigri e mosche:

 

I numeri mirabolanti della campagna aggiungono quindi un nuovo capitolo alla lotta senza quartiere alla corruzione indetta da Xi Jinping sin dall’inizio del suo mandato, la cosiddetta “caccia alle tigri e alle mosche.” “Tigri” quali Bo Xilai e Zhou Yongkang, i due ex pesi massimi del Partito caduti in disgrazia, ma anche “mosche,” come le centinaia di migliaia di quadri, dal livello provinciale a quello di villaggio, che hanno approfittato della loro posizione per arricchirsi principalmente tramite il controllo dello sviluppo edilizio.

La campagna della linea di massa è stata quindi un evento contiguo a questa più ampia (e feroce) lotta alla corruzione, ma si è concentrata soprattutto su una robusta spending review e sulla rieducazione ideologica”. Mentre finire tra le maglie della rete anti-corruzione vuol dire precipitare nel buco nero extra-giudiziario dello shuanggui, il processo disciplinare interno al Partito senza limiti di detenzione che fa regolarmente uso di torture per ottenere confessioni, le punizioni della campagna si sono limitate principalmente a sanzioni disciplinari e retrocessioni di grado.

Sebbene la campagna abbia avuto un certo impatto nell’opinione pubblica grazie alla sua incessante promozione nel sistema di propaganda statale, le sue motivazioni, a differenza della lotta contro “tigri e mosche,” e a dispetto dello suo stesso nome, hanno origine negli equilibri all’interno del Partito, piuttosto che nel rapporto tra le masse ed il Partito stesso.

La natura della corruzione politica nei sistemi monopartitici in generale, e nella Cina contemporanea in particolare, rende infatti difficilmente risolvibile il problema senza intraprendere quelle sostanziali riforme politiche che il Partito non può e non vuole intraprendere. Sin dall’inizio del suo mandato Xi Jinping si è perciò ritrovato in una situazione paradossale: continuare ad ignorare la corruzione dilagante è sempre più un rischio esistenziale per il regime di Pechino, ma, allo stesso tempo, combatterne le cause piuttosto che gli effetti diretti, avrebbe lo stesso pericoloso risultato.

 

L’unica via disponibile è perciò trovare un difficile equilibrio: punire duramente e pubblicamente i membri corrotti senza provocare rivolte all’interno di un Partito nel quale nessuno ha realmente le “mani pulite” a causa della natura della vita politica cinese. La campagna della linea di massa in questo contesto si può quindi considerare come uno strumento aggiuntivo per trovare questo delicato equilibrio.

 

Il potere di Xi

 

In un’ottica più ampia la lotta alla corruzione della nuova amministrazione si può invece interpretare come un mezzo per agevolare la scalata al potere di Xi nel Partito. Il consenso che si è andato formando nell’ultimo anno tra i vari analisti è che Xi si sia rapidamente e inaspettatamente imposto come il più potente leader cinese dai tempi di Deng Xiaoping. Nel periodo 2008 – 2011, in cui divenne l’informale front runner per la successione a Hu Jintao, Xi veniva infatti percepito come un candidato di compromesso tra le varie, instabili fazioni del Partito. Un candidato “debole,” che durante il suo mandato a capo della provincia del Zhejiang si era contraddistinto per una spiccata propensione a non inimicarsi nessuna delle fazioni in lotta a Pechino. La crisi di legittimità del Partito prodotta dalla corruzione dilagante ha dato tuttavia a Xi un’occasione unica di epurare possibili “centri di potere” alternativi all’interno del Partito (come Zhou Yongkang e i suoi accoliti) ed imporre il proprio potere a livello locale.

Sebbene sia impossibile stabilire con precisione fino a che punto Xi abbia in mano le sorti del proprio Partito, il carisma che mostra negli incontri internazionali e tra l’opinione pubblica cinese, insieme alla creazioni di svariati meccanismi governativi sotto il suo diretto controllo e ad una nuova politica estera assertiva e a tratti perfino spregiudicata, danno l’impressione di un leader in pieno controllo. Soltanto l’esito della sua lotta alla corruzione, della quale la campagna della linea di massa è stata una tappa obbligata, darà tuttavia una misura effettiva del suo successo.

Nota: alcune delle affermazioni su Xi Jinping contenute in questo articolo sono state ottenute dall’autore in degli incontri tenuti sotto Chatham House rule con svariati analisti a Hong Kong durante il 2013. 



Dottorando presso il Dipartimento di Storia della University of Hong Kong