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20 aprile 2024
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Partiti "del leader" ed elezioni locali

Luca Tentoni - 02.04.2016
Matteo Renzi e Matteo Salvini

In un'epoca nella quale i partiti tendono a perdere spazio e consenso mentre i leader divengono non solo centrali ma trainanti e decisivi per il risultato elettorale e per la stessa esistenza di molti soggetti politici, il voto per il rinnovo dei consigli comunali previsto per la fine della primavera rappresenta un banco di prova fondamentale. Poichè la politica è sempre più un fatto mediatico e personalizzato, i partiti e i movimenti hanno la necessità di agire su due fronti: da un lato, quello nazionale, dove la comunicazione non può che passare attraverso internet ma anche per i mezzi di comunicazione "tradizionali" (giornali, televisione); dall'altro, c'è la dimensione locale del rapporto "porta a porta" con gli elettori e con le loro esigenze quotidiane, variabili a seconda del tipo di comune e del contesto sociale ed economico. Nei soggetti politici di un tempo il livello nazionale e quello locale non erano poi così disgiunti, anche se potevano apparire distanti: l'organizzazione capillare tradizionale (la sezione aperta e funzionante anche nei comuni più piccoli) e alcuni fattori unificanti (l'ideologia, la prevalenza della classe dirigente sul leader, il peso nazionale dei notabili locali) facevano sentire la "presenza" del Partito anche in ambiti territoriali minori. La "spettacolarizzazione della leadership", com'è stata definita, comporta che i soggetti politici affidino le loro fortune ad una personalità di spicco, la quale non può che perseguire politiche nazionali e avere un'agenda più orientata sui grandi temi di facile presa sull'opinione pubblica che su argomenti di interesse locale. A livello periferico, tuttavia, la situazione va gestita in modo diverso: se il franchising del leader nazionale e il brand del partito possono essere utilizzati, è però vero che da soli non bastano per conquistare consensi e arrivare ad amministrare realtà peculiari. Serve una classe dirigente che sia direttamente in contatto con i cittadini: una sorta di "secondo canale" rispetto alla comunicazione e al "formato" del partito del leader. Come dimostra la storia della Seconda Repubblica, la competizione locale è sempre stata più favorevole ai partiti radicati sul territorio, laddove quella di livello nazionale ha avvantaggiato i soggetti politici più abili a dominare il panorama mediatico globale. Il centrosinistra e la Lega hanno saputo affermarsi a livello comunale, provinciale e regionale mentre Forza Italia ha sempre avuto i suoi migliori risultati alle elezioni parlamentari nazionali ed europee. Il centrodestra è riuscito ad aggiudicarsi importanti amministrazioni del Nord grazie (in realtà come il Veneto si potrebbe dire soprattutto) al radicamento del Carroccio. Il partito di Berlusconi e quello che oggi è di Salvini (ma per lungo tempo è stato di Bossi) rappresentano gli opposti modelli organizzativi: "leggero" quello del Cavaliere, "pesante" e capillare quello del "senatùr" e del suo successore. Il rendimento elettorale spiega molto, se si confrontano i consensi delle politiche con quelli delle amministrative, ma se ci si limita ad osservare il voto per classi di comuni alle elezioni parlamentari si falsa la prospettiva, perchè non si coglie la differenza che c'è fra Forza Italia e la Lega: entrambe, infatti, ottengono percentuali più alte nei comuni più piccoli, mentre nelle grandi città non catturano o catturano meno un voto che è sfaccettato e - per certi versi - "di opinione". Il "partito del leader" berlusconiano è stato in grado, nei momenti migliori, di trainare il centrodestra e di portarlo quasi sempre a ridosso del 50% dei voti nazionali, alle elezioni per Camera e Senato (la defezione della Lega nel 1996 e l’esclusione dell'Udc nel 2008 hanno ovviamente ricondotto il risultato del centrodestra più vicino al 45%): la Cdl ha complessivamente ottenuto il 52,1% nel 1996 (centrodestra 42%; Lega 10,1%), il 49,6% nel 2001, il 49,2% nel 2006, il 52% (46,3% centrodestra, 5,7% Udc) nel 2008. Tuttavia, quella Forza Italia che alle politiche e alle europee era uno schiacciasassi (tale da comprimere l'espansione leghista, ad esempio nell'elezione "europarlamentare" del 1994, a vantaggio del partito "azzurro"), alle elezioni locali era invece, soprattutto al Nord e al Centro (dove però il centrodestra è strutturalmente più debole del centrosinistra, in particolare nelle "zone rosse") notevolmente svantaggiata. In alcune aree del Sud, però, si poteva osservare un buon rendimento del centrodestra alle amministrative, dovuto a dinamiche di carattere locale e alla presenza di un personale politico (in gran parte proveniente dall'esperienza della Prima Repubblica) molto radicato sul territorio. Riportando il discorso su un livello più generale, è importante fissare un concetto: i partiti "del leader" sono fatti per affrontare competizioni a carattere nazionale. Vincono a livello locale se hanno una storia "ideologicamente favorevole" (cioè una tendenza costante a un voto orientato verso quella famiglia politica) o se reclutano personale politico che ha un contatto col territorio. Diversamente, i partiti "tradizionali" hanno una forte base di simpatizzanti e una rete orientata all'ascolto dei territori ma non sempre hanno avuto leader capaci di catturare consensi supplementari a livello nazionale. Nella transizione che stiamo vivendo, tuttavia, non esistono più partiti di questo genere. La Lega, per esempio, aveva un leader forte (Bossi) ma che non riusciva ad ottenere consensi oltre i confini territoriali d'insediamento naturale, mentre oggi Salvini sembra in grado - con un approccio comunicativo molto orientato all'uso dei mezzi di comunicazione di massa: televisione, internet - di raggiungere un pubblico più vasto, sia per numerosità sia per collocazione geografica. Il Pd ha compiuto un percorso diverso: aveva leadership meno durature e "incontestate" della Lega, mentre ora ha Renzi che è una sorta di "dominus" del partito; l'articolazione locale si è andata indebolendo (anche parecchio, in alcune realtà) pur se - sul piano dei risultati elettorali - è riuscita fin qui a mantenere il governo della grande maggioranza delle amministrazioni regionali e comunali; oggi il partito è più forte sul piano mediatico ma più "leggero", o, meglio, gli ambiti nazionale e locale appaiono più scollegati e lontani. In quanto al M5S, sebbene le prime affermazioni siano arrivate in “periferia” (le comunali a Parma, le regionali del 2010 in Emilia-Romagna), il movimento non ha roccaforti, ma un livello di consenso molto omogeneo che sembra non essere sostanzialmente intaccato in modo incisivo dalla presenza, in alcune regioni, di "poli dominanti" (la zona rossa, il lombardo-veneto leghista). La comunicazione del M5S si è basata inizialmente su un leader nazionale (Grillo) e sulla "Rete" (internet, i social network): a livello di risultati, il riscontro maggiore si è avuto in ambito nazionale (dove i Cinquestelle hanno assunto posizioni radicali sull'euro, ad esempio) mentre sul piano locale il Movimento non è mai riuscito a conquistare una regione o (finora, almeno) il posto di sindaco in una città capoluogo di regione. I tre maggiori soggetti politici del Paese (più Forza Italia, che molti danno per quarta classificata) sono ormai "partiti del leader", anche se nel M5S si assiste ad una tendenza opposta a quella degli altri soggetti politici, con la scelta di un progressivo passaggio di testimone da Grillo ad una dirigenza nazionale "plurale". Tutti usano forme di comunicazione moderna (solo Forza Italia non ha una presenza su internet e sui social network paragonabile a quella della concorrenza) ma ognuno ha articolazioni locali di diverso tipo e - diciamo così - "intensità". La Lega è di gran lunga la più radicata, seguita da Pd, M5S e, buona ultima, Forza Italia. In occasione di queste elezioni comunali, però, figurano pochi candidati sindaci leghisti nelle città capoluogo di regione (il che, tuttavia, non esclude affatto che il partito di Salvini possa ottenere un buon risultato elettorale) mentre quelli "azzurri" sono generalmente poco "supportati" (tranne il caso di Milano, che tuttavia ci sembra molto peculiare) dal consenso degli altri gruppi di centrodestra. Le difficoltà del "partito leggero" berlusconiano, perciò, potrebbero essere accentuate da questa situazione, soprattutto in realtà come quella romana, dove Bertolaso dovrà vedersela con Giorgia Meloni, leader di un partito - FdI - molto radicato nella Capitale. L'incognita di questo turno amministrativo è dunque rappresentata, nelle grandi città, da Pd e M5S e dalla loro capacità (non potendo contare su "traini nazionali" poco efficaci in elezioni locali) di "sintonizzarsi" con un tipo di competizione che richiede un grande radicamento territoriale. Senza Renzi, Salvini, Grillo e Berlusconi, i candidati dovranno vedersela con i cittadini e con esigenze diverse da quelle che sono oggetto di dibattito sui grandi mezzi di comunicazione di massa. In fondo, è un po' una sorta di nemesi: ora che i partiti debbono la propria fortuna ai leader e alla capacità di personalizzare e nazionalizzare il confronto politico, sono costretti a misurarsi anche con una dimensione lontanissima e periferica. Ecco perchè ogni esito delle “comunali” appare oggi possibile.