Ultimo Aggiornamento:
19 aprile 2025
Iscriviti al nostro Feed RSS

Un passaggio molto stretto

Paolo Pombeni - 19.03.2025
Consiglio europeo

Si vota in Parlamento sulla relazione della premier riguardo a quello che sarà l’atteggiamento dell’Italia al Consiglio Europeo di giovedì e venerdì. Un passaggio molto stretto, che l’opinione pubblica percepisce per lo più nelle semplificazioni di movimenti, intellettuali, populisti e demagoghi, cioè nel modo meno utile per cercare di capire cosa sta accadendo.

Prima di addentrarci dunque in una analisi delle molte posizioni dei partiti politici italiani, proviamo a fissare qualche coordinata che aiuti ad orientarsi. Il primo punto da tenere a mente è che la posizione del governo viene delimitata dal suo ruolo e dal suo posizionamento nello scacchiere internazionale. L’Italia non è una grande potenza, ma non è neppure un piccolo paese marginale, dunque deve stare nelle dinamiche attuali con queste consapevolezze. In pratica significa che da un lato non può permettersi una rotta di collisione con la nuova amministrazione americana (anche a prescindere dal fatto che alla nostra premier stia simpatica), perché siamo storicamente connessi con quel sistema. Certamente la attuale evoluzione alla Casa Bianca può e deve preoccupare, ma non è abbastanza per rompere (del resto nessuno in Europa vuole veramente farlo). Poi è difficile capire cosa davvero abbia in mente Trump e dunque senza entrare in collisione con lui rimane necessario non seguirlo in un percorso confuso durante il quale il rischio di essere scaricati in corsa è alto.

Il secondo punto è che il nostro Paese non può reggere la difficoltà di questi tempi se non restando saldamente ancorato alle dinamiche europee. Anche questo è un terreno scivoloso ed infido, perché la guida in questo momento sta scivolando nelle mani di tre componenti: la Francia e la Germania, nonché la Gran Bretagna che è fuori della UE, ma che punta a stare da leader nel grande gioco europeo. Tutto ciò significa misurarsi con Paesi che hanno, due, Francia e Regno Unito, grande tradizione diplomatica e potenza militare (anche nucleare), e uno, la Germania post elezioni, che ha ritrovato la forza di proporre un investimento di portata gigantesca che le darà un potere di condizionamento assolutamente inedito (e che forse arriverà anche ad avere fra non molto un peso militare).

Chi spinge l’Italia a politiche spavalde, arroganti e isolazioniste (vogliamo chiamarle così per intenderci) non ha imparato a ragionare di politica e di storia internazionale, perché si basa su letture che si fermano ai libretti di propaganda e perché in testa ha vecchi slogan da politica di piazza. Nelle circostanze attuali non è possibile per il nostro Paese altro che una presenza prudente, ma non sfuggente davanti all’incrementarsi degli imperialismi. Non sappiamo come si evolverà il rapporto Trump-Putin ma certo sarà azzardato magnificare intese o rotture, perché si tratterà di percorsi valutabili solo con un po’ di tempo, forse anche su tempi un po’ più lunghi.

Che la Russia venga fermata nelle ambizioni delle sue classi dirigenti attuali che vogliono ristabilire il sogno dell’impero d’Oriente (la terza Roma), che fu in parte dello zarismo e ancor più dell’URSS, è nel nostro interesse. Siamo stati a lungo uno degli incerti confini minacciati dalla guerra fredda e potremmo tornare a qualcosa di simile, anzi oggi con in più le sfide che arrivano dalle inquietudini dell’area mediterranea (vedi la ripresa della guerra a Gaza). Costruire una posizione dialettica nell’ambito dei nuovi equilibri europei non deve significare che si diviene il clown impazzito che si illude di mettere in crisi tutti i rapporti ridicolizzandoli.

Specialmente con l’incertezza della situazione negli USA, si deve realisticamente tenere conto delle nostre debolezze: il rischio che ci siano forze ostili che si coalizzano per far scoppiare le molte tensioni economiche e sociali che abbiamo in corpo va sempre tenuto presente.

Per questo la costruzione di una solidarietà nazionale è della massima importanza. Purtroppo ci sembra di notare che nelle nostre classi politiche, di destra, di centro, di sinistra, è carente una cultura all’altezza della fase storica che stiamo vivendo e certamente i vari media che dovrebbero concorrere a formare l’opinione pubblica non è che siano nella loro maggioranza impegnati a formare le consapevolezze necessarie.

Basta guardare al dibattito di ieri in Senato ed a come viene raccontato per rendersene conto. Tutto è stato dominato più che dalla volontà di costruire una solida base per l’azione internazionale dal condizionamento della politica interna. Meloni è riuscita a tenere insieme la sua maggioranza facendo leva sul ricatto della sopravvivenza al governo: ciò è bastato per ridurre le impennate di Salvini a lasciare qualche spazio ad alcuni pierini della Lega che hanno fatto un loro numero inutile visto che poi si vota la risoluzione concordata dai vertici.

Le opposizioni hanno reso plateale il loro sfrangiamento, reso più drammatico dal fatto che la forza che ne dovrebbe essere il perno, cioè il PD, si è dimostrata inconsistente a livello di visione politica e anche di capacità quanto ad esprimere leadership: tale non può essere considerata una segretaria che si arrocca su un movimentismo di scarso spessore, perché è consapevole di non avere la forza per imporsi a compagni di strada che sono più movimentisti di lei. Del resto l’opposizione interna alla sua segreteria è così timorosa di rompere, proprio perché anch’essa si rende conto di non riuscire ad esprimere personalità che possano sfidare fino in fondo i populismi imperanti.

Quello che si dovrebbe capire è che quanto accade nel nostro Paese è noto ai partner internazionali sicché di conseguenza per Meloni è più che complicato sedersi al tavolo del Consiglio Europeo facendo prendere in considerazione la sua voce e la nostra posizione.