La politica italiana tra Trump e la Germania

Potrebbero essere settimane calde per la politica italiana, ma non lo sono se non per quel che riguarda una quota limitata di fan-club dei partiti in campo. L’impressione a stare in mezzo alla gente normale è che tutto scivoli via come uno spettacolo le cui scene essendo ormai conosciute non suscitano particolare coinvolgimento.
Ovviamente quel che sta succedendo è importante, ma gran parte dell’opinione pubblica fa fatica a rendersene pienamente conto. Prendete la vera e propria esplosione della nuova linea politica di Trump: è così palesemente sopra le righe, paradossalmente teatrale che la gente fa fatica a ritenerla reale e capace di cambiare le cose. Si aspetta più o meno che la bolla scoppi. Naturalmente non andrà così, almeno per un periodo di tempo non breve, tuttavia la preminenza di un sentimento che da un lato si aspetta che succedano sconvolgimenti e che dall’altro li vuol tenere lontani da sé declassandoli fa sì che il coinvolgimento nelle tensioni della politica sia sostanzialmente modesto.
Ne è prova la scarsa presa che ha avuto il terzo anniversario dell’aggressione russa all’Ucraina. Avrebbe dovuto essere una occasione per riflettere seriamente sul cambiamento che abbiamo davanti e che richiederebbe una presa di coscienza sulla svolta che si presenta all’Europa: qualcosa di simile, come aveva giustamente detto Mattarella a Marsiglia, alla crisi degli anni Trenta di fronte alla sfida del nazismo e alla crisi di quel decennio. Invece non c’è stato spazio se non per il solito teatrino stucchevole fra pacifisti astratti, improvvisati dilettanti in realpolitik, invasati a favore della novità presentata dall’avvento di The Donald alla Casa Bianca.
Di qui critiche abbastanza superficiali alla premier Meloni che si è trovata intrappolata nella difficile convivenza fra le sue scelte che per semplicità definiremo atlantiche e l’opportunità che le si è presentata di iscriversi fra gli interpreti benevoli della nuova svolta americana. Realisticamente era difficile per lei non tenere i piedi in due scarpe: siccome è al vertice di un governo e non sui relativamente comodi banchi dell’opposizione deve realizzare una specie di quadratura del cerchio. La sostanza è che sa bene che se scegliesse una delle due sponde si farebbe un nemico molto pericoloso in quello che abbandona, senza guadagnare un amico in quello che ha privilegiato. Vale sul versante internazionale, dove le due sponde sono Trump da un lato e alcuni importanti leader europei dall’altro, ma vale altrettanto sul fronte interno dove se mette in crisi il suo rapporto con il gruppo di comando alla Casa Bianca per scegliere l’Europa, Salvini ne trae spunto per attaccarla senza che le opposizioni la difendano, e stessa cosa se optasse per una scelta di appiattimento su Trump, dando spazio alle opposizioni senza ottenere un sostegno adeguato dai putiniani della sua parte, che correrebbero solo a proclamare che loro l’avevano detto per primi.
I tempi della politica che viviamo sono questi e ne abbiamo avuto prova con le elezioni in Germania. Quale indicazione potremmo trarne, se non le leggiamo coi paraocchi delle passioni di parte? La prima è che una grande mobilitazione popolare per il voto (si è recato alle urne qualcosa in più del 83%) non porta una soluzione, neppure polarizzata. I partiti che hanno ottenuto voti significativi sono 7 (anche se due non hanno superato lo sbarramento del 5%), ma nessuno riesce a rappresentare neppure un terzo del paese, le coalizioni saranno dunque necessarie, ma sono molto difficili perché si tratta comunque di mettere insieme partiti che si sono detestati nemmeno cordialmente per almeno gli ultimi tre anni. Poi alla fine molto probabilmente la “grande coalizione” si farà, ma sarà una volta di più un accordo fra forze che non vogliono veramente condividere una visione sul futuro, incalzate come sono dalle fughe in avanti e dalle fughe all’indietro che affascinano l’opinione pubblica in tempi di angoscia per il futuro. E si sa che con premesse del genere la stabilità è un optional.
In alcuni giornali tedeschi si legge dell’incombere di una “situazione austriaca”, ma non è chiaro come si possa sfuggire ad essa. In Italia si dovrebbe tenere conto di una simile prospettiva nell’ipotesi, non vicina, ma neppure esclusa, che l’equilibrio del governo attuale salti. E in ogni caso sapendo che arriveranno elezioni amministrative varie a far entrare ulteriormente in tensione il nostro quadro politico.
Certamente uno snodo fondamentale sarà rappresentato da come l’Europa, non solo come UE, ma coinvolgendo anche paesi esterni ad essa come la Gran Bretagna e qualche altro, saprà gestire questo passaggio storico. Non c’è solo il problema del rapporto con l’amministrazione Trump, c’è la Cina che non molla la sua presa sulla Russia, c’è la situazione sempre esplosiva in Medio Oriente, per non addentrarci nell’elenco di molte altre tensioni, solo apparentemente minori e periferiche, che travagliano il mondo globale.
L’Italia deve giocare la sua parte in questo contesto, altrimenti verrà cannibalizzata dagli altri attori in campo. Non è semplice, ma soprattutto non potrà farlo se non fa maturare una opinione pubblica che sappia comprendere realisticamente quali sono le componenti della attuale fase di passaggio. Non potrà farlo affidandosi allo spettacolo offerto dallo scontro delle varie tifoserie politiche, ma neppure delegando tutto a questa o a quella classe politica, quando nessuna ha dato una prova convincente di essere all’altezza del momento storico, non da ultimo perché ognuna è molto legata alle nostalgie (nonché alle frustrazioni) del proprio passato e alle diverse culture “futuriste” che hanno imperversato nell’ultimo cinquantennio.
di Paolo Pombeni