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25 gennaio 2025
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Si è oscurato il sole dell’avvenire?

Fulvio Cammarano * - 18.01.2023
Boomers

Per i boomers, 2023 non è un anno astronomico, ma il titolo di un film di fantascienza. Molti di coloro nati nella seconda metà del XX secolo sono cresciuti pensando che, pur tra mille difficoltà, il futuro avrebbe spalancato a porzioni sempre più vaste di umanità un mondo favoloso o, perlomeno, più vivibile. Cosa avrebbe detto una persona nel, poniamo, 1963 se gli avessero chiesto di immaginare il mondo nel 2023? Molte cose positive. Se chiedessero oggi come immagini il mondo nel 2083, temo non ci sarebbe altrettanta fiducia nelle sorti magnifiche e progressive dell’umanità. Quanto segue non intende essere il mala tempora currunt che caratterizza l’umore degli anziani e dei conservatori. Riguarda invece la diffusa sfiducia che si percepisce un po’ ovunque in Occidente proprio in quel mitico futuro migliore, inteso cioè come speranza, se non convinzione, di riuscire presto a rimuovere quegli ostacoli che, qui e ora, impediscono ad un numero crescente di persone di realizzarsi compiutamente. Siamo da quasi un ventennio letteralmente sfibrati dal “vecchio che avanza”, correndo in un logoro labirinto da cui non si riesce ad uscire. La scena “dall’alto” ci mostra una catena di incubi distopici, a partire dalle guerre: sono 59 quelle in corso e non solo non diminuiscono, ma assumono un carattere sempre più minaccioso per la stessa sopravvivenza della specie umana. Se pensiamo che la Prima guerra mondiale è stata presentata come “guerra che doveva mettere fine per sempre alle guerre”, ci rendiamo conto di quanta strada abbiamo fatto! Negli ultimi anni del XX secolo eravamo convinti che nel tempo si sarebbero estinti i regimi totalitari e magari anche quelli basati sui fanatismi religiosi. Non solo non sono diminuiti, ma risultano sempre più protagonisti. E che dire delle democrazie? C’è ancora qualcuno disposto a scommettere sulla inscalfibile solidità della democrazia americana? E l’Europa? Si è sempre parlato di potenza civica, ma nei fatti è sempre ferma al simulacro di sé stessa, impotente, divisa e oggi persino aggredita (almeno nell’immaginario) da fenomeni di corruzione che ne delegittimano il ruolo. Soldi in cambio di favori: sai che novità? Neppure i diritti e le libertà sembrano fare progressi a livello planetario e spesso per difenderli, in molte aree del mondo, si continua, oggi come ieri, a rischiare la vita. Sul piano economico e sociale siamo sempre al “giorno della marmotta”: l’inflazione, i fenomeni speculativi in una realtà globale ancora convalescente per la gravissima crisi finanziaria del 2008, la disoccupazione in ascesa e il ritorno delle odiose manifestazioni di schiavitù moderna. Dentro questo stagno immobile di “un passato che non passa” qualcosa ha però fatto progressi. È il nazionalismo, vale a dire lo strumento più inutile se non addirittura controproducente dal punto di vista dei problemi reali che non ne vogliono sapere di confini e passaporti. La nazione è stata la grande invenzione progressiva del XIX secolo ed ha favorito molti processi di emancipazione, ma adesso che ce ne facciamo di fronte a drammi planetari, come le epidemie, le migrazioni, le devastazioni climatiche? I consessi tra le nazioni per ridurre gli effetti del riscaldamento globale, solo per fare un esempio, sono ormai farse tragiche. In alcuni casi però non mancano ferme prese di posizione nazionali, come ad esempio le riattivazioni delle centrali a carbone! Per quanto sarebbe possibile annoverare anche diversi aspetti positivi in controtendenza - ci mancherebbe! - la foto scattata dalla cima più alta del tempo umano, il 2023, è semplicemente deprimente. Non possiamo negare che talvolta, nei momenti più difficili, finiscono per emergere fenomeni o risorse sconosciute, inattese che, a mo’ di deus ex machina, producono variazioni di rotta impensabili per quelli che vivono nell’orizzonte del presente. Tuttavia, non è mai salubre affidarsi allo stellone, all’imprevedibile sapendo che il più delle volte tali trasformazioni si conquistano con l’azione di chi, qui ed ora, decide di contestare scenari di cui siamo comunque tutti, pro quota, responsabili. Molte delle decisioni che ci hanno portato all’attuale catastrofico immobilismo sono il prodotto di scelte o inerzie di classi politiche che non hanno la forza di opporsi alla volontà di “entità” private i cui bilanci risultano ormai da tempo straordinariamente superiori a quelli della maggior parte degli stati nazionali. Immobilismo e sudditanza. Vediamo un esempio per nulla scontato: il recente annuncio del riuscito esperimento di fusione nucleare, negli Stati Uniti. La bella notizia - che ci informa come sulla terra sia possibile avere energia pulita, illimitata e gratuita (praticamente la soluzione a più della metà dei nostri attuali guai) - è accompagnata però da una postilla: ci vorranno 50 anni per arrivare ad un utilizzo effettivo. Il tempo in questo caso non è un dato oggettivo ma una variabile direttamente proporzionale agli investimenti. Allora è inevitabile domandarsi: perché non si uniscono le forze per accelerare la realizzazione del “sole sulla terra”? Probabilmente perché si procede in ordine sparso di fronte ad interessi forti che richiedono transizioni lente, lentissime, nonostante l’evidenza di un pianeta in grave sofferenza. È solo uno degli esempi in cui il passato non passa perché si formano cortocircuiti politico-economici e culturali che lo bloccano. Ecco, dunque, dove è urgente che entri in scena la politica come pressione per il cambiamento, consapevolezza democratica in grado di spingere il potere costituito verso il raggiungimento di obiettivi vitali per la maggior parte del pianeta.

Si potrebbe osservare che si tratta di un traguardo utopico. Una sorta di appello alle “anime belle” che non tiene conto della complessità di un mondo sempre più frammentato, impaurito, diviso. Ma l’utopia a volte muove le acque stagnanti e crea quella corrente d’aria pura indispensabile per produrre trasformazioni radicali. In fondo è già successo nella storia. Nel 1848, in un’Europa chiusa in sé stessa, senza internet e senza telefono, è stata l’esplosione della piazza affamata di libertà e costituzione a condurre una parte del continente verso un’accelerazione del tempo storico, verso un cambiamento radicale che nessun potere avrebbe mai accettato. Chi pensa di essere stanco di rimanere prigioniero del passato, di immaginare si possa andare oltre la preistoria, di cui l’antropocene è parte integrante, deve chiedersi se non sia arrivato il momento di un protagonismo di massa che ci permetta di fare il primo passo nella storia, mettendo al centro della scena pubblica non la rapace compulsione estrattiva del capitalismo più becero, ma un nuovo progetto costituente che guardi ad un diverso rapporto tra politica e vita.

 

 

 

 

* Ordinario di Storia Contemporanea – Università di Bologna