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Le "bolle" della comunicazione

Luca Tentoni - 08.09.2018
Lorusso e Riva

Pressoché ignorata per gran parte della Prima Repubblica, la comunicazione politica è diventata una delle principali protagoniste della Seconda. Negli ultimi anni, tuttavia, dalla "propaganda" più o meno sofisticata, si è passati ad un approccio doppiamente "personalizzato": in alto, verso la figura del leader, che ha rapidamente oscurato - se non sostituito - quella del partito; in basso, verso i fruitori dei messaggi politici, divisi e classificati da algoritmi in tante classi di "clienti da soddisfare" ma soprattutto da catturare, grazie a tecniche discorsive ed emotive "su misura". L'avvento dei social network non ha creato una tendenza che era già in atto, ma certo ha contribuito ad aumentare e a potenziare enormemente l'impatto della propaganda, la diffusione di informazioni di parte e di notizie spesso al limite fra il verosimile, il fantasioso e l'artatamente falso. Di questo scenario si occupano - da angolature diverse - due recentissimi volumi, uno di Anna Maria Lorusso per Laterza ("Postverità") e uno di Giuseppe Riva per Il Mulino ("Fake news"). La questione della post-verità, sostiene Lorusso "è semiotica, perché ha a che fare con i modi in cui, attraverso le pratiche discorsive, costruiamo la verità (...). Non possiamo pensare il problema delle verità al di fuori delle pratiche discorsive che la producono, la presuppongono, la moltiplicano. Se vogliamo vedere nella postverità qualche tipicità del mondo contemporaneo, dobbiamo guardare al rapporto con i media (...) che funzionano come sistemi modellizzanti del reale; non rappresentano un reale già fatto che sta da qualche parte autonomamente, ma costruiscono il reale, lo modellano, offrendo quei paradigmi valoriali, identitari, comunitari con cui agiamo e facciamo il mondo". Però, attenzione: la postverità, secondo Lorusso, "non nega la verità, ma la moltiplica e la privatizza. Oggi chiunque sembra autorizzato a produrre la sua versione della verità. Non la sua versione del mondo, ma una versione del mondo che pretende di essere vera, che vuole il bollino di qualità della verità, secondo un nuovo latente manicheismo. In questo mondo di verità moltiplicate, non si sente più la necessità di una legittimazione istituzionale e questo moltiplica le versioni possibili". In tale ambito, il ruolo degli "spazi virtuali" offerti dai social network, la personalizzazione e - aggiungiamo noi - la dispersione e frammentazione dell'autorità del sapere e degli esperti conseguente alla loro delegittimazione sono elementi che offrono la possibilità di intervenire sulle scelte politiche dei singoli, forse - almeno apparentemente - "accompagnandole" più che orientandole. Ma, soprattutto, come spiega Riva, "da una parte, i nostri comportamenti all'interno dei social media sono immediatamente visibili sia dagli amici e dai follower, sia dai social network che li raccolgono e li studiano per poi venderli ai propri inserzionisti; dall'altra, ogni comportamento agito nei social mette direttamente in relazione la nostra soggettività con quella degli altri membri della rete e con i contenuti mediali da essa prodotti". Così, "quello che faccio nel mondo digitale ha un'influenza diretta sul mondo fisico e viceversa, indipendentemente dal fatto che io lo voglia o meno; il risultato finale è un nuovo spazio sociale ibrido - l'interrealtà - che mescola il mondo digitale con quello fisico". È la creazione di comunità digitali "le comunità di pratica digitale" (Riva) "in grado di produrre fatti sociali con un potere coercitivo sulle identità sociali dei membri della rete. È proprio trasformando le fake news in fatti sociali, che queste assumono forza e impatto". Qui, pur partendo da approcci completamente diversi (uno semiotico, l'altro tipico della scienza della comunicazione) i due testi arrivano allo stesso approdo, la creazione delle "echo chambers" e dei meccanismi di adesione alle verità del gruppo. Ma ci arrivano percorrendo strade differenti: secondo Lorusso, il percorso inizia negli anni Ottanta e Novanta, con la progressiva nascita di qualcosa che è l'evoluzione del "reality" televisivo: "quando abbiamo iniziato a confondere lo spazio dello spettacolo con il nostro spazio di casa, col telecomando a votare il più bravo, non abbiamo avvertito il rischio; non abbiamo capito che stavamo abbattendo la parete che separa lo spazio di una finzione spettacolare dallo spazio del pubblico. A teatro si parla di quarta parete, quella che non c'è eppure esiste, a separare due mondi completamente diversi: quello del palco e quello del mondo reale". Non è un caso che da almeno dieci anni la politica - soprattutto in paesi che hanno studiato come utilizzare queste tecniche psico-sociali prima di noi - abbia compreso (come fece Mussolini negli anni Trenta, quando capì le potenzialità della radio prima e del cinema poi) che i social media (allora, la cinematografia) sono davvero l'"arma più forte". Purché, tuttavia, usata in modo molto diverso dai vecchi media. Per raggiungere tutti i segmenti del proprio elettorato effettivo e potenziale, così, si è fatto ricorso alla segmentazione, alla profilazione. Se è vero che, secondo Kosinski, basta sapere a che cosa il soggetto ha attribuito trecento "mi piace" per conoscere i suoi gusti (di ogni genere) meglio del coniuge, il gioco è fatto. E se la nostra attività sui social network ci porta a seguire le solite persone, i soliti account, un po' perché ci "somigliano", un po' perché ci confermano nelle nostre convinzioni, ma un bel po' anche perché è l'algoritmo a proporci più spesso i loro post, ecco che entriamo a far parte di una comunità. Un piccolo villaggio, spesso, oppure un insieme più grande, che però è molto omogeneo dal punto di vista dei valori, del sentire e spesso delle esperienze di vita comuni (questo punto è importante, nell'epoca in cui l'aspetto emotivo prevale, nell'informazione, su quello razionale). Eppure l'offerta è enorme: "quasi paradossalmente, nel regime della postverità la verità non sfuma per sottrazione e negazione, ma per moltiplicazione ed eccesso; questo, in fondo, fanno i social, dove la moltiplicazione si dà una forma specifica, quella dell'eco: le cosiddette echo chambers" (Lorusso). Insomma - prosegue l'autrice di "Postverità", "siamo nel pieno di quella che Mirzoeff chiama una new media reality. Si dice sempre che Trump ha vinto perché ha fatto un uso strategico e innovatore di Twitter e Facebook. Non dimentichiamo che il suo profilo, la sua identità, si sono definiti in un reality". Di fronte a tante informazioni, che sono tutte potenzialmente vere ma non tutte gradevoli per chi le potrebbe ricevere, si arriva ad una selezione/autoselezione rassicurante per l'utente, che corrisponde al suo meccanismo cognitivo di "confirmation bias" per cui "tende a muoversi entro lo spazio di convinzioni già acquisite" (Lorusso). Le "filter bubbles", prosegue l'autrice, "hanno condotto ad un mutamento radicale delle nozioni di verità, autorità, credibilità, visibilità sociale. Nelle bolle in cui ciascuno di noi si trova, le verità sono assolute, perché non sono messe in discussione, non hanno controaltari, versioni dissonanti o semplicemente diverse. La categoria di autorità è svuotata. La parola chiave è disintermediazione". Ci ricorda qualcosa, in Italia? "Ci è sembrata liberatoria, perché abbiamo pensato che potessimo prescindere dalle mediazioni; abbiamo immaginato un contatto diretto col mondo, il reale, la verità, le persone. Nelle bolle tutto risulta estremamente credibile. Si creano così fenomeni di radicalizzazione di cui il web è pieno". A rendere più forte "l'impatto dei silos sociali è l'indebolimento progressivo delle comunità offline e del capitale sociale da esse generato", come afferma Riva, che aggiunge: "in quindici anni l'attenzione media durante la fruizione dei contenuti digitali è diminuita del 50%, passando da 12 secondi a 8 per ogni contenuto" (ciò rende probabile, perciò, che pochi siano arrivati a leggere questa parte del mio articolo per Mentepolitica...); dunque, secondo l'autore di "Fake news", "la rete non è in grado di discriminare efficacemente tra contenuti di alta e bassa qualità, fornendo il contesto ideale per la diffusione delle fake news; davanti a una scelta crescente, la scarsa attenzione spinge il soggetto a scegliere notizie e contenuti che non entrino in conflitto con la propria visione del mondo. Se ho poco tempo per scegliere, vado sul sicuro". Come scrive Anna Maria Lorusso, "l'epoca della postverità si nutre di gemmazioni cancerogene di narrative già esistenti e consolidate e mette in evidenza come il problema vero non stia forse nella bufala in sé, ma nella narrativa di fondo, nel fatto cioè che riescono a consolidarsi convinzioni, spiegazioni, racconti che non trovano argini, ma conferme. La logica narrativa della postverità non procede per slittamenti ma per esasperazioni: dato un frame, si collocano in quel frame casi episodici che lo confermano e lo esasperano". La rabbia, l'intolleranza, l'omofobia, "l'immediatezza (come forma della temporalità ma anche come rifiuto di ogni mediazione) sono passioni e temi che attraversano molte narrazioni e che sembrano attendere solo occasioni per essere ri-narrate, in un costante circuito di ri-sensibilizzazione che rende molto difficili percorsi fuori da questi schemi. Siamo immersi in un brodo di passioni, che è diventato il nostro brodo di coltura, e che vive attraverso la multicanalità mediatica" (Lorusso). In un mondo di verità moltiplicate e assolutizzate, "la cosa più seria che si perde non è il vero, ma il legame sociale; dobbiamo stare attenti a non perdere di vista la posta della verità, che (...) è anzitutto il legame sociale, qualcosa che si dà sul piano etico e politico. Saper discriminare la verità", conclude Lorusso, "significa condividere saperi e condividere saperi significa essere parte di una medesima comunità". Ci si pone, dunque, il problema di un uso dello spirito critico nell'esperienza quotidiana nei social media. Come spiega Sunstein, "gli incontri non programmati e non scelti spesso si rivelano molto proficui sia per gli individui che per la società nel suo complesso. In alcuni casi, possono cambiare la vita delle persone. La stessa cosa vale, in modo diverso, per quelli non voluti. Certe volte vi potrebbe irritare vedere un editoriale scritto dal giornalista che meno amate. Forse non sarà un gran divertimento, ma potrebbe indurvi a riesaminare o anche correggere le vostre opinioni". Come ricorda Riva, "la libera circolazione delle idee supporta lo spirito critico in presenza di due fattori: la diversità delle idee e la capacità del sistema di discriminare quelle migliori". Ogni utente di smartphone, aggiunge, "lo controlla in media 150 volte al giorno, una volta ogni 6 minuti. Solo uscendo da questo loop diventa possibile fermarsi e riflettere sul senso che hanno i propri comportamenti". Una meditazione sulla nostra esposizione mediatica non riguarda dunque solo le convinzioni politiche, ma i campi più svariati del nostro agire, prima che la "bolla" (alla cui costruzione abbiamo contribuito più o meno scientemente anche noi) si chiuda per sempre, senza lasciarci vie d'uscita.