Argomenti
La legge del pendolo (che si muove veloce)
Lasciate perdere le dichiarazioni di leader nazionali, di vincitori e perdenti locali: è roba più o meno di repertorio, retorica per i media. Aiutano fino ad un certo punto le pur importanti analisi tecniche su variazioni e flussi del consenso. Il tema vero in politica è sempre il significato da dare a quanto è accaduto in questa tornata di elezioni amministrative.
E allora proviamoci. Il primo punto è che queste elezioni hanno avuto un significato più di tendenza del sentimento pubblico (nazionale) che di radicamento nelle realtà amministrative. Almeno per le città maggiori, tranne il caso di Milano, c’era poco da giudicare sulle capacità di governo dei candidati, personaggi nuovi o comunque marginali come “leader” (significa: guide) delle rispettive comunità cittadine. Hanno pesato molto di più i riflessi di scelte demagogiche assunte a livello nazionale. La dissennata campagna propagandistica di Salvini e Meloni alla rincorsa di quella che pensavano fosse la “pancia” del paese ha delegittimato un centrodestra che ha raccolto un doppio frutto avvelenato: un restringimento del suo perimetro di consenso e una spinta di gran parte del paese verso il rifiuto della politica da talk show, come si è visto con l’esplosione dell’astensionismo.
Questo ci consegna una nuova geografia del consenso politico? leggi tutto
L'autorevolezza di Draghi frena le pregiudiziali ideologiche
Sta dimostrando di possedere le buone doti del decisore politico che lui stesso aveva enunciato nella lectio magistralis alla Cattolica per il conferimento della laurea ad honorem, Mario Draghi, nella sua attuale veste di Presidente del Consiglio.
Al punto che ancora da Palazzo Chigi o dal Quirinale, la sua presenza si rivelerebbe salutare per la buona politica e rassicurante per il popolo italiano. Se quelle doti sono ancora la conoscenza-competenza, il coraggio e l’umiltà, il premier dimostra una accurata conoscenza dei meccanismi istituzionali e si muove a suo agio nei meandri del politically correct ma con un occhio di riguardo alle dinamiche internazionali, puntando su un più saldo accreditamento dell’Italia nell’Unione europea e nella geopolitica mondiale, esprime il coraggio necessario ad affrontare i problemi reali a livello economico e sociale nel perdurare dell’allerta pandemico e sa essere umile al punto giusto – come gli potrebbe raccomandare William Shakespeare (“presta a molti il tuo orecchio e a pochi la tua voce”) - nel considerare con par condicio le forze politiche del rassemblement atipico che sta sostenendo l’azione di Governo.
La sua esperienza ai vertici della Banca d’Italia e della BCE ha affinato le doti personali e il talento innato e si sta rivelando leggi tutto
La demagogia e la questione fiscale
Quando non è impegnato coi migranti, green pass, e altro, Salvini si butta volentieri sulla questione fiscale. La sua richiesta di avere un “impegno scritto” a non aumentare le tasse sulla casa nel 2026 è semplicemente ridicola: non solo perché anche in tempi normali (e questi non lo sono) è impossibile prevedere come saremo fra cinque anni, ma perché nessuno sa che maggioranza politica ci sarà allora (come minimo ci sarà stata una tornata di elezioni nazionali) e che governo sarà in carica. Ammesso e davvero non concesso che Draghi possa essere così balordo da infilarsi a sottoscrivere un impegno del genere, non avrebbe nessun valore, non diciamo giuridico, ma neppure politico.
Ciò che tuttavia stupisce di più è che non si riesca mai a impostare un serio discorso sul problema fiscale. Certo ogni tanto qualcuno ricorda che c’è un abisso fra quel che si raccoglie con la tassazione e quel che lo stato spende: secondo l’istituto “Itinerari previdenziali” nel 2019 con l’IRPEF si sono incassati 15 miliardi, per scuola, sanità, assistenza, ecc. se ne sono spesi 174. Ovviamente ci sono altre forme di entrate a cui lo stato può attingere, come la tassazione indiretta, ma nessuno crede che bastino a colmare questo divario, sicché alla fine è tutto debito pubblico, leggi tutto
La fine del "traino dei sindaci"
Sull'esito del primo turno delle elezioni amministrative è stato scritto molto, soprattutto per quanto riguarda le liste e le coalizioni. È passato invece un po' sotto silenzio il rendimento reale dei candidati sindaci. Il destra-centro ha scaricato l'insuccesso nelle metropoli sugli aspiranti primi cittadini (dopo averli scelti) ma forse bisognerebbe guardare oltre, anche al centrosinistra. Ad una coalizione che - in due casi col M5s - ha saputo mettere insieme un milione e 56mila voti (compresi quelli ai candidati sindaci) nelle sei metropoli andate alle urne, col 43,3% delle liste, si può dire poco, soprattutto se si considera che il destracentro si è fermato al 31,5% e 772mila voti (fra liste e consensi ai candidati sindaci). Eppure, qualcosa non torna. Se i due maggiori schieramenti hanno raccolto nelle sei "capitali regionali" (Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna e Trieste) il 74,8% dei voti di lista, spazzando via i "terzi incomodi", è però vero che i voti ai soli candidati sindaci dei due poli ammontano solo al 55,3%, cioè 103,9 mila sui 187,6 totali. La facoltà di esprimere un voto solo per il candidato sindaco è ormai utilizzata da pochi (75 votanti su mille), però si tratta di espressioni di consenso alla persona che hanno un valore politico. A Roma, per esempio, è successo di tutto: su 94.959 leggi tutto
Un test importante, ma da analizzare bene
Mai come in politica vale il detto: una rondine non fa primavera. Se andiamo a ritroso e vediamo per esempio l’ultima fase della cosiddetta prima repubblica, troviamo numerosi casi in cui risalite della Dc o incrementi del Pci venivano interpretati come segni a seconda dei casi o della tenuta del vecchio sistema o dell’avvento incombente dell’opposizione al potere. Non è andata così e il sistema poi è crollato quasi di punto in bianco.
I movimenti in politica sono spesso lenti e sussultori. Probabilmente sta accadendo così anche oggi. E comunque è bene tenere conto che tutto si inserisce in un sistema più generale che certo subisce l’impatto degli eventi, ma che cerca di assorbirli in qualche modo, anche se non è detto che ci riesca.
Vediamo dunque di cogliere qualche elemento in quel che sta davanti a nostri occhi. Innanzitutto il fenomeno del pesante astensionismo. Ha indubbiamente molte cause ed è un fenomeno composito perché le ragioni per cui ci si astiene possono essere diverse. Ci permettiamo di sottolineare che un contributo non secondario all’astensione l’ha dato l’orgia di demagogia a cui abbiamo assistito. Quando si gioca a scatenare il disprezzo della gente per la fatica della politica, non ci si deve stupire se poi leggi tutto
Recessione morale
Non ho alcuna intenzione di scagliare la prima pietra né tantomeno di ritagliarmi uno spazio da moralizzatore: nessuna delle due cose rientra nel mio stile di vita e aborrisco la dietrologia, le opinioni gratuite e i giudizi a buon mercato.
Ho però la vaga impressione di aver già letto da qualche parte – sicuramente nei libri di scuola – una qualche descrizione delle caratteristiche proprie dei periodi di decadenza: se ne parlava ad esempio ai tempi dell’impero romano e poi la storia si è ripetuta più volte.
Sembra che anche adesso ci tocchi di riviverla, in formato di ’post-modernità’ pandemica.
In genere non c’è mai stato un limite al peggio: ingiustizie, miserie, soprusi, angherie, sopraffazioni, sovente anche in nome del progresso e della civiltà.
Se, raccogliendo l’invito del teologo Vito Mancuso, dovessi pormi davanti alla storia dell’uomo per decifrarne il senso e la continuità, penso che la prima osservazione che mi verrebbe in mente sarebbe più o meno questa: che da che mondo è mondo l’umanità è protesa in una incessante ricerca di cambiamento, di opportunità di vita migliori, di tensione verso il progresso.
Uno sforzo continuo e – a leggerlo tutto d’un fiato – gigantesco di vivere adattandosi al contesto e modificandolo incessantemente per realizzare leggi tutto
Lezioni tedesche?
Non c’è niente di più facile che attribuire alle elezioni negli altri paesi il significato che più fa piacere a chi lo formula da casa nostra. Pochi conoscono le peculiarità presenti in un’altra nazione e si può facilmente attribuire a quel che è successo il “colore” che più aggrada al nostro politico di turno.
Ciò non significa che qualche spunto di riflessione non si possa proporre, lasciando perdere le strumentalizzazioni banali. Vogliamo citare le due più clamorose. Una è quella di Letta che si precipita a dire che la lezione che viene da Berlino è che dalla crisi della pandemia si esce a sinistra, quando tutti sanno che Scholz ha vinto come candidato “moderato” e riformista, dopo essere stato in un recente passato duramente contestato dall’ala sinistra della SPD che non lo ha voluto presidente (ci risparmiamo i paralleli con il PD). L’altra è quella secondo cui i partiti in Germania manterrebbero un forte radicamento tradizionale, come se non si fosse vista una consistente mobilità che in un trentennio ha cambiato il quadro politico e le fedeltà elettorali. Lì come altrove sulle bandiere di parte hanno prevalso le figure dei candidati, le persone sono venute prima del richiamo della foresta alle identità ideologiche. leggi tutto
Alle origini del rischio educativo e del disagio scolastico
Cresce il numero delle segnalazioni che le scuole inoltrano ai tribunali minorili per rappresentare situazioni di forte disagio riscontrate negli alunni, al di là dello “scolasticamente risolvibile”, con motivazioni variegate rispetto alle esperienze e ai vissuti, oltre che dense di significati impliciti o difficilmente intellegibili.
Da molti anni il sistema scolastico del nostro Paese presta particolare attenzione al tema del diritto allo studio, inteso come domanda sociale di istruzione ma anche come strumento per sviluppare le potenzialità di crescita intellettuale, emotiva, relazionale di ciascuno attraverso un’offerta di opportunità formative sempre più individualizzate e mirate. Disagio scolastico e insuccesso educativo riguardano bambini e adolescenti che in diversa misura non riescono a compiere il percorso dell’obbligo, che si assentano dalle lezioni per periodi a volte talmente lunghi da compromettere l’esito dell’anno scolastico ma questa “inadempienza” è sovente la punta di un iceberg che nasconde situazioni più complesse, cui la scuola da sola non sempre riesce a tener fronte, indipendentemente dalla collaborazione o viceversa dal disimpegno delle famiglie. L’esperienza di ascolto dei minori che attraversano momenti di difficoltà rispetto alla frequenza scolastica consente di risalire alle motivazioni che hanno originato il “gap”, il distacco, l’allontanamento dal contesto formativo: la pratica del colloquio con i leggi tutto
Riforme a costo zero?
Di qui a fine anno ci sono 42 riforme da fare se vogliamo avere i soldi del Recovery europeo. E magari anche qualcun'altra che non è obbligatoria, ma che sarebbe bene realizzare per tenere il quadro in equilibrio. E si dovrà varare anche la nota di aggiornamento del prossimo bilancio dello Stato in vista della legge finanziaria che va approvata entro fine anno se non vogliamo finire nell’esercizio provvisorio, incompatibile con la gestione dei fondi del PNRR.
Il governo lo sa e ci sta pensando. I partiti lo sanno anche loro, ma non vogliono pensarci perché devono fare le loro battaglie elettorali. E qui casca l’asino. Non è soltanto questione di dilatare e ritardare tutto di almeno trenta, se non quaranta giorni, per attendere che siano espletati i ballottaggi e che i partiti abbiano “digerito” i risultati elettorali: già non sarebbe poco, visto che è un terzo del tempo che ci è concesso per varare le riforme. Si tratta, quel che è peggio, di superare la logica a cui i partiti (ma non solo loro), una parte spudoratamente, una parte con qualche ritrosia, si stanno piegando: che si possano fare le riforme a costo zero.
Non ci vuol molto a notare che in questo momento abbondano leggi tutto
L’incognita Quirinale
Per quanto molti politici si sforzino di dire che sarebbe opportuno cominciare a parlarne a gennaio, il tema che corre neppur troppo sotterraneo all’interno della nostra classe politica riguarda proprio la successione a Sergio Mattarella. Intendiamoci, non è affatto una novità. Fin dagli ultimi sette mesi della presidenza Einaudi si discusse in anticipo della successione e, basta leggersi un po’ di memorialistica, anche dell’opportunità o meno di rieleggerlo. La stessa cosa capitò con Gronchi e poi con Pertini, per citare due casi in cui anche i diretti interessati esplorarono le possibilità di una loro permanenza al Quirinale. Né sono gli unici casi.
Tuttavia oggi siamo di fronte ad una novità assoluta, anzi a più d’una. La prima è che siamo in presenza di una emergenza nazionale con problemi di gestione dell’uscita da essa. Un qualche parallelo potrebbe esserci con l’elezione di Pertini per l’emergenza terroristica dopo l’assassinio di Moro, ma era un fenomeno più circoscritto e non contemplava un programma di ricostruzione come quello di oggi (per di più sotto condizionamento europeo). La seconda è che il successore di Mattarella sarà eletto da un parlamento che al massimo nel giro di un anno e mezzo sarà rivoluzionato dal taglio dei parlamentari approvato per leggi tutto