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La battaglia contro la pandemia passa dal rispetto della natura
Il tempo dell’incipit del Covid 19 sembra appartenere alla preistoria, ciò che interessa in questo momento è concentrare risorse ed energie sui piani vaccinali: fase dirimente per vincere questa lunga battaglia anche se risalire alle origini e capire sarebbe utile per evitare che essa diventi l’episodio di una guerra più lunga e indefinita. Per metterla sul banale guardare al presente per ipotecare il futuro senza cogliere la causa che ha scatenato il putiferio è come tappare un lavandino senza chiudere il rubinetto. Non tutti i Paesi del mondo usano la stessa strategia per battere il virus e questo in epoca di globalizzazione dovrebbe indurre ad approfondire i fenomeni demografici previsti entro la metà di questo secolo: non si può blindare una intera popolazione nei confini nazionali rispetto a flussi etnici che diventeranno stanziali. È stato per me interessante approfondire questo argomento con l’illustre demografo e Presidente ISTAT Prof Giancarlo Blangiardo. Ma intanto andiamo avanti a tutto spiano con le somministrazioni: raggiunte le immunità di gregge difendibili solo rendendo difficili gli spostamenti da Paese a Paese vedremo quanto questa trincea potrà reggere. Esattamente il contrario del paradosso che si è materializzato in questi giorni: bloccati in casa in una Italia tutta rossa mentre sono ammessi i leggi tutto
L'ora della complessità
Il crescere delle inquietudini sociali con l’aperta sfida alla legge di membri di alcune categorie (il movimento “Io apro” di ristoratori e baristi), episodi di rottura da parte di qualche presidente di regione (emblematico De Luca in Campania) e più in generale le notizie sugli umori sempre più esasperati presenti in quote dell’opinione pubblica preoccupano, come è ovvio, il governo. Ci si aggiunga il morso di una situazione economica che fa crescere le disuguaglianze in un paese che ha puntato molto sul settore dei consumi, situazione a cui si può ormai rispondere solo in maniera molto limitata con il ricorso ai “ristori” (che fra l’altro sono pur sempre un ricorso al deficit di bilancio, qualcosa che prima o poi si dovrà pagare).
Sembra adesso che il governo si stia smarcando da una linea aprioristicamente rigorista per provare ad immaginare una politica che consenta di andare incontro al bisogno di un qualche ritorno alla normalità. La scelta è molto onerosa e altrettanto rischiosa perché c’è il timore che si ripeta quel che successe la scorsa estate: le riaperture furono vissute come il classico “liberi tutti” e il virus trovò ottime condizioni per riprendere il suo lavoro contagiando in maniera peggiore di prima. leggi tutto
Un passaggio difficile: la nuova legge elettorale
Apertamente se ne parla poco, perché si stima che la gente non capirebbe un interesse in piena pandemia per una riforma della legge elettorale. Eppure è un passaggio fondamentale, non da ultimo perché potrebbe servire anche fra non troppo: se, come è possibile se non probabile, l’esperimento del governo di salute pubblica guidato da Draghi cesserà con l’elezione del successore di Mattarella, c’è a malapena un anno di tempo per arrivarci. Come tutti gli addetti ai lavori sanno, non è uno spazio temporale molto grande per un passaggio così impegnativo.
Data la situazione in cui ci troviamo sarebbe innanzitutto necessario arrivare ad una nuova legge con un ampio consenso, altrimenti poi si avranno risultati elettorali subito delegittimati dal sospetto che siano frutto di manipolazioni sfacciate anziché di un rilevamento credibile della volontà del paese. Un lusso che nelle condizioni della ricostruzione post-pandemia non possiamo permetterci. Peraltro andare al voto col sistema attuale dopo aver varato una disinvolta riduzione dei parlamentari sarebbe poco sensato: il mix di uninominale secco e di proporzionale a fronte di una geografia politica in ebollizione e di un numero ristretto di seggi da mettere in palio aprirebbe dovunque lotte intestine che non porterebbero bene.
Il dibattito che si era leggi tutto
La battaglia di primavera
Mario Draghi sa bene quanto sia delicato il passaggio che sta affrontando: vincere questa che si può definire la battaglia di primavera significa poter sperare di vincere la guerra contro il Covid in tempi non troppo remoti. Due sono i fronti su cui deve combattere. Il primo è sotto gli occhi di tutti ed è la campagna per le vaccinazioni di massa. Il secondo è quello che viene tenuto lontano dai riflettori ed è il completamento del Recovery Plan (più esattamente PNRR) nella speranza di avere da Bruxelles la sua approvazione prima dell’estate.
Sono due aspetti interconnessi perché col successo in entrambi il paese si compatta e, per ripetere una felice frase del premier, ritrova “il gusto del futuro”. È proprio la carenza di questo a tenere in questo momento congelato il paese, stretto fra le ossessive cronache (si fa per dire) dei talk show su quanto ci aspetta sul fronte Covid e le pressioni divergenti delle forze politiche che formano l’attuale coalizione.
Il successo nella campagna vaccinale dipende certo dall’arrivo di un numero sufficiente di dosi, e su questo il governo ci mette la faccia, ma anche dalla capacità di inocularli secondo un piano razionale ed efficace: e qui cominciano i problemi. Non tutte leggi tutto
Dal controllo interno al controllo sociale
Una delle esigenze postulate con crescente enfasi in tutti i più avanzati modelli di organizzazione sociale è la possibilità di utilizzare diverse chiavi di accesso e di lettura al fine di osservarne il funzionamento, nella prospettiva della loro ottimizzazione.
Quando si parla di trasparenza si intende l’esercizio di una facoltà di penetrazione e di controllo sui meccanismi e sulle finalità del contesto istituzionale considerato.
Tanto che da tempo si insiste sul concetto di “controllo della qualità” allo scopo di rendere tangibile e manifesta la nozione di “bene comune”: se la qualità fosse misurata soltanto dai gestori di un servizio essa avrebbe una valenza prettamente autoreferenziale e giustificativa.
Questo criterio si dovrebbe applicare con maggiore frequenza al funzionamento della complessa macchina politica, agli assetti e ai servizi resi dalla Pubblica Amministrazione, all’intero quadro istituzionale nelle sue articolazioni centrali e periferiche, in quanto una più puntuale definizione del tipo di controllo da realizzare è propedeutica e preliminare al concetto stesso di democrazia partecipata.
In una dittatura o in un sistema di oligarchie ristrette il diritto di esercitare una funzione di controllo sul potere è negato in partenza: chi lo detiene saldamente, infatti, preclude pregiudizialmente ogni accesso e la realtà visibile agli occhi dei più appare leggi tutto
Letta non fare l’Enrico
Qualcuno all’interno del PD si è compiaciuto perché Letta si chiama Enrico e questo potrebbe rimandare ad Enrico Berlinguer e far risorgere la sua proposta politica. Francamente speriamo che il nuovo segretario non cada in questa trappola, perché non è proprio il caso. Non tanto perché la situazione attuale è ben diversa da quella degli anni Ottanta del secolo scorso, ma perché il modello Berlinguer è purtroppo quello in cui vorrebbero incappucciarlo persone che non crediamo siano suoi amici. Eppure qualche mossa iniziale dell’Enrico Elle un po’ scivola sulla china che non portò bene all’Enrico Bi.
Il segretario del PCI, sull’onda di quel che sosteneva all’epoca la stampa “amica”, si fece intrappolare ad avviare il suo partito verso quella trasmissione che alcuni, Ermanno Gorrieri fra questi, definirono un “partito radicale di massa” (alla Pannella). Era la resa ai miti del momento, a quegli idola tribus che sembravano portare il PCI alla futura guida dell’alternanza: l’austerità, la diversità, la presunzione di essere fuori dai “vizi” del sistema politico italiano. In realtà portò i suoi successori (perché non sappiamo ovviamente cosa sarebbe accaduto se Berlinguer non fosse morto prematuramente nel 1984) all’affermazione sulla scena di Berlusconi.
Oggi Letta sembra cedere ai nuovi idola tribus attuali per conquistare leggi tutto
Il paese dello zero virgola
Valutando la gestione politica della pandemia, ad oltre un anno dalla sua genesi, il Presidente del CENSIS Giuseppe De Rita si è soffermato – in una recentissima intervista - su due elementi di criticità: la scelta di andare a rimorchio degli eventi, rincorrendoli e la carenza di un’ informazione adeguata, sostituita da una comunicazione dai toni emotivi e dalle ripercussioni ansiogene, sincopata, rapsodica, sistematicamente caduta dall’alto e all’ultimo minuto. Se la classe dirigente del Paese imbocca queste due strade dimostra di non possedere capacità di visione d’insieme, lungimiranza e coordinamento, creando le premesse per una sorta di psicosi collettiva da “sospensione”: di scelte, indirizzi, decisioni che sono elementi costitutivi del binomio competenza- responsabilità e che si riverberano sul piano sociale con comportamenti assoggettati a sentimenti di incertezza e insicurezza, vissuti emotivi di sconcerto. Quanto dura la chiusura delle scuole? Chi procura i tablet per la DAD? Quando arriva il mio turno per vaccinarmi? Aver imboccato la via dei DPCM a spron battuto ha generato la sensazione di vivere un lungo periodo di sbandamento generalizzato, con atteggiamenti collettivi condizionati dall’inevitabile sensazione di subire gli eventi, anche nelle polarizzazioni opposte delle chiusure e del liberi-tutti- la società ha metabolizzato un vuoto di gestione, foriero di contraddizioni e suggestioni tutt’affatto rassicuranti. leggi tutto
Il PD e la legge elettorale
Nel suo discorso di investitura alla segreteria del Pd, Enrico Letta ha archiviato la stagione della "vocazione maggioritaria" per tornare ai tempi delle coalizioni prodiane, quelle che - come l'Unione - non puntavano ad escludere ma ad includere, stante anche la presenza (nel 1996 e nel 2001) di un sistema misto a prevalenza maggioritaria uninominale ad un turno come il "Mattarellum" (nel 2006 c'era il "Porcellum", che se dava un premio certo alla Camera, era una lotteria per i premi regionali del Senato, come Prodi purtroppo constatò a sue spese). Se Letta intende ripartire dal Mattarellum (che, come spiegava Sartori, non era certo il sistema migliore possibile) per andare oltre, guardando per esempio al doppio turno uninominale "alla francese" (in uso anche in gran parte del periodo dell'Italia liberale) la proposta è senza dubbio incoraggiante, perché costringe le forze politiche - soprattutto quelle pulviscolari del centro e della sinistra, cioè tutte tranne Pd e M5s - a compiere delle scelte precise: aderire ad una coalizione estesa, nella quale ognuno ha il suo spazio e la sua voce ma non il potere di ricatto, oppure restare fuori e scomparire. Il problema è che, col Mattarellum, chi resta fuori può sopravvivere, anzi può persino diventare determinante, perché la parte proporzionale e leggi tutto
IL DPCM 2 marzo 2021 fa retromarcia sulle tutele dei lavoratori fragili
Ha avuto solo una parziale soluzione la questione dei "lavoratori fragili", per i quali la legge di bilancio 2021 - n.° 178 del 30/12/2020 all'art. 481 prevedeva tutele sanitarie estese fino al 28 febbraio 2021.
Trattasi delle tutele a suo tempo stabilite dall'art 26 comma 2 e 2 bis del cd. "Decreto cura Italia", per le quali i lavoratori fragili erano in attesa di una proroga, motivata dall'incremento esponenziale dei contagi in atto, anche a causa delle numerose varianti del virus in circolazione.
Tuttavia il DPCM del 2 marzo 2021 all'art. 6 ha solo parzialmente rinnovato tali tutele, limitandole all'area del cd. "lavoro agile": con esclusione della previsione normativa più favorevole che equiparava la condizione dei cd. lavoratori fragili al ricovero ospedaliero. (codice INPS V07) al fine di sottrarli al pericolo di contagio.
E' evidente che un utilizzo lavorativo in un contesto ove siano continuativamente presenti altre persone può favorire promiscuità e contatti fisici.
Ed è altrettanto evidente che una persona fragile per costituzione fisica necessiti del ventaglio più ampio di protezioni e tutele: un contagio potrebbe essere addirittura fatale.
Occorre intanto che sia chiarito il concetto stesso di "lavoro agile": infatti è stata usata nel DPCM questa dizione, anziché la più restrittiva e protettiva collocazione in "smart working".
“Lavoro agile” è una definizione che può leggi tutto
Antipolitica e politica dell’ “anti”
La crisi della politica meriterebbe riflessioni più serie della maggior parte di quelle in circolazione. E’ abbastanza significativo che anche l’ultima “grande” forza politica sopravvissuta alla consunzione della “repubblica dei partiti” sia finita per farsi omologare dagli eventi che hanno sconquassato la nostra vita pubblica. Ci riferiamo ovviamente al PD che è l’ultima continuazione storica di quella “forma” che ebbero i cosiddetti partiti di massa caratteristici della rivoluzione costituzionale del Novecento.
Non è questione solo del legame ideologico che quella formazione mantiene in parte con la storia e la vicenda del PCI, è proprio un problema di “forma”: è un partito che ha ancora le sezioni (un minimo vitali), una militanza ancora disposta a lavorare per il partito (per quanto sempre più fatta di “anziani”), una struttura con direzioni, assemblee, congressi che sono gestiti su base rappresentativa (non ci si fermi a possibili manipolazioni di essa: è un problema connaturato con quei tipi di organizzazione). La confluenza nel PD di un filone di professionismo politico proveniente dalla tradizione DC non ha fatto problema, perché si trattava di una tradizione omogenea come “forma”. Altre sparse membra confluite in esso sono state semplicemente amalgamate.
Il problema che si è posto sin dall’inizio del superamento del vecchio PCI è stato leggi tutto