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Quel che resta delle parole
Ci sono uomini che usano le parole all’unico scopo di nascondere i loro pensieri (Voltaire)
La metafora del viaggio, anche nella suggestione della rivisitazione intimista, ben si presta a concedere pause di stacco dalle assorbenti consuetudini ed è occasione di riflessione sulle cose della vita.
Qualcuno rammenterà come fosse ben descritta nel romanzo “Quel che resta del giorno” di Kazuo Ishiguro, dal quale prese spunto il regista James Ivory per un omonimo film che ci fece dono della magistrale interpretazione di Antony Hopkins.
Ciascuno, a un bel punto della propria esistenza, ha modo di ripercorrere il senso delle cose fatte, delle occasioni mancate e delle opportunità realizzate.
E’un cammino a ritroso nel labirinto dei ricordi, un percorso introspettivo che rinnova memorie, rimpianti, soddisfazioni, fatti, parole e che traccia sempre provvisori bilanci.
L’allegoria del ricordo riaffiora nei chiaroscuri dei dubbi e delle improbabili identità del signor Onoff (un grandioso Gerard Depardieu) in un’altra celebre pellicola – “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore - e nel leit motiv della sua colonna sonora : “ricordare, ricordare è un po’ come morire….perchè tutto ritorna anche se non vuoi. E scordare, scordare è più difficile….se vuoi ricominciare. Ricordare, ricordare quel che c’è da cancellare”.
Quello che resta della nostra leggi tutto
I numeri del governo Draghi
Il governo Draghi è il diciassettesimo della Seconda Repubblica (o il diciottesimo, se aggiungiamo il governo Ciampi del 1993-'94, di transizione). Rispetto ai governi della Prima Repubblica, quelli della Seconda sono stati molto più longevi: 542 giorni medi in carica più 34 circa per l'ordinaria amministrazione, per un totale di 576, contro i 313 più 33,5 della Prima (totale 346,5). In altre parole, se fino al 1992-'93 ogni presidente del Consiglio poteva ragionevolmente pensare di restare a Palazzo Chigi per non più di undici mesi e dieci giorni per volta, dal '94 in poi l'aspettativa di permanenza è salita a circa diciotto mesi. Inalterata, invece, la durata media delle crisi. Però, nella Seconda Repubblica, bisogna distinguere fra situazioni molto diverse fra loro: in quattro casi (1996, 2008, 2013, 2018) il nuovo governo si è insediato dopo una lunghissima transizione dovuta alle elezioni, quindi l'interregno medio è durato ben 107 giorni. Negli altri casi, la durata delle crisi è stata minima: da due a diciassette giorni (media: 10). In sintesi, la crisi che ha portato al governo Draghi è stata la più lunga di quelle "ordinarie" ma è durata la metà rispetto alla media della Seconda Repubblica (34,4) e addirittura i cinque sesti in meno delle quattro più lunghe (107). La portata della congiuntura politica e - per certi versi - anche istituzionale seguita alle dimissioni di Conte leggi tutto
Cosa vuol dire “governo del presidente”
Benché l’espressione “governo del presidente” sia molto usata e nonostante sia stata fatta circolare molte volte nella crisi politica che si è aperta dal dicembre dello scorso anno, non si può dire che i partiti siano davvero disponibili ad arrendersi a questa prospettiva. E dire che questa volta Mattarella è stato molto esplicito nel dare il mandato a Mario Draghi, perché non solo si è preso in prima persona l’onere di dichiarare lo stato di emergenza (su cui i partiti cincischiavano), ma ha chiesto all’incaricato di formare un esecutivo che prescindesse dalle formule politiche.
Si rimanda al dettato dell’art. 92 della nostra Carta Costituzionale che fa riferimento solo al potere congiunto del presidente del Consiglio incaricato di scegliere i suoi ministri ed al Presidente della Repubblica di nominarli. Si tratta però di una procedura che è stata raramente usata in maniera completa. Poiché il nostro è un sistema parlamentare che di fatto ha visto quasi solo governi di ampia coalizione, si è sempre visto che nell’accordo di coalizione accanto al programma si sono previsti anche i ministeri da assegnare ad ogni partito che l’aveva sottoscritto. Relativamente con maggiore frequenza si è invece esercitato il potere del Capo dello Stato nel dare il suo placet ai nomi proposti. leggi tutto
Fra draghi e grilli, il pd è il leone che dorme
La settimana delle consultazioni di Mario Draghi è l‘ennesima conferma che anche in politica, come nella vita, la realtà può superare, e di molto, la fantasia. Non tanto per l’immagine, che ci conduce in un immaginario regno animale, di un incontro fra <draghi> e <grilli>, quanto per l‘incredibile affollamento di possibili partecipanti al futuro governo, come se tutti i partiti (Fratelli d‘Italia escluso) avessero, come gli italiani, tanti <draghi> e sempre meno <grilli> nella testa. Tutto bene, dunque, per la rinascita del Paese, la gestione del Recovery Fund, il rapporto più stretto e benefico con l‘Europa, la considerazione dell‘Italia nel mondo, il calo dello spread e via elencando attese e speranze che si moltiplicano di pari passo con meriti, medaglie, sostegni, adulazioni e fede nella funzione miracolistica di Mario Draghi, quando invece basterebbe il miracolo di una riconquistata normalità. L‘Italia, come società civile, qualità intellettuali, spirito di sacrificio, se la merita, ben oltre lo specchio spesso deformato dai media. Ovvero un governo che gestisca bene le risorse, avvii le riforme di cui il Paese a bisogno, restituisca dignità e consenso alle forze politiche, compia alcune scelte strategiche che, al di là di divisioni pregiudiziali e ideologiche, dovrebbero leggi tutto
Si accettano miracoli per i rifugiati dell’Arca politica
Si pronuncia Draghi, ma molti, dentro e fuori il Palazzo, leggono o pensano Maghi. Al premier incaricato si attribuiscono virtù e capacità taumaturgiche tali da fare immaginare la rapida guarigione del Paese, la normalizzazione della vita politica, il rilancio economico, il rinnovamento ecologico, il futuro radioso delle prossime generazioni, magari persino sgravate dall’enorme debito pubblico, accumulato in decenni e appesantito dalla distribuzione di aiuti per fare fronte alla pandemia.
Per Mario Draghi parlano naturalmente la sua storia, la sua carriera, le sue competenze, il suo coraggio e i suoi successi, in Italia e in Europa, oltre a un bagaglio di rispettabilità e di carisma internazionale che si riverbera negli occhi stranieri, quindi benefico per il nostro Paese. Mentre in tanti, anche in questo contesto, hanno osservato l’Italia con preoccupata commiserazione, ecco ancora una volta lo scatto machiavellico, il colpo di reni, la stampella oltre l’ostacolo e via “metaforando”.
In una situazione eccezionale, il prossimo premier sarà anche una specie di Alto Commissario alla ricostruzione, un po’ come avviene dopo guerre e terremoti, affinché l’azione politica sia più efficace e più spedita, soprattutto quando ci sono da spendere bene notevoli risorse.
Mettere Draghi in discussione, prima ancora che si installi a leggi tutto
Il nocciolo della questione politica
La pessima abitudine di correre dietro ai lemmi del populismo rende incomprensibile ai più una crisi che invece è piuttosto rivelatrice della situazione in cui si trova la nostra politica. Renzi ha ripetuto l’errore che aveva già fatto ai tempi della campagna per il referendum sulla riforma costituzionale: presentare le sue proposte come una risposta alle pulsioni scatenate dalle demagogie correnti. Allora il tema era il taglio della poltrone e dei costi della politica che si sarebbero avuti con la riforma del Senato. Oggi si torna ad insistere sul disprezzo per le “poltrone” a cui Italia Viva rinuncia mentre gli altri se le tengono strette. Non portò fortuna a suo tempo, temiamo che più o meno la stessa cosa possa accadere ora.
La questione di chi occupa i ministeri (e ancor più il ruolo di premier) non è affatto roba da poltronisti. Tocca il cuore del fare politica, perché nella storia d’Italia non c’è stato momento in cui riforme significative e portate a termine non abbiano incrociato uomini politici e di governo capaci di assumersene il carico. Avere al ministero della giustizia con lo stato poco brillante del nostro sistema giudiziario un autorevole competente che possa almeno provare a mettere in riga leggi tutto
Il suicidio assistito del governo Conte
Se l’opinione pubblica osservasse la realtà tenendo il binocolo con la lente d’ingrandimento puntata su un quadro più ampio, avrebbe una diversa consapevolezza della nostra “salute” sociale, economica e persino politica e del modo con cui il Paese ha affrontato nel suo complesso la pandemia.
Negli Stati Uniti (un quarto dei contagi del mondo e record di decessi, davanti a Brasile, India, Messico) la pandemia è fuori controllo, mentre Biden cerca di rimediare i guasti del “seminegazionismo” di Trump. Il virologo Fauci ha detto di essere stato considerato come “una puzzola in un pic nic”. L’assalto a Capitol Hill ci dice quanto il Paese sia diviso e quanto siano impregnate di fanatismo ideologico, razziale, religioso le trame sotterranee della violenza. Qualche cosa di molto peggio dei vari populismi e negazionismi nelle nostre case italiane ed europee.
In Gran Bretagna, la gestione ondivaga dell’emergenza sanitaria ha per conseguenza il record europeo di decessi, oltre centomila. La Brexit - scelta populista che i britannici pagheranno per anni - ha ulteriormente complicato le cose.
La Francia si appresta a decretare un altro lockdown pesante. La presunta efficienza dello Stato è stata messa a dura prova dalla somministrazione a rilento dei vaccini, mentre si pagano errori di misure contraddittorie, leggi tutto
La politica e il Paese
La crisi non è affatto “pazza” come sostengono i corifei dell’ormai tramontato governo Conte2. E’ semplicemente il frutto di una situazione politica che era evidente da tempo e che non si è voluta affrontare nella convinzione che a congelarla bastasse l’emergenza epidemica. Non si è tenuto conto che quel fattore prima o poi l’avrebbe portata al punto di rottura.
E’ così emersa una dicotomia fra la politica, incapace di esprimere un sistema di governo (che è qualcosa di più complesso di un esecutivo in carica), e il Paese, bisognoso di riforme e di interventi che lo facciano uscire dalla stagnazione in cui si trova da tempo intrappolato. Tuttavia sarebbe bene ricordare che la situazione attuale non ha le sue radici nella contrapposizione dei due soggetti, bensì deriva da un loro profondo intreccio. Vediamo di metterla in termini semplificati. La crisi politica è determinata dal fatto che in parlamento convivono una maggioranza relativa affidata ad un partito di agitazione, i Cinque Stelle, privo di una cultura adeguata, e due partiti cosiddetti sovranisti, ma in realtà più che altro demagogici, che sommati hanno una forza analoga a quello, i quali non sono capaci di ragionare se non nella più vieta logica della contrapposizione a prescindere. leggi tutto
Tre partiti ed una gamba (la quarta)
Abbiamo ceduto alla tentazione di parafrasare il titolo di un noto film di Aldo Giovanni e Giacomo, perché la situazione attuale ha più di qualche tratto di comicità surreale. La richiesta del premier Conte di costruirsi una “quarta gamba” per puntellare il suo ruolo avviene con l’adesione dei tre partiti che sono rimasti fedeli alla tesi che lui sia la chiave di volta di un sistema che altrimenti crollerebbe lasciando solo macerie. Eppure ognuno di questi dovrebbe avere ottime ragioni per riflettere se l’operazione non si tradurrà in una loro marginalizzazione.
Naturalmente si può condividere la famosa citazione di Romano Prodi della massima per cui “succhiare un osso è meglio che succhiare un bastone” (fatta a suo tempo a pro della riforma costituzionale di Renzi): tenersi Conte con questo governo è meglio che consegnare il paese alle destre con un ricorso al voto anticipato. Rimane però il fatto che un osso sarà meglio di un bastone, ma rimane un osso e come pasto per tenersi in piedi si potrebbe anche provare ad avere qualcosa di più appropriato.
Il problema su cui vorremmo attirare l’attenzione è peraltro diverso e verte sul significato di inventarsi a tavolino un partito che non c’è. Lasciamo perdere le leggi tutto
I nodi vengono al pettine
E’ sbagliato dire che questa crisi è inspiegabile, lo si fa solo per gettare fango sull’avversario con l’argomento, ambiguo, che così si mette a rischio la stabilità del paese. La realtà è un’altra. Vengono al pettine i nodi di una politica che si è basata sull’aritmetica anziché sulle idee, mentre la stabilità del paese purtroppo è già a rischio e non da ieri.
L’alleanza giallorossa era fondata su un interesse reciproco fra i contraenti: evitare le elezioni anticipate con la possibile, se non probabile vittoria del centrodestra. Non c’era alla base un patto politico, ma solo l’anti-salvinismo che a sinistra sostituiva l’anti berlusconismo. Sembra impossibile che la sinistra in Italia non riesca a mettersi insieme “per” qualcosa, sicché ripiega sull’unirsi in nome della comune opposizione a qualcos’altro.
In quel patto siglato nell’estate del 2019 a guadagnarci furono soprattutto i Cinque Stelle che riuscirono a mantenere i loro posti di potere e ad imporre alcuni dei loro pregiudizi ideologici. L’illusione di manipolarli piegandoli ad interpretazioni più razionali si è dimostrata fallace. Basta vedere come è andata dando il via libera al demagogico taglio dei parlamentari che doveva essere la premessa per sistemare molte questioni del quadro istituzionale-rappresentativo: il taglio i grillini l’hanno ottenuto, del resto si è persa traccia e memoria. leggi tutto