Ultimo Aggiornamento:
13 novembre 2024
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Un 2024 da affrontare ad occhi aperti

Paolo Pombeni - 03.01.2024
Discorso Mattarella

Il tradizionale discorso di fine anno del Presidente della Repubblica costituisce ormai un’occasione chiave per valutare la pedagogia politica che intende svolgere il Quirinale. Mattarella si attiene a questa consolidata tradizione e lo fa, come è ovvio, con il suo stile e il suo linguaggio. Parla alla gente perché usa parole ben comprensibili e un fraseggio che si può seguire senza fatica in una serata particolare come è quella di San Silvestro. Al tempo stesso manda dei messaggi alle classi dirigenti, che non sono solo quelle politiche e parlamentari, perché è ben consapevole che la formazione dell’opinione pubblica dipende dall’azione del complesso dei media che trasmettono informazioni, riflessioni, e non di rado anche manipolazioni.

È stato la costruzione di un comune sentire ciò che ha fatto da filo conduttore ad un discorso che ha voluto fare perno su due polarità: non tacere sul momento difficile, persino drammatico in cui ci tocca vivere, proclamare con la consapevolezza di questo che la speranza è possibile ed è affidata a tutti, ma in particolare alle giovani generazioni.

Certamente Mattarella si è fatto carico di presentare un catalogo il più ampio e articolato possibile dei problemi chiave che il paese, ma più in generale il nostro mondo ha davanti a sé. Sarebbe però riduttivo limitare il suo intervento ad una pacata denuncia di quel che non funziona e che non è accettabile: c’è una trama che unisce tutto ed è questa trama che svela il senso profondo del suo discorso.

Una delle chiavi è l’attenzione che viene posta sul ruolo crescente che la violenza esercita nel mondo di oggi. Ci sono certo le guerre, a cominciare da quelle brutali della Russia contro l’Ucraina e di Hamas contro gli israeliani con la conseguente risposta di questi certo non scevra da una violenza vendicativa. Esse comportano il rischio di abituarsi all’orrore e non sfuggiranno al destino storico di generare odi che continueranno anche quando le armi saranno riposte. Ciò graverà sul futuro delle giovani generazioni ed accade vicino al nostro contesto mettendo a nudo violenze e culture malate che sono nel cuore degli uomini e che dunque, aggiungiamo noi, hanno forti capacità di infettare il sistema della convivenza generale.

È a questo punto che il Presidente inserisce un passaggio che reputiamo centrale e portante: la riflessione sulla pace che non può essere ridotta ad oggetto di invocazioni, ma che deve essere costruita con una educazione al rispetto reciproco e rifiutando il culto della conflittualità. Sono concetti che certo si applicano al modo di considerare i conflitti sul piano internazionale, dove va respinta la logica per cui a governare i rapporti fra le nazioni sarebbe una competizione permanente. Altrettanto però Mattarella denuncia la presenza del culto della conflittualità anche nei rapporti all’interno della nostra società. Come la mancanza di rispetto reciproco fra le nazioni produce conflitti e guerre, così la conflittualità impedisce di affrontare i problemi che affliggono il nostro corpo sociale. Essa genera una violenza verbale che sta dilagando nella Rete e che accende i risentimenti, specie nelle periferie, e che disorienta i giovani. Questa è una preoccupazione costante del presidente, che, anche se non ne parla esplicitamente, ha davanti uno scontro di fazioni che, interpretiamo noi perché Mattarella si tiene lontano dalle polemiche, allontana l’impegno positivo dei giovani, impegno di cui invece c’è grande necessità.

Per mostrare che non parla in astratto elenca alcuni temi che preoccupano l’opinione pubblica e che generano tensioni: la questione ambientale, il lavoro povero e sottopagato, la sanità che non riesce a fornire servizi efficienti come testimonia il fenomeno cronico delle infinite liste d’attesa per gli esami diagnostici, i giovani universitari che non trovano alloggi a prezzi ragionevoli. Non ci sono inviti espliciti ai poteri pubblici e dunque alla politica perché si metta mano alla ricerca di soluzioni: l’aveva già fatto in molte altre occasioni, da ultimo nel discorso alle alte cariche dello stato. In chiusura, ma ci torneremo, insisterà sulla necessità di costruire uno spirito capace di riconoscere ciò che ci unisce (e anche questo è un messaggio in bottiglia alle faziosità della vita politica attuale).

Ci sono i diritti che vanno “riconosciuti” e non “concessi”: pochi avranno colto in questo passaggio una citazione implicita di una impostazione che La Pira, Dossetti e Moro ricordarono nel dibattito in assemblea costituente proprio sottolineando la contrapposizione fra lo statalismo a cui si rifaceva da ultimo il fascismo (con illustri precedenti in verità) e lo spirito costituzionale della nuova repubblica.

In conclusione il presidente affronta un tema di grande portata, che ci sembra sia stato un po’ banalizzato in tanti commenti: il passaggio epocale che stiamo affrontando con una tecnologia che cambia il mondo. Non è un mutamento come ce ne sono stati spesso nelle vicende umane, ma una transizione storica radicale come quelle che si sono verificate, specifichiamo noi, per esempio fra il medioevo e l’età moderna. È questo che genera spaesamento e tentazione di sfuggire alla partecipazione al travaglio che affronta la società in trasformazione. Invece bisogna essere partecipi, attivi, senza farsi vincere dalla rassegnazione. Astenendosi dal coinvolgimento nei sistemi elettorali, magnificando la fuga dalla condivisione degli oneri comunitari con l’infedeltà ai doveri fiscali, si mina il diritto al futuro che spetta a tutti, ma in particolare alle giovani generazioni.

Il richiamo al valore della nostra costituzione, che è la base per riconoscere ciò che ci unisce, conclude il messaggio di fine anno del presidente Mattarella, riproponendo non solo la tradizionale triade del costituzionalismo che ci viene dalla Rivoluzione Francese (“Solidarietà, Libertà, eguaglianza”, ma si noti che qui la solidarietà passa dal terzo al primo posto), ma aggiungendovi le due ispirazioni che in questo momento caratterizzano le nostre speranze: “giustizia e pace”.