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24 aprile 2024
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Argomenti

L'astensione e i metodi alternativi di espressione del voto

Luca Tentoni - 07.03.2020

Le recenti elezioni suppletive per la sostituzione di un deputato e di un senatore (un'altra è in programma domani in Umbria per il collegio uninominale 2 del Senato) hanno fatto registrare un'affluenza bassissima: il 9,52% a Napoli (collegio uninominale 7 del Senato) e il 17,66% a Roma (collegio uninominale 1 - Lazio 1, Camera dei deputati). Anche se qualcuno, del tutto impropriamente, ha aggiunto l'"effetto Coronavirus" alle cause che hanno tenuto gli elettori lontani dai seggi, la realtà è molto diversa. In questo tipo di consultazioni, che spesso sono ignorate dai mezzi di comunicazione di massa anche in tempi normali, la salienza del voto è minima: non è un seggio che può mutare i destini del governo o delle forze politiche. Inoltre, ci sono elettori normalmente meno propensi a recarsi alle urne in queste occasioni (i Cinquestelle, i simpatizzanti del centrodestra) a fronte di altri (i votanti di centrosinistra) fra i quali una certa mobilitazione - sia pure non vistosa e neppure di eccezionale portata - è sempre attiva. Qualcuno ipotizzava, partendo dai dati delle suppletive, che anche il referendum costituzionale inizialmente previsto per il 29 marzo sarebbe stato caratterizzato da una massiccia astensione; in questo caso, nelle regioni del Nord, la diffusione del Covid 19 sarebbe diventata realmente una possibile concausa di diserzione dei seggi. leggi tutto

I nodi arrivano al pettine?

Paolo Pombeni - 04.03.2020

Non ci spingiamo a fare l’elogio delle emergenze che ci costringono a fare i conti con le nostre manchevolezze: personalmente saremmo della tesi di Brecht, “beata la patria che non ha bisogno di eroi”. Però è innegabile che con le emergenze alcune problematiche assumono contorni più chiari.

Nel caso dell’epidemia da Covid-19 oltre al tema della frammentazione della catena di comando per la gestione abbastanza disinvolta che è stata fatta della cosiddetta “devolution” dei poteri di governo della sanità emerge ora la questione di quale risposta si può dare alla crisi economica che vediamo avanzare a grandi passi. Non stiamo parlando di qualcosa di semplice che si possa affrontare semplicemente nella logica dei sussidi (temporanei?) da distribuire a settori che vengono e che verranno toccati dagli effetti indotti da questa emergenza sanitaria che sta assumendo dimensioni internazionali. Anzi il problema sarà proprio quello di evitare che tutto si riduca alla logica dei sussidi, che è un antico peccato del nostro modo di affrontare le difficoltà dell’economia nazionale.

Si parla ora con varie trovate verbali di qualcosa di assai impegnativo: cura da cavallo, interventi choc, nuovo piano Marshall. Questo fa pensare alla necessità di avere un governo molto solido, non solo per maggioranze politiche leggi tutto

La saga dell’aceto balsamico

Gianpaolo Rossini - 29.02.2020

Secondo la Corte di Giustizia della Ue, Belema produttore tedesco di aceto può porre sui suoi prodotti l’etichetta “Deutscher Balsamico” senza violare le tutele previste nella Ue per l’aceto balsamico di Modena, che ha aperto la causa. Il consorzio modenese protesta: non si può porre l’aggettivo “balsamico” su prodotti tedeschi. Da dicembre attende il terzo grado di giudizio per poi muoversi eventualmente sul piano giuridico e su altri fronti con nuove iniziative. La saga dell’aceto di Modena fa riflettere. Sono tre gli aceti balsamici italiani riconosciuti. L’Aceto Balsamico di Modena IGP, che può essere prodotto nelle province di Modena e Reggio. Poi c’è l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP che proviene solo dalla provincia di Modena. E infine c’è l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio DOP esclusivamente dalla provincia di Reggio. E’ quasi impossibile trovare consumatori (italiani) che apprezzino le differenze (ma quali) tra i primi due aceti di Modena. In più uno dei due può venire anche dalla provincia di Reggio che però ha in concorrenza un suo prodotto esclusivo e certificato. I consorzi di tutela hanno giocato sulle differenze tra IGP (indicazione geografica protetta) e DOP (denominazione di origine protetta), e DOP (denominazione di origine protetta), anche queste impossibili leggi tutto

La politica all’epoca dell’allarme pandemia

Paolo Pombeni - 26.02.2020

Dopo giorni in cui sembrava che la situazione politica italiana potesse esplodere si è arrivati ad una specie di tregua, non sappiamo se pacifica o armata, a seguito del verificarsi di una epidemia dovuta al corona virus che in Cina ha interessato migliaia di casi. In numeri assoluti sarebbe improprio parlare di emergenza (qualcosa più di 200 casi al momento in cui scriviamo) e anche gli eventi letali sono limitati (6 casi di persone anziane già con problemi sanitari), ma ovviamente quel che fa impressione è il fatto che l’Italia sia incomparabilmente il paese occidentale con il maggior numero di contagi e che si tratti di un virus molto aggressivo sin qui sconosciuto come portatore di malattie per l’uomo e contro cui non esistono al momento vaccini né cure specifiche (sebbene un mix di quelle tradizionali stia dando in moltissimi casi buoni risultati).

Lo choc per quanto sta avvenendo, ma soprattutto per quel che potrebbe avvenire dato che non si sa come potrà svilupparsi il contagio, è stato molto alto, tanto da creare allarme sociale e da far parlare di emergenza. La conseguenza è stata un appello scontato a dar prova di quella che si usa chiamare solidarietà nazionale. E’ partito tanto dal Presidente della Repubblica leggi tutto

La strada senza uscita

Luca Tentoni - 22.02.2020

Le fibrillazioni nella maggioranza, culminate con l’intervento di Renzi a “Porta a Porta” (con tanto di rilancio della Grande riforma costituzionale, in un Parlamento balcanizzato dove è già difficile trovare un’intesa sulle semplici leggi ordinarie) sono ancora oggetto di sorpresa e di dibattito, come se il quadro non fosse noto già dal momento dell'insediamento dell'Esecutivo, esattamente come avvenne con la coalizione gialloverde, anch'essa affetta fin dall'inizio da ciò che l'avrebbe portata alla dissoluzione. Per funzionare, una maggioranza deve essere coesa e protesa a limare le differenze, anziché accentuarle: in sintesi, tutti i componenti debbono accettare la convivenza come il presupposto per realizzare politiche di interesse generale (o, almeno, quelle comuni ai partiti alleati). Il calcio, che dall'avvento di Berlusconi ("Forza Italia!") è diventato la metafora principale della politica nazionale, ci insegna che una squadra può essere composta da grandi campioni, ma che se ognuno gioca solo per mettersi in mostra, senza sacrificarsi per il gruppo, non solo non si vince nulla, ma si va incontro a grandi disastri. La bravura di chi entra a far parte di una coalizione sta dunque nel saper cogliere ciò che unisce, senza naturalmente annullare la propria personalità ma senza metterla al di sopra di tutto il resto. leggi tutto

L’ora dei politicanti

Paolo Pombeni - 19.02.2020

Capirci qualcosa nell’attuale avvitarsi su sé stessa della nostra politica è impresa titanica. Naturalmente ognuno accusa gli altri di giocare allo sfascio, ma nessuno fa nulla per evitare che si arrivi a quel punto, a meno che non consideriamo impegni per uscire dal pantano le manovre messe in piedi da una classe politica vittima del suo autismo.

Apparentemente tutta la questione ruoterebbe intorno a Renzi e alla necessità di mettere fine alla sua guerra da corsa nel quadro di questa politica instabile. Difficile negare che il leader di Italia Viva sia una volta di più vittima del suo limite, che ci permettiamo di definire la sindrome di Napoleone. Come il grande Corso, Renzi è condizionato dalla sua storia di successi iniziali, quando, assai giovane, è riuscito a rovesciare avversari molto più agguerriti osando sfidarli in battaglie campali. Così pensa di non poter recedere da quello schema e lo ripropone in continuazione senza rendersi conto che così ha sperperato il capitale che aveva accumulato. In politica non basta infatti il fiuto di intestarsi battaglie di grande significato: bisogno sapere controllare l’uso della forza. Così Renzi ha buttato alle ortiche i successi del suo governo per una gestione dissennata della riforma costituzionale, ed ora si leggi tutto

Il referendum invisibile

Luca Tentoni - 15.02.2020

Manca solo un mese e mezzo al voto per il referendum costituzionale sulla diminuzione del numero dei parlamentari da 945 a 600, ma nessuno ne discute. Un po' perché la gran parte degli italiani è favorevole alla riforma, quindi - fra il sì e il no - non c'è partita. Un po' perché - al di là del merito e delle ragioni di sostenitori e oppositori, che rispettiamo ma che esulano da questa nota - il voto ha un valore politico prossimo allo zero. Forse neanche il M5s, che ha tanto voluto questa legge costituzionale, pensa che il referendum possa portargli un beneficio elettorale, perché la vera prova da superare è quella delle regionali di maggio. Il fatto è che intorno a questa micro-riforma istituzionale i giochi si sono già fatti: finora, l'unico merito (a seconda dei punti di vista, poi) che ha avuto sta nell'aver reso impossibile o almeno poco praticabile l'ipotesi di uno scioglimento delle Camere a fine gennaio. Senza la riforma, una vittoria di Salvini in Emilia-Romagna (che fino a poche ore prima del voto era giudicata probabile da quasi tutti gli analisti e da molti politici) avrebbe portato alla crisi di governo e alle elezioni anticipate in aprile. Invece, nonostante le bizze di alcune forze leggi tutto

Una maggioranza senza politica

Paolo Pombeni - 12.02.2020

Nel 1979 Federico Fellini girò quello che lui definì un filmetto. S’intitolava Prova d’orchestra e metteva alla gogna un’orchestra con i vari strumentisti incapaci di fare appunto il lavoro corale che veniva loro richiesto, bisticciandosi, astraendosi e evitando di seguire qualsiasi indicazione del direttore. Venne interpretato come un grido di allarme e di rigetto della politica italiana incapace di ritrovare il senso del suo stare insieme in uno stato di grave disgregazione (un anno prima era stato assassinato dalle BR Aldo Moro)..

E’ una pellicola che andrebbe riproposta alla più che confusa classe politica attuale. La vicenda della crisi intorno alla norma sulla riforma della prescrizione, frettolosamente introdotta ormai un anno fa da grillini alla ricerca del plauso dei loro fan club giacobini, mette in luce non modi diversi, magari opposti di intendere la soluzione degli impasse del sistema giudiziario italiano, ma un degrado complessivo della nostra cultura istituzionale.

Non è solo questione della valutazione in sé della norma, che è quasi certamente incostituzionale per ragioni che sono state ribadite più volte da autorevoli commentatori. Quel che è peggio è come si sta cercando di gestire il pastrocchio che ci si trova davanti.

Tutto è stato ridotto alla più trita lotta fra fazioni politiche, leggi tutto

Regionali: è la prossima la prova più dura per il M5s

Luca Tentoni - 08.02.2020

Nelle nove regioni a statuto ordinario nelle quali si è rinnovato il Consiglio, fra il 2018 e il gennaio scorso, il M5s ha ottenuto 2,139 milioni di voti contro i 4,636 delle politiche, perdendone il 53,9%. In percentuale assoluta è passato dal 28,3% del 2018 al 15,2%. Rispetto alle regionali precedenti, i pentastellati hanno raccolto addirittura 69mila voti in più. Tuttavia, il calo percentuale rispetto alle politiche è stato del 13,1%, mentre fra le regionali 2013-'15 e le politiche del 2013 era stato del 9,1%. In sintesi, le regionali hanno penalizzato anche stavolta i Cinquestelle, ma più che in passato, facendo perdere loro - come si accennava - 539 voti su mille delle politiche, mentre nel 2013-'15 il calo era stato leggermente minore (502 su mille). Una spiegazione può essere rintracciata nella maggiore o minore vicinanza fra il turno elettorale regionale e le elezioni politiche precedenti: nelle consultazioni locali svolte nel 2018, il M5s ha conservato il 66,9% dei voti delle elezioni generali (2013: 58,8%); tuttavia, nel 2019 è sceso al 36,4% (prec. 40,2%) e nel 2020 al 27,6% (prec. 35,8%). In pratica, più tempo passa dalle politiche, più i Cinquestelle perdono i loro elettori che li hanno scelti per la Camera e per il Senato. In questa occasione il calo è stato più marcato che nel passaggio 2013-'15 in cinque casi su nove (tre degli altri quattro sono relativi ad elezioni leggi tutto

L’instabilità del quadro politico italiano

Paolo Pombeni - 05.02.2020

Il quadro politico italiano rimane instabile, perché è privo di centri capaci di organizzarlo in maniera tanto accettabile, quanto adeguata alle sfide che sono sul tappeto. Parliamo di centri al plurale, perché continuiamo a credere che sia un falso problema quello della ricostruzione di un mitico “Centro” così come per un quarantennio sarebbe stata la Democrazia Cristiana.

Quel partito fu, almeno per una lunga fase, certamente tale per la sua contrapposizione alla “sinistra” identificata nell’alternativa del comunismo che pretendeva di egemonizzarla. Non lo fu in assoluto perché, anche qui per un tratto non breve, si considerò una componente essenziale del riformismo italiano. Come sempre nella storia si può discutere sulla tipologia di quel riformismo, ma è difficile negare che molte delle trasformazioni dell’Italia dal dopoguerra alla fine degli anni Settanta furono gestite dalla DC in rapporto, dialettico, ma fino ad un certo punto, col riformismo laico, prima dei repubblicani e presto, superati un po’ di muri ideologici, anche dei socialisti.

Certo il riformismo democristiano stava in un partito che teneva dentro anche una forte componente conservatrice (in alcune appendici assai contigua alla destra), ma ciò avveniva per l’imposizione da parte della Chiesa dell’unità politica dei cattolici. Vale invece maggiormente la pena di leggi tutto