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Lo ius soli e una politica sfilacciata

Paolo Pombeni - 21.06.2017
Ius soli

Si discute malamente di un tema delicatissimo come il cosiddetto ius soli senza essersi preoccupati di preparare l’opinione pubblica e per di più questo avviene nel contesto di una politica che permane sfilacciata, come dimostra la non gestione del non poco scivoloso caso Consip.

Sull’attribuzione automatica della cittadinanza italiana ai figli di stranieri regolarmente residenti in Italia e in presenza di qualche minima regola si è scatenata la bagarre. La psicosi dell’invasione, fenomeno non nuovo nella storia occidentale, impedisce una valutazione razionale del problema, mentre il dominio di un ambiguo “politicamente corretto” evita accuratamente di affrontare il tema per renderlo comprensibile almeno alle persone di buona volontà.

La questione è intricata, perché si tratta in prospettiva di bambini che nascono nel nostro paese e che qui vengono educati. Dunque non dovrebbe esserci problema di verificare se hanno acquisito conoscenza e integrazione nel nostro modo di intendere il mondo, per la semplice ragione che la scuola dovrebbe garantire questo percorso. Tutti però sanno che ciò è una pia illusione. La scuola oggi non è in grado di garantire a livello generale l’acquisizione di una cultura comune di cittadinanza: e non lo diciamo per chi ha genitori stranieri, ma per tutti i ragazzi.

In questa società che si ama definire “liquida” le vie per formarsi una propria idea di cosa significhi essere cittadini (e ancor più cittadini italiani) è lasciata alle famiglie, agli ambienti che si frequentano, alle occasioni più diverse. Tanto vige il principio implicito per cui ciascuno ha il diritto di pensarla più o meno come vuole su questi e su altri temi importanti. Inutile credere che si possa rifiutare la cittadinanza a chi straniero ha un certo tipo di concetto sulla donna, tanto per dire, quando si vedono intorno rapporti fra i sessi dove la sopraffazione e addirittura il femminicidio hanno spazio libero. E non si tratta di stranieri italianizzati, ma di italiani a cui non si può togliere la cittadinanza.

Dunque il tema dell’integrazione non può essere ridotto alla questione astratta della non ghettizzazione degli immigrati (questione senz’altro rilevante, ma non è tutto), quanto piuttosto al tema del perché le nostre società non riescono ad essere attraenti in tema di valori e di principi. L’integrazione arriva infatti quando farsi assimilare viene visto come un progresso a cui non si vorrà rinunciare. E’ un traguardo molto difficile, se è in crisi in società come quelle francese e britannica che ben prima di noi hanno investito e seriamente sull’integrazione culturale.

Tanto per mettere il dito nella piaga. Si è detto e scritto che bisognerebbe chiedere a chi vuol diventare cittadino italiano una buona conoscenza della nostra lingua, della nostra storia e del nostro sistema costituzionale. Giusto, ma come farlo se una parte non minoritaria degli italiani non sarebbe in grado di superare una verifica su questi temi?

La politica dovrebbe essere in grado di affrontare seriamente questo problema, senza cavarsela con l’invocazione di automatismi salvifici o di esclusioni epurative. Difficile possa farlo in un contesto dove la zuffa è ormai diventata la regola del gioco.

Ecco perché uniamo alla considerazione del dibattito al Senato sullo ius soli quello che nella stessa sede dovrebbe svolgersi sulla vicenda Consip, che certo non ha connessioni con esso. Tranne che per un punto: è una questione di credibilità politica non solo del governo, ma anche di quel sottogoverno degli enti pubblici che si permette di giocare alla pari in sprezzo delle regole di tenuta del sistema. Cioè si tratta di una questione di natura costituzionale in senso forte.

Certo nessun ragazzino che frequenta le scuole, neppure quelle superiori, probabilmente coglierà la fragilità di un sistema che dopo lunghi mesi non è in grado di portare sotto controllo un ente che aveva inventato per rendere più efficiente e trasparente un delicato settore di spesa pubblica. Non si riesce a capire a che gioco si stia giocando qui, tra sospetti di trafficanti di influenze, imprese abituate a fare cartello, addirittura corpi investigativi dello stato che sembrerebbero più interessati ad inserirsi nel gioco politico piuttosto che a servire la giustizia.

Bisogna fare la semplice riflessione per cui i cittadini italiani, figli di immigrati, ma anche non, domani potrebbero trovare giustificato rompere con questo sistema politico che possono giudicare, magari con estremismo, corrotto e irrecuperabile cercando la “purificazione” in altri contesti o anche semplicemente facendosi legge a sé stessi. E’ già successo col terrorismo rosso e nero (e non erano immigrati),  è successo e continua a succedere con la malavita organizzata che su questi ragionamenti recluta il personale per i propri territori che pone fuori del sistema legale italiano.

Pensare non dico di risolvere, ma anche solo di promuovere la questione dell’integrazione in un paese che ha ormai problemi di convivenza tra etnie diverse semplicemente con atti di inclusione simbolica è illudersi. Solo un paese con una coesione sociale e una morale pubblica all’altezza può vincere la sfida del mutamento dei suoi equilibri etnico-sociali.