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Uno strano partito s’avanza?
L’elezione del segretario del PD che avverrà domenica 26 febbraio con le cosiddette primarie dovrebbe suscitare qualche riflessione sullo stato della “forma partito” nel nostro contesto italiano. Nonostante le non poche vicissitudini che hanno portato alla sua formazione, il Partito Democratico rimane forse l’unico che aveva conservato un rapporto con la tradizione dei partiti di massa novecenteschi: una articolazione territoriale con una tradizione di partecipazione popolare, un sistema di selezione delle classi dirigenti che derivava dal percorso interno nella vita del partito, un sistema decisionale di tipo competitivo fra le sue componenti.
Negli altri partiti si è affermata ormai una deriva leaderistica che identifica ciascuno con un “capo” (massimo due o tre), con scarso o per lo più inesistente dibattito interno, con una selezione delle classi dirigenti legate alle fedeltà col vertice, con insediamento territoriale per lo più di facciata. Fa una parziale eccezione FdI, che aveva le caratteristiche della forma partito classica, ma che le sta perdendo, anzi forse le ha già perdute travolta dell’improvviso balzo elettorale.
Ma torniamo al PD. Ciò che colpisce nella vicenda di un presunto percorso costituente è innanzitutto la sua lungaggine. In astratto in una “comunità” (come usano definirsi) che dovrebbe discutere e confrontarsi di continuo e leggi tutto
Un'analisi del voto regionale
Le elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia non hanno riservato sorprese rispetto ai sondaggi della vigilia: si sapeva che la Moratti e la Bianchi erano sopravvalutate da un meccanismo di opinione che tende a dare ad un improbabile e fragile Terzo polo più voti virtuali di quanti non abbia effettivamente e che accredita l'immagine di un M5s sull'onda di un successo che forse è solo il wishful thinking di qualcuno. Era inoltre ben noto che la competizione avrebbe premiato la destra (ormai la possiamo denominare così, perché è dominata dalle sue componenti più estreme: in pratica è una sorta di monocolore neomissino con qualche "cespuglio" ridotto alla marginalità). Di qui, il crollo dell'affluenza: ma l'esito scontato spiega troppo e liquida una questione che è ben più profonda e seria. In questo momento il sistema politico è bloccato e senza alternativa: lo sanno anche gli elettori dei partiti che vincono, i quali hanno disertato le urne in misura appena inferiore a quelli delle opposizioni, segno che tanto entusiasmo per il riconfermato Fontana e per Rocca non c'era affatto. In quanto a Sanremo, il solo fatto che nelle analisi del dopo-voto si sia dedicato tempo a correlare il festival col dato delle regionali indica quanta approssimazione leggi tutto
Interpretare il test elettorale
Adesso abbiamo i risultati del tanto atteso primo test elettorale che doveva verificare se quel che è accaduto il 25 settembre è stato un episodio contingente o rappresenta l’inizio di un trend destinato a durare. Come sempre si possono esaminare i dati con la lente degli specialisti nelle analisi elettorali (non è il nostro mestiere, per noi lo farà questo sabato Luca Tentoni), ma si può anche tentare una lettura più panoramica, pur con tutti i rischi che questo comporta.
Partiamo dal dato dell’astensionismo che è indubbiamente rilevante. I votanti oscillano tra il 41% in Lombardia e il 37% in Lazio. Non è la prima volta che si vede, perché il 37% si era già registrato in Emilia-Romagna nel 2014: anche allora c’era un vincitore dato per scontato (Bonaccini che nelle primarie di partito aveva sconfitto il prof. Roberto Balzani) e pochi interpretarono il dato come preoccupante. Tuttavia il vedere che questa volta su 12 milioni e più di elettori ha disertato le urne il 60% è senz’altro preoccupante. Però, se ci è permesso, è la base per capire quel che è successo.
La politica non è più una questione che coinvolge la grande maggioranza dei cittadini, convinti che ci sia un dovere di partecipare scegliendo fra le alternative in campo. Togliamo subito dal tavolo la sciocchezza leggi tutto
Non è obbligatorio il registro elettronico di classe
Non è vero che le azioni che si compiono, i comportamenti che si mettono in atto e ciò che si utilizza per mera abitudine consolidata e persino prevalente sia o possa diventare obbligatorio per prassi: come si dice in termini giuridici “la consuetudine non può mai operare contra legem”.
In molti istituti scolastici i dirigenti scolastici hanno di fatto imposto ai docenti l’utilizzo del registro elettronico in sostituzione di quello cartaceo, in ogni ordine e grado, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado. La motivazione più accreditata è l’estensione – per una sorta di transfert applicato ad ogni contesto istituzionale e degli apparati della P.A. – della digitalizzazione come modo di svolgere operazioni d’ufficio, pratiche, annotazioni: insomma la sostituzione dei tradizionali mezzi – carta e penna- con le nuove tecnologie, per comunicare o archiviare.
Una deriva che ha assunto toni e modalità attuative persino parossistiche, applicando un principio generale a fattispecie sulle quali occorrerebbe esercitare il prioritario uso del pensiero critico e del buon senso. Specie quando l’uso del digitale vale più come metodo a prescindere, senza chiedersi se ci sia una corrispondenza pratica in termini di efficienza, efficacia, praticità, riservatezza ovvero trasparenza degli atti: se la forma prevale sulla sostanza si rischia leggi tutto
Una politica in mano alla faziosità
Ad inizio della prossima settimana avremo come si usa dire scavallato anche le regionali di Lombardia e Lazio, la più probabile spiegazione del perché stiamo assistendo ad uno sfoggio notevole di faziosità. Non che i cosiddetti test elettorali finiscano lì: il 2-3 aprile le urne si apriranno in Friuli Venezia Giulia, altro caso non certo marginale; si è in attesa di avere una data per il Molise e in autunno sarà la volta del Trentino-Alto Adige. Ma ovviamente la scadenza del 12-13 febbraio incombe e siccome tocca due regioni non solo importanti, ma anche molto popolate i risultati assumeranno un rilievo notevole.
Più cresce la preoccupazione per una partecipazione ridotta (alcuni prevedono un astensionismo intorno al 50% degli aventi diritto), più si punta a giocare tutte le carte possibili per uscire dalla prova. La contrapposizione radicale si ritiene abbia un ruolo di mobilitazione: se si prende il caso dell’Emilia Romagna, nella tornata del 2014, quando non c’era praticamente competizione e la vittoria del candidato del PD (Bonaccini) era data per scontata votò il 37% degli aventi diritto; nel 2021 quando la lotta fra il ricandidato Bonaccini e il centrodestra trainato personalmente da Salvini (sebbene la candidata fosse Lucia Bergonzoni) produsse una battaglia esasperata votò il 67,6 %. leggi tutto
La vecchiaia, metamorfosi sulla linea retta della vita
La lettera che lo psichiatra Vittorino Andreoli imbuca nella metaforica cassetta postale della vita ci spiega molte cose che riguardano il destinatario e forse ancor di più il mittente.
Da costui viene spedita come un dono che ci racconta quelle che siamo soliti definire le tappe dell’esistenza, per spiegarne più compiutamente l’ultima: ciò che emerge dalla scorrevole lettura è la pacatezza esplicativa dei toni che rendono fluida e colloquiale la narrazione. Non vi si colgono forzature o maldestri tentativi di ammiccante persuasione, come potrebbe accadere ad un imbonitore che voglia dimostrare una magnificenza inesistente, trovo persino generoso il modo in cui – quasi senza farlo notare – l’estensore di questa lettera si rivolge al suo immaginario interlocutore raccontando di se stesso.
Qui si coglie come in tutta la sua immensa produzione scientifica e letteraria una trasparente consapevolezza, talmente spontanea da sovrapporsi all’io narrante, così convincente da farci accogliere con benevola disponibilità ogni spiegazione, oltre il nostro stato d’animo del momento.
La condizione paritetica che il Prof. Andreoli evoca negli impliciti di questa missiva riguarda la situazione anagrafica di chi scrive e di chi leggerà: vecchio l’uno e vecchio l’altro, sgombrando subito il campo dalle scorie concettuali e culturali che questo aggettivo sostantivato denotativo leggi tutto
Il governo e la sfida delle riforme
Giorgia Meloni ha ragione nel sottolineare che le condizioni economiche del nostro paese non sono peggiorate, ma anzi sono un poco migliorate sotto il suo governo, così come a rivendicare l’avvio di qualche azione in politica estera che potrebbe dare risultati interessanti (è doverosa cautela non darli per acquisiti a priori). Giustamente osserva che ha appena superato i 100 giorni di attività e che non sta correndo i 100 metri ma una maratona, cioè che chiede di essere misurata sulla lunga distanza.
Questo non può però far dimenticare che al momento siamo ancora alle bandierine per quel che riguarda alcuni nodi molto importanti che sono se non dei colli di bottiglia, certo dei “rallentatori” (pesanti) sulla strada dell’uscita dalla crisi degli ultimi decenni. Si tratta di tre riforme di grande significato: quelle sulla giustizia, sul presidenzialismo, sulla autonomia differenziata (lasciamo da parte quella che sarebbe decisiva, la riforma del sistema fiscale, perché ci rendiamo conto che lì c’è da aprirsi la strada in una giungla).
Abbiamo usato le etichette correnti, sebbene esse spieghino solo malamente ciò di cui si dovrebbe discutere. Il problema della giustizia non può per esempio essere ridotto alla discussione sulle intercettazioni o sulla separazione delle carriere. leggi tutto
Cresce l'emigrazione dall'America latina
In questo mondo globalizzato e in questa società cosmopolita ci sono derive sociali e umanitarie alle quali non prestiamo la dovuta attenzione, presi come siamo da una sorta di atteggiamento refrattario, di indifferenza verso il nostro prossimo, infastiditi dalle preoccupazioni familiari o dalle beghe condominiali.
O semplicemente perché usiamo lo smartphone e le nuove tecnologie per assecondare il nostro egoismo e metterlo al centro del mondo.
Nelle nostre scuole i genitori protestano perché la merenda viene data in un orario non gradito, non accettano voti di insufficienza, affrontano in malo modo gli insegnanti che ritirano i cellulari durante i compiti in classe. O li aggrediscono perché hanno osato richiamare il proprio figlio ai suoi doveri.
Ci sono luoghi del mondo dove le scuole non esistono: un amico giornalista mi ha mandato da Londra alcune foto di alunni dell’Afghanistan che preparano gli esami seduti in mezzo alla neve o studiano su una stuoia stesa sul prato semplicemente perché l’aula, la scuola, fisicamente non ci sono.
Ma c'è un fenomeno sociale nuovo al quale finora il mondo occidentale non ha prestato la dovuta attenzione. Me ne sono capacitato dalla crescita delle domande di permesso di soggiorno di genitori stranieri per la tutela leggi tutto
Ma cos’è questa sinistra? Fra riformismo e movimentismo
Sulla modesta sceneggiata dell’assemblea del PD chiamata a varare il nuovo manifesto dei valori si è abbattuta una pioggia di critiche pressoché da tutti i settori. Certo era difficile evitare di chiedersi se ci volevano 87 “saggi” per mettere in fila una serie di generiche buone intenzioni che per la maggior parte è difficile non sottoscrivere, ma la cui sottoscrizione lascia davvero il tempo che trova. Sarebbe stato più serio discutere su alcune questioni di fondo che non sono state toccate, oltre che provare a formulare qualche proposta credibile e realizzabile per giungere almeno a qualcosa di concreto su qualcuno degli obiettivi generici indicati.
Proviamo a porre almeno alcune delle questioni di fondo. La prima è storica. Il PD era nato, su spinta di Veltroni, ma non solo, per realizzare il superamento di una frattura che risaliva alla guerra fredda (ma per certi versi anche a prima): la riunificazione delle correnti del riformismo italiano che si erano disperse tanto nel partito democristiano, quanto nella tradizione del progressismo laico, quanto in quella del socialismo e comunismo. Doveva essere chiaro che, se ci si consente di parafrasare uno celebre espressione di Kautsky sulla SPD di inizio Novecento, doveva trattarsi di un partito rivoluzionario, non di un partito che fa rivoluzioni. leggi tutto
Gradini che non finiscono mai
Già dalle prime pagine del suo libro o meglio, dai primi gradini della scala della sua vita, si colgono due aspetti in apparente bisticcio tra loro -se considerati separatamente- ma in realtà complementari e connotativi dell’uomo Giorgio Parisi: la normalità e l’originalità. Ho sempre pensato (in ciò confermato dalla personale conoscenza di alcuni di loro) che i veri ‘grandi’ sono persone semplici: nascoste e appartate, riflessive, amanti del silenzio, non ostentano, si pongono domande, vivono le inquietudini dell’esistenza, parlando di sé esprimono la quotidianità e le molte consuetudini in cui ci ritroviamo. Di ciascuno di loro si potrebbe dire: “è uno di noi”. Ma sotto questa coltre che li accomuna al genere umano, sono depositari di una sorta di curiosità cosmica, di una visione olistica, totale della vita, sanno cogliere l’universale nel particolare, accendono lampadine dove altri si perdono nel buio, in quella indescritta normalità che ci rende tutti uguali sanno trovare l’eureka, l’illuminazione, l’idea risolutiva, anche coltivando l’arte del dubbio e la virtù dell’umiltà senza mai perdere la spinta formidabile della motivazione, sanno andare oltre le apparenze, non si fermano al primo ostacolo, dall’errore colgono l’opportunità per ripartire e correggersi, coltivano il dovere della fatica e dell’impegno come passaggi leggi tutto