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02 ottobre 2024
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Perché la Meloni può durare

Luca Tentoni - 11.03.2023
Grazia Meloni

Il governo in carica ha alcuni punti di forza innegabili: la mancanza di una coalizione alternativa capace di battere la destra nelle urne (oggi, a meno di miracoli, mettere insieme Pd, M5s e Terzo polo non è difficile, è assurdo); il declino inesorabile di Forza Italia legato strettamente all'età e alle fortune elettorali tramontate del suo leader; il ritorno della Lega a percentuali di altri tempi, pur presentandosi adesso in tutto il Paese anziché nella sola "Padania"; l'inconsistenza di soluzioni moderate attrattive (il Terzo polo è l'ennesima dimostrazione che nella Seconda Repubblica non c'è spazio per esperimenti neocentristi che abbiano una consistenza elettorale e parlamentare appena apprezzabile); il potere sostanzialmente assoluto che Giorgia Meloni esercita rispettivamente sul suo partito, che FdI esercita su alleati numericamente, elettoralmente e politicamente subordinati, che il governo esercita sulle Camere (in un sistema sostanzialmente monocamerale, nel quale ciò che è approvato in un ramo è "fotocopiato" dall'altro ramo, sostanzialmente senza modifiche); un blocco sociale e politico che si riconosce nella leadership del (della) presidente del Consiglio; la non ostilità dell'Unione europea verso l'Esecutivo (ricambiata con un tasso di europeismo un po’ di convenienza, ma molto distante dall'euroscetticismo che FdI coltivava un tempo); il sostegno del blocco atlantico (nel quale l'Italia di Draghi prima e della Meloni poi hanno un ruolo attivo e partecipe). Soprattutto, la Meloni - come dimostrano i dati elettorali - ha l’appoggio dell'Italia profonda e periferica: quella che vive lontana da quelle ztl (dove vince il Pd e dove - attenzione - ha vinto la Schlein a scapito di Bonaccini) che rappresentano un quinto del Paese. I ceti popolari, che una volta guardavano a sinistra (ma che, in parte, votavano anche Dc, come in certe periferie romane e al Sud) sono passati attraverso il populismo del M5s per scoprire che il populismo di destra era molto più attraente. Del resto, si sa: i redditi di cittadinanza e i bonus passano, le riduzioni di imposte e la protezione (non importa se vera o fittizia) di certe categorie restano. La destra vince come in tutti i paesi occidentali (Usa compresi, ovviamente) dove c'è lontananza dal centro, dove c'è crisi, dove la globalizzazione crea problemi reali o solo percepiti (lo stesso vale per l'immigrazione) ma soprattutto dove ci sente esclusi, negletti. Si è parlato non a caso di un certo vittimismo della destra, accennando al fatto che FdI sembra uscita più dal "ghetto" della Prima repubblica che dai primi due decenni della Seconda, nei quali An è stata al governo occupando posti di potere, di sottogoverno e negli enti pubblici dal 1994 al 1995, dal 2001 al 2006, dal 2008 al 2011 (la stessa Meloni è stata vicepresidente della Camera a 29 anni e ministro della Gioventù a 31, per tre anni durante l'ultimo governo Berlusconi: non è proprio la nuova arrivata e l'underdog che dice di essere). Sebbene la destra nazionale italiana non si comporti come quella americana, brasiliana e ungherese, ha però ammiccato a Trump, Bolsonaro e a Orbán, sebbene - nei primi due casi - in modo meno sfacciato rispetto a Salvini (che non si è fatto mancare nemmeno anni di elogi a Putin). Questa destra di potere, che domina nella coalizione governativa e presto avrà la meglio negli enti pubblici e nei posti che contano (anche nell'informazione radiotelevisiva) ha, ogni tanto, qualche sbavatura e qualche caduta di stile (certe dichiarazioni ministeriali fanno quasi più danno alla Meloni che ad un Paese abituato a sentirne di tutti i colori). Però la Meloni ha un progetto ambizioso, che è da una parte europeo (sostituire all'asse socialisti-popolari quello popolari-conservatori) e da una parte nazionale (conquistare gradualmente la borghesia moderata, egemonizzarla, presentandosi come una sorta di nuova destra Dc). Rassicurare e conquistare spazio, visto che la Schlein guarda a sinistra, che al centro ci sono più leader che voti e che nel centrodestra la concorrenza è ormai fuori mercato. A ben vedere, il piano della Meloni non è spostarsi verso il centro, ma spingere i ceti di quell'area ad identificarsi in un progetto di "moderazione conservatrice". Una specie di riproposizione in grande scala della vecchia "maggioranza silenziosa", stavolta non per puntellare la Dc ma per dare forza e sostanza elettorale alla destra. Se c'è una cosa che la Meloni ha imparato da un decennio di volatilità elettorale è questa: la prima volta si può stravincere, ma la seconda è difficilissimo. Cerca di riuscire laddove Renzi, Grillo-Di Maio, Salvini hanno fallito: ecco perché sembra più cauta e moderata (per esempio sui conti pubblici) dei suoi alleati di governo. Non può promettere la luna, ma una navigazione tranquilla per tutti, che in fondo è quel che piace a fette consistenti della popolazione. Non sarà mai dorotea, ma sicuramente le piace che taluni la credano tale.