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Un'estate sospesa
Difficile capire se davvero l’autunno sarà così terribile come descritto da molti. Le variabili sono molte, a cominciare da quella sanitaria per finire a quella economica, ma dipenderà anche dal clima che si diffonderà nel paese, il quale a sua volta sarà influenzato dal contesto internazionale. Se le difficoltà sono generalizzate la gente sopporta con maggiore fatalismo quello che accade, mentre, se dovessimo trovarci in condizioni peggiori dei nostri vicini, la capacità di accettare un contesto difficile si ridurrebbe notevolmente.
La politica italiana non si prepara bene all’autunno: per tante ragioni, ma principalmente per l’incapacità di costruire, o almeno di provare a costruire quel minimo di concordia nazionale necessaria per affrontare l’impegno assai oneroso di rimodulare il nostro sistema. In fondo la domanda essenziale che pone l’ingente finanziamento europeo che è atteso, sia pure in tempi meno incalzanti di quelli che talora si lasciano trasparire, è proprio questa: sarà l’Italia capace di ritrovare quel posto importante che pure ha avuto in Europa almeno sino a metà degli anni Ottanta del secolo scorso? Su questo punto non avremo indulgenze, né dai nostri grifagni avversari, ma neppure da coloro che hanno voluto scommettere sull’opportunità di un aiuto che ci consentisse la famosa “ripartenza”.
Adesso leggi tutto
Ancora sulla riforma elettorale
La riforma elettorale attende di approdare in Aula, per essere esaminata ed eventualmente votata. Come sempre (volendo accantonare il precedente del 1953), a partire dal 2005 la riforma della legge elettorale è regolarmente progettata e compiuta per far vincere una determinata parte politica (l'Italicum) o per far perdere quelle avverse (il Porcellum, il Rosatellum, ora anche quella in discussione). È infatti evidente che oggi, anche se miracolosamente i Cinquestelle abbandonassero il loro anacronistico e improduttivo atteggiamento di chiusura verso le coalizioni elettorali (dopo che, peraltro, hanno sperimentato in Parlamento quasi tutte quelle praticabili, senza per questo scomporsi) un centrosinistra allargato, eterogeneo e plurale da Di Maio a Renzi e Calenda non solo non nascerebbe, ma non avrebbe la maggioranza di fronte ad un centrodestra che (nonostante le prese di posizione di Berlusconi, ben distanti dall'estremismo di destra dei neomissini di Giorgia Meloni e del sovranismo populista di Matteo Salvini) è ormai avviato a vincere le prossime elezioni politiche (sia che si tengano fra poche settimane, sia che slittino al 2023). Questo pessimo costume nazionale (che la Francia mutuò in una sola occasione, ai tempi di Mitterrand, per impedire - invano - la coabitazione con Chirac e comunque limitare la vittoria del centrodestra, nel 1986) è indice di un atteggiamento che leggi tutto
Europa-Italia: un buon primo tempo
La chiusura del lungo vertice di Bruxelles segna la svolta nella politica europea? Può essere, se si pensa che il buon giorno dipende dal mattino. C’è da essere più cauti se si considera che quella appena conclusa non è la battaglia finale, ma solo il primo tempo di un confronto destinato a proseguire. Naturalmente si può dire che la sproporzione delle forze in campo era palese: 5 cosiddetti frugali contro 22 altri stati, 5 piccoli e poco significativi nella storia dell’Unione, fra i 22 tutti grandi paesi che ne hanno connotato in vario modo la storia. C’è però da dire che i sentimenti (perché di questo si tratta e non di “ragioni”) che i frugali hanno imposto fanno breccia in una quota non marginale dell’opinione pubblica europea nel suo complesso, e dunque la loro sconfitta non è detto sia definitiva.
Tenere conto di questa realtà è molto importante soprattutto per un paese come l’Italia, ma vale anche per il motore franco-tedesco. Al momento è giustamente prevalsa la consapevolezza che dopo aver costruito un sistema economico integrato, se si lascia saltare una componente si incepperà tutto il meccanismo. Il tabù dei sovranismi economici, che faceva comodo a tutti, ma che aveva la potente sponda britannica ora fortunatamente venuta meno leggi tutto
Mobilitiamoci per il referendum costituzionale
Fra due mesi voteremo, nell'indifferenza di chi riceverà anche le schede per regionali e comunali e nella possibile abulia di chi sarà chiamato alle urne (negli altri centri) il 20-21 settembre solo per il referendum costituzionale, per decidere se ridurre o meno il numero dei parlamentari: alla Camera, i deputati sarebbero 400 (oggi 630); a Palazzo Madama, i senatori sarebbero 200 (oggi 315) più quelli a vita. Un periodico come Mentepolitica non può non sollecitare un dibattito su questo argomento: ci attendiamo contributi anche dai nostri lettori non abituati a scrivere su queste colonne. Poiché alcuni discutono e talvolta fanno propri degli spunti che trovano qui, è bene ribadire loro che le porte della nostra rivista sono sempre aperte e che nuovi contributi su un tema a nostro avviso cruciale sono non solo ben accetti, ma forse necessari (in fondo, ci leggete dal 2014...). Ci sono molte posizioni possibili che ognuno può scegliere di adottare su questo argomento, che - riguardando il Parlamento, cioè il cuore del nostro sistema istituzionale e luogo principe della democrazia - andrebbero fatti emergere nella varietà di sfumature che comportano. C'è chi pensa, come l'autore di questo articolo, che la qualità della rappresentanza debba essere il fine ultimo non della riforma, ma dell'agire politico: leggi tutto
Le eccezioni e la regola: considerazioni sullo stato di emergenza
Ormai negli ultimi anni dell’attuale fase politica abbiamo esaurito tutti gli aggettivi che descrivono i dibattiti in corso: lunari, stellari, senza capo ne coda, improvvisati e via elencando. Vale ovviamente anche per la questione della proroga dello stato di emergenza improvvidamente buttata lì dal premier Conte e poi subito ridimensionata, pasticciata e quant’altro (ma nessuno gli ha insegnato l’opportunità di pensare prima di aprire bocca?).
Tuttavia più che insistere sulla scarsa sensibilità dell’attuale presidente del Consiglio nel valutare la portata della situazione in cui si trova ad operare, vale la pena di sottolineare come si stia perdendo l’occasione storica per regolamentare una condizione che non si pensava potesse presentarsi, ma che adesso sappiamo essere nel novero delle cose possibili. Perché il problema non è solo discutere di quanto possa essere opportuno disporre di poteri d’intervento veloci per far fronte ad emergenze molto complesse, e neppure perdersi a ragionare se Conte possa avere la tentazione di fare l’Orban de noantri, quanto piuttosto quello di prendere coscienza che in questo momento il nostro paese non ha un quadro legislativo, di profilo costituzionale, con cui gestire emergenze di grande portata.
Partiamo da una premessa: strumenti per operare in stato di emergenza ce ne sono leggi tutto
Le spallate a vuoto dell'opposizione
Dopo esserci occupati della maggioranza, nello scorso appuntamento con Mentepolitica, stavolta volgiamo lo sguardo verso le opposizioni. Ce ne sono almeno tre: quella di centrosinistra, rappresentata da Più Europa, Azione di Calenda e pochi altri; quella di centro-destra, con Forza Italia; infine, quella di destra o - meglio - estrema destra, costituita dalla Lega sovranista di Salvini e da Fratelli d'Italia, il partito neomissino guidato dalla Meloni. Se della prima opposizione (quella di centrosinistra) si sente parlare ma non se ne avverte la pericolosità per la maggioranza (al di là di qualche scambio dialettico del tutto fisiologico), la seconda - "azzurra" - è invece la più complessa da analizzare, perché - differentemente dalla terza, che ha toni e posizioni radicali - appare di volta in volta dialogante se non addirittura in piena consonanza col governo, sui temi europei. Ci si è spinti, perciò, ad ipotizzare che Forza Italia possa votare il prossimo scostamento di bilancio e il "Mes sanitario", da un lato salvando la maggioranza da "colpi di testa" dei dissidenti pentastellati e, da un altro lato, entrando di fatto in una specie di limbo nel quale Berlusconi potrebbe diventare socio di Conte e Zingaretti senza esserlo formalmente e addirittura lasciandosi le mani libere per andare a vincere leggi tutto
I dilemmi di una riforma elettorale
A fine mese la maggioranza, ma sarebbe meglio dire il PD, proverà a far approvare almeno alla Camera il disegno di legge che rinnova il nostro sistema elettorale. Era parte dei patti che avevano dato vita al governo giallorosso per compensare il taglio senza logica del numero dei parlamentari. I Cinque Stelle hanno portato a casa quel risultato, ma poi non hanno fatto molto per tenere fede al patto, tranne il fatto che la bozza in discussione è intitolata al loro presidente della Commissione Affari Costituzionali, l’on. Brescia.
Si tratta del cosiddetto “Germanicum”, un sistema battezzato così solo perché dal sistema tedesco prende la soglia del 5% per ammettere al conseguimento della rappresentanza parlamentare (peraltro pasticciandolo con un ambiguo “diritto di tribuna” che è una spiritosa invenzione della politica). Del sistema tedesco è l’unico elemento che prende e, a dire al verità, in questo momento anche quel sistema è messo in discussione anche in Germania per problemi vari.
Però oggi il dibattito è ripreso sul solito classico tema: ha senso andare ad un sistema proporzionale, come è nel caso della bozza in discussione, o non sarebbe meglio un sistema che obbliga a scegliere fra due coalizioni, così si sa subito chi ha vinto e chi ha perso? leggi tutto
Il governo "calabrone"
La coalizione di governo è come - nella convinzione popolare errata che la scienza ha censurato più volte - un calabrone: per le sue caratteristiche, sembra impossibile che riesca a volare, però lo fa. In questa fase, nella quale la politica del rinvio attuata scientificamente dal presidente del Consiglio serve a non mettere in difficoltà i Cinquestelle, ma anche a far saltare pazienza ed equilibri del Pd, tutto - compresi i passaggi di senatori pentastellati alla Lega o al Misto - fa pensare che il calabrone stia per precipitare: magari non ora, ma a settembre, con la resa dei conti, prima nelle urne e poi in Parlamento. Questo governo - che abbiamo sempre definito giallorosa e non giallorosso, per la presenza della componente centrista/macroniana di Italia viva - è sorretto da due partiti maggiori e da due comprimari (entrambi indispensabili, visti i numeri in Senato). Il M5s è il soggetto politico che - sulla carta - dovrebbe essere egemone o almeno - dati i rapporti di forza fra i seggi parlamentari pentastellati e quelli del Pd - recitare il ruolo che fu della Dc nel pentapartito (mentre al partito di Zingaretti spetterebbe quello del Psi). Eppure, quel 32% delle politiche raccolto dai Cinquestelle e quel 18% del Pd sono retaggi del passato: l'ultima rilevazione Ipsos leggi tutto
Se adesso il gioco si fa duro
Le ripetute uscite di Zingaretti sulla assoluta opportunità per l’Italia di ricorrere al MES sono davvero una svolta nel quadro politico attuale? E’ la domanda che non possiamo evitare di porci, visto che fino a poco tempo fa era sembrato che il PD assecondasse la politica di Conte del troncare e sopire. In effetti il clima è diventato piuttosto caldo e si potrebbe dire, parafrasando una celebre battuta da film, che adesso il gioco si fa duro. Che poi, continuando nella citazione, questo sia il momento in cui i duri cominciano a giocare lo vedremo: fino ad ora di duri veri non se ne sono visti in giro.
E’ comunque un fatto che Zingaretti ha battuto un colpo e si è trattato di un colpo forte. Perché l’abbia fatto, può prestarsi a diverse interpretazioni. La più banale è che si sia stancato dell’infantilismo dei Cinque Stelle che pretendono di condizionare la politica italiana alla loro incapacità di gestire la crisi interna al movimento. Ci sarà sicuramente anche questo, ma dubitiamo che sia la ragione principale, perché avrebbe potuto accorgersene anche prima. E’ più plausibile che il segretario del PD si stia rendendo conto che i Cinque Stelle chiedono sempre attenzione alle loro problematiche, leggi tutto
La battaglia sul governo e la torta della spesa pubblica
Mai come ora, negli ultimi venticinque anni, un governo ha potuto disporre di risorse ingenti (anche se tutte in deficit e per un periodo breve, in una circostanza del tutto eccezionale). Non è una novità di poco conto: stretti fra le necessità di tenere i conti dello Stato in ordine, con un rapporto fra debito e PIL ben oltre il 100%, gli Esecutivi della Seconda Repubblica hanno potuto osare poco (anche se, dopo la parentesi di Monti, hanno a nostro avviso speso e osato fin troppo, dagli ottanta euro di Renzi al reddito di cittadinanza e a quota 100 per le pensioni, tanto per parlare delle principali iniziative di spesa pubblica a fini elettorali). Per certi versi, il limite all'espansione della spesa ha rappresentato un impedimento ai progetti delle maggioranze, mentre per altri hanno evitato - o meglio, limitato - "assalti alla diligenza" da parte di singoli parlamentari e delle categorie socioeconomiche. C'è stato, però anche un "self restraint", cioè il richiamo ad un senso della misura. Purtroppo, quasi mai si è investito in futuro (scuola, sanità, ricerca, occupazione) ma spesso, invece, lo si è fatto per iniziative immediatamente paganti in termini di consenso. Oggi, la notevole mole di potenziale spesa a disposizione del governo Conte provoca leggi tutto