L’ennesimo penultimatum?
Dunque il grande confronto fra Conte e Draghi che doveva tenersi lunedì 4 pomeriggio è stato rinviato a mercoledì 6. La tragedia della Marmolada che ha richiesto la presenza del premier ha fornito un ottimo motivo per rinviare quello che secondo il capo politico pentastellato avrebbe dovuto essere un aspro confronto, ma che tutti gli osservatori scommettevano si sarebbe risolto in qualche sparata a salve. Se sarà così lo vedremo il 6 luglio, ma naturalmente l’abitudine di Conte a ricorrere a quelli che vengono ironicamente definiti “penultimatum” non fa aspettare una crisi di governo.
Eppure la situazione è più complicata di quanto non la si voglia far apparire. Il capo politico dei Cinque Stelle insiste a dire che Draghi deve tenere conto del peso del suo partito e fa circolare l’ipotesi di almeno tre “paletti” non negoziabili: reddito di cittadinanza, difesa del superbonus edilizio, termovalorizzatore a Roma. In sé, a parte la faccenda del termovalorizzatore su cui il governo non può far marcia indietro senza una figuraccia col sindaco Gualtieri e con la capitale invasa dall’immondizia, gli altri due temi sarebbero anche “trattabili”, perché si può risolverla all’italiana riaffermando il principio, ma mettendo cautele e controlli che evitino l’uso diciamo così disinvolto che si è fatto dei due provvedimenti.
Il vero problema è che con una coalizione di governo tanto larga come quella attuale diventa difficile accontentare un singolo membro, per di più piuttosto bullista, senza che si apra una frana con gli altri. Teniamo conto che fino a qualche tempo fa Conte poteva appellarsi al fatto di rappresentare il partito che era di gran lunga di maggioranza relativa, mentre oggi non lo è più. Figurarsi se Salvini o Forza Italia rinunceranno a chiedere in compensazione i loro dividendi e a questo punto sarà difficile che non lo facciano anche gli altri, a cominciare dal PD:
Dunque Draghi non è che abbia tutti questi spazi di negoziato, anche a prescindere da quelli che si dicono essere i suoi umori verso il suo predecessore. In conseguenza tutti hanno il problema di salvare la legislatura, ma per farlo debbono, come si dice, darsi una regolata. Motivi per un appello alla ragionevolezza ce ne sono molti: la guerra in Ucraina, la crisi energetica, l’inflazione che sale, la messa a terra del PNRR (e già si è visto un intervento piuttosto discutibile del Tar della Puglia per bloccare un progetto di grande infrastruttura: un segnale non proprio benaugurante).
Ora tutto il dibattito si sta avvitando su quello che a noi pare un problema mal posto, cioè la possibilità che il governo Draghi continui nella sua vita perché avrebbe una maggioranza parlamentare anche se i Cinque Stelle si sfilassero. Il premier ha già detto che questo non sarebbe possibile, ma si insiste a dire che per evitare i guasti di una estate di fatto senza governo in attesa delle elezioni in autunno Mattarella e altri potrebbero forzare le cose costringendo Draghi ad accettare quella soluzione in nome della salvezza della patria.
Tuttavia il quadro non è così semplice. L’esecutivo attuale è nato su una iniziativa del Capo dello Stato che ha convinto i partiti ad una tregua per un governo non politico (il che vale anche più che non un governo di larga unità nazionale). Continuare con l’abbandono di M5S (l’appoggio esterno è una foglia di fico) avverrebbe grazie ai voti che porta in dote la scissione di Di Maio e questo trasformerebbe l’attuale compagine in una formazione “politica” che si regge su una nuova dinamica parlamentare senza alcun passaggio elettorale e certo non promossa da Mattarella.
Ovviamente poi c’è da considerare se Salvini lascerebbe passare la nuova operazione senza obiezioni, se la Meloni non tornerebbe a chiedere, con qualche buona ragione, la prova elettorale, ma soprattutto se il PD potrebbe accettare un pasticcetto del genere che certo nuocerebbe quanto meno a quella immagine di partito della ragionevolezza che in questo momento gli fa guadagnare consensi.
Dubitiamo che a Draghi converrebbe bruciare il suo capitale di autorevolezza sul piano interno e internazionale per compiacere il ritorno dei Cinque Stelle alla loro vecchia retorica. Quando si legge sui loro social che l’attacco a M5S viene da forze che non vogliono la difesa dei poveri e degli ultimi da loro perseguita, non si può trattenere un moto di stizza: va bene la demagogia, ma andrebbe contenuta in limiti di decenza.
Al momento ciò che sembra costringere Conte a ridimensionare gli assalti alla baionetta che gli suggeriscono spin doctor e pasdaran vari è la posizione, apertamente ribadita più volte dal PD, secondo cui se il cosiddetto avvocato del popolo farà saltare il governo deve scordarsi di poter correre alle elezioni nel famoso “campo largo” lettiano. La prospettiva di una corsa solitaria porterebbe i Cinque Stelle ad una probabile catastrofe, soprattutto con l’attuale legge elettorale (e le opportunità di passare ad una di impianto proporzionale ci sembrano più che scarse). Questo probabilmente costringerà Conte e i suoi (la cui convocazione è stata anch’essa rinviata al 6 luglio) a cercare la fuga nell’ennesimo penultimatum che si scioglie come una bolla di sapone.
Sempre che non prevalga la pulsione provare a rovesciare il tavolo: qualcosa che in politica è, purtroppo, nel novero delle cose possibili.
di Paolo Pombeni
di Andrea Frangioni *