Ultimo Aggiornamento:
24 aprile 2024
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Elisabetta II: una magia irripetibile?

Fulvio Cammarano * - 14.09.2022
Elisabetta II

Non succede tutti i giorni e non succede a tutti di essere presenti quando una pagina di storia si chiude. E con la morte della regina Elisabetta II, possiamo dirlo, la storia ha voltato pagina. Ci sono infatti figure, molto rare, in grado di rappresentare epoche e comunità, attraversando gli anni e le generazioni senza mai perdere il contatto con lo spirito de tempi. Elisabetta è stata una di queste. Come potrebbe essere altrimenti? Venuta alla luce pochi anni dopo la fine della Prima guerra mondiale, ha confermato, appena salita al trono nel 1952, la premiership di Winston Churchill, il grande leader britannico nato nel 1874 a cui si deve attribuire la vittoriosa resistenza al nazismo, e qualche giorno fa, poche ore prima della sua morte, ha conferito l’incarico di Primo ministro a Liz Truss, venuta al mondo oltre un secolo dopo il grande statista conservatore. Al di là delle commemorazioni di rito e delle ricostruzioni agiografiche che si stanno moltiplicando in queste ore, va sottolineato che il carisma di Elisabetta non derivava unicamente dalla lunga epopea dei suoi 70 anni di regno, un lasso di tempo enorme e mai raggiunto prima da un sovrano europeo. Quello che ne ha fatto una figura mitica è stata la capacità di adattarsi ai tumultuosi cambiamenti del XX e XXI secolo senza perdere credibilità istituzionale e umana. Si tratta di un risultato che, in un tempo così lungo, ha richiesto uno sforzo sovraumano, una parola che non deve suonare retorica se teniamo presente che l’incoronazione trasforma una persona in un simbolo vivente.  Elisabetta ha saputo immedesimarsi nell’istituzione, anche a costo di gravi ferite personali, mettendo cioè da parte affetti e sentimenti familiari e privati nel momento in cui questi entravano in rotta di collisione con il mantenimento della credibilità della monarchia. Ne sanno qualcosa la sorella Margaret, il figlio Andrea o il nipote Henry le cui aspettative personali sono state sacrificate sull’altare della ragione di Stato.

Elisabetta ha, dunque, saputo preservare la sacralità dell’immagine della Corona, in un sistema costituzionale che, dalla metà del XVII secolo, aveva fatto del sovrano una potenza simbolica senza potere effettivo. In realtà il suo potere andava al di là della sfera politica dell’esecutivo. Come aveva ricordato il grande costituzionalista Walter Bagehot, senza la Corona, senza la sua capacità di proiettare un’immagine “magica” del potere, e di agire con discrezione, al riparo dalle luci della ribalta politica - sempre informata dai suoi ministri su quanto accadeva, incoraggiando e ammonendo - un sistema come quello britannico, basato sulla deferenza e sulla comunità, avrebbe subito non poche convulsioni. Quei brevi e talvolta non del tutto sereni incontri a Buckingham Palace, durante i quali la regina incaricava i propri primi ministri, non erano mai routine bensì un modo per trasmettere sacralità a quella parte del sistema, “efficiente” ma priva di “vitalità” propria, a quelle figure di premier spesso anonime o burocratiche. Una “magia” che, grazie a lei, si è mantenuta anche nel cuore della contemporaneità: Elisabetta è stata la prima sovrana britannica a dimostrare che l’istituzione era in grado di sopravvivere all’ingresso dentro Buckingham Palace della “luce” mediatica e persino degli scandali (pensiamo al pericolo corso negli anni ’30 dai Mountbatten-Windsor a causa della clamorosa vicenda di Edoardo VIII, zio di Elisabetta, che aveva abdicato per sposare una divorziata). The Queen ha mostrato al mondo come si rimane regali adattandosi ai tempi, senza farsene travolgere. Da questo punto di vista il consorte Filippo è stato determinante e l’ha aiutata a non temere l’esposizione pubblica (ad esempio convincendola a far riprendere l’incoronazione nel 1953 dalle telecamere televisive, o ad accettare che venisse girato nel 1968 un lungo documentario sulla famiglia reale, di grande successo nell’intero Commonwealth), anzi a considerarla un modo per rinsaldare i rapporti con i milioni di cittadini che in molte nazioni dell’intero pianeta la riconoscevano come Capo di Stato. Un’esigenza, questa del rapporto con un’opinione pubblica sempre più irrequieta che ha chiesto, negli anni, il coinvolgimento dell’intera famiglia reale. Ogni membro ha avuto un ruolo nel rappresentare la Monarchia e se in diversi si sono mostrati non all’altezza del difficile compito, è anche vero che, nonostante ciò, le robuste spalle di Elisabetta hanno garantito un costante gradimento popolare per la Monarchia. Persino la mossa di grande acume psicologico di chiedere, placatasi l’ostilità popolare seguita alla morte di Diana Spencer, l’incoronazione per Camilla, consorte del figlio e successore Carlo, conferma la lucidità con cui ha pensato di garantire la sopravvivenza della Casa reale e dunque una successione senza scosse. Adesso il re è Carlo III, 74 anni, a cui spetta il difficile compito della successione in una fase storica complessa, fuori dall’Unione europea e con non poche tendenze centrifughe sia nel Regno Unito, sia nel Commonwealth. Si tratta certamente di un sovrano preparato, con esperienza e competenze nel modo di rappresentare la Monarchia britannica nel mondo, accresciutesi nei molti anni trascorsi come principe di Galles in attesa di salire al trono. Non è detto però che questo possa essere sufficiente. Certo non sembra di buon auspicio quanto scriveva lo stesso Bagehot un secolo e mezzo fa: “se il principe sale al trono da vecchio o nella mezza età. Sarà allora inadatto a mettersi al lavoro (…) È più adatto a diventare un buon monarca costituzionale il Principe che comincia a regnare presto, che in gioventù ha disdegnato i piaceri ed è disposto a lavorare e che ha per natura un’inclinazione particolare per la discrezione. Sovrani del genere costituiscono un grande dono divino, ma sono tra i più rari”. Energia contro esperienza, insomma. Probabilmente Carlo III possiede entrambe, però, in attesa dei solenni funerali, bisogna ammettere che per tutto il mondo non sarà facile dimenticare quella che Andrew Morton, biografo dei reali, ha descritto come “la scintilla maliziosa negli occhi” di Elisabetta, la regina che ha attraversato con grazia e fermezza l’età del disincanto.

 

 

 

 

* Ordinario di Storia Contemporanea – Università di Bologna