L’attesa sfiancante delle urne europee
Non c’è verso: la politica non si libera dall’ossessione per i risultati delle elezioni europee. Le amministrative che in buon numero le vengono affiancate non sono oggetto di considerazione particolare, a meno che non arrivino con qualche anticipo sul fatidico 9 giugno, come è nel caso delle regionali in Basilicata (ma anche in questo caso l’attenzione si è già molto smorzata).
Problemi da affrontare ce ne sarebbero: la gestione del PNRR non è che marci proprio splendidamente, dovendo scontare la debolezza dei nostri apparati burocratici, ma nessuno sembra intenzionato a varare un serio programma per la riforma della pubblica amministrazione. Il tema della finanza pubblica meriterebbe qualche attenzione, perché se è vero che qualche progresso si è fatto nella lotta all’evasione, siamo ben lontani dall’essercene fatti davvero carico.
Si va avanti col piccolo cabotaggio che punta solo a piantare bandierine. Al governo si perde tempo a varare proclami sulla presenza di ragazzi immigrati nelle nostre scuole, discettando stupidamente sulla opportunità o meno di un giorno di fermo alle lezioni per la chiusura del Ramadan (in un sistema scolastico che appena può chiude per qualunque “ponte”) o sulle percentuali accettabili di presenza di alunni non italiani in una classe (mentre non ci sono programmi per integrare davvero i nuovi venuti che hanno bisogno di un insegnamento tarato sulle loro difficoltà). Nell’opposizione non si rinuncia alle mozioni di fiducia individuale a ministri discussi e discutibili come Santanché e Salvini. Sceneggiate inutili, perché si sa benissimo che così si costringe la maggioranza a fare quadrato salvando anche personaggi che non è che godano proprio di un favore illimitato fra le fila dell’opposizione.
Mancano più di due mesi a quello che viene sempre più interpretato come un passaggio fatidico e alla pubblica opinione si offre solo lo spettacolo, deprimente in verità, di lotte per la formazione delle liste dei candidati dove non domina certo la preoccupazione di mandare al parlamento europeo personaggi di qualità.
Essendo sempre più la lotta quella per incrementare le proprie percentuali o in vari casi per impedirne un decremento significativo, le strategie si dividono fra l’individuare figure che si suppone possano fungere da acchiappavoti e l’esasperare tratti presunti “identitari” nella convinzione che siano quelli a fidelizzare i propri elettori. Naturalmente tutti, per quanto possibile, vorrebbero poter contare su entrambe le strategie, ma non sarà facile visto che ormai la pubblica opinione si sta raffreddando.
A questo fenomeno si presta, ci pare, scarsa attenzione. I sondaggi più raffinati continuano a registrare percentuali alte di elettori che pensano di disertare le urne. Non c’è da meravigliarsene se si tiene conto che anche nella precedente tornata di elezioni europee si è andati pericolosamente vicini ad una astensione della metà del corpo elettorale. Questa volta si punta al fatto che almeno dove le elezioni per il parlamento di Bruxelles/Strasburgo si svolgono in contemporanea con elezioni amministrative queste ultime possano incentivare un incremento della partecipazione. Non sappiamo da dove derivi questa aspettativa, visto che tanto nelle elezioni in Sardegna, quanto in quelle del Molise non si è avuta alcuna partecipazione massiccia. Anzi, a nostro modesto parere, c’è pure il rischio che la scarsa passione a recarsi a votare per i candidati alle europee deprima in contemporanea la partecipazione alle elezioni amministrative.
Un altro elemento da non sottovalutare sarà l’effetto del proliferare di liste sia radicaleggianti come approccio (tipo quella di Santoro e compagni) sia assemblate in qualche modo intorno a presunti “scopi” che non sappiamo quanto siano mobilitanti per la gente (tipo gli stati uniti d’Europa). Alcune saranno travolte dall’impossibilità di superare la soglia di sbarramento, altre manderanno al parlamento della UE un gruppetto sparuto di persone che non è chiaro quanto potranno fare davvero politica e quanto invece si limiteranno a piantare qualche ennesima bandierina.
Quel che al momento sembra di intuire è che le lotte intestine per la formazione delle liste di candidati non resteranno senza conseguenze sugli equilibri dei diversi partiti, e ancor meno sarà così se le cabale escogitate per formare i vari cocktail avranno un cattivo risultato nelle urne.
Molti osservatori si aspettano questi scenari e anche, come è ormai un (cattivo) costume di certi giornali, si danno da fare per agevolarne la realizzazione dandoli già per scontati. Rientrano in questa fenomenologia non solo le speculazioni sulla tenuta o meno di Salvini e di Elly Schlein ai vertici dei rispettivi partiti, ma quelle su un rimpasto di governo dato per inevitabile dopo che saranno conosciuti i risultati elettorali.
Qualche dubbio in merito a quest’ultima eventualità ci permettiamo di avanzarlo. Che ci si sbarazzi di un ministro inutile e ingombrante come la Santanché può essere probabile: non comporta nessun passaggio parlamentare né sono prevedibili contraccolpi. Un più vasto rimpasto sarebbe molto impegnativo, sia perché andrebbe a toccare personaggi in vario modo emblematici (Giorgetti e Nordio, per fare due nomi), sia perché comporterebbe un passaggio parlamentare per verificare la fiducia come ha lasciato intendere Mattarella (che, sia detto per inciso, sta dimostrando di non essere disposto a stare semplicemente alla finestra per qualsiasi mattana sia inventata da membri del governo in carica).
Insomma l’immobilismo attuale finirà per sfiancare la tenuta del sistema politico. Una prospettiva che non è esaltante, perché di alternative vere e possibili non se ne vedono in campo. Le componenti ancora responsabili che pure esistono tanto fra le fila della maggioranza quanto fra quelle dell’opposizione dovrebbero tenerne il debito conto.
di Paolo Pombeni