Putin alza il tiro e punta all'Europa
Fonti vicine alla Casa Bianca, al Pentagono e al Dipartimento di Stato avanzano l’ipotesi che Putin, intensificando per numero e potenza di fuoco l’aggressione militare all’Ucraina, punti a giocare allo scoperto, avvalendosi di minacce e provocazioni: non più ‘operazione militare speciale’ ma dichiaratamente “guerra” vera e propria, estesa “oltre”, a cominciare dai Paesi Baltici, in primis l’Estonia. Come se il mondo che osservava cosa stava accadendo in questi due anni fosse stato composto da un’accozzaglia di minchioni disposti a credere al teorema della denazificazione e della riconquista delle sole regioni orientali dell’Ucraina. Non bastano le blasfeme benedizioni del Patriarca Kirill (ex KGB) a convincere il popolo russo sull’apertura delle porte del Paradiso per coloro che si immolano per la Patria. Aver perso più di 300 mila uomini sui campi di battaglia non ha indotto lo Zar a ripensamenti: la strategia era stata elaborata da tempo e puntava lontano. Le elezioni plebiscitarie-farsa al quinto mandato (inframmezzato dalla parentesi puramente formale del rincalzo Medvedev) con l’87% dei consensi, l’omicidio di Navalny e Prigozhin e gli arresti di altri oppositori al regime stanno rinsaldando Vladimir Vladimirovic nel convincimento che nulla gli è precluso: un delirio di onnipotenza che va fermato senza permettergli di alzare l’asticella dei suoi ricatti. La violenza crescente con cui si sono intensificati i bombardamenti, il lancio ininterrotto di missili e droni non lascia spazio a possibili negoziati: ciò che chiede la comunità internazionale e ciò che il popolo stesso vorrebbe sono elusi dai progetti incendiari del Cremlino. Ormai l’asservimento dell’establishment interno è (apparentemente) totale e paradossalmente giova alla causa belligerante di Putin la strage terroristica al Crocus City Hall di Mosca in cui hanno perso la vita almeno 139 persone mentre il numero dei feriti ha superato le 300 unità. La reazione dello Zar è apparsa calcolata e sequenziata: dopo il silenzio iniziale, l’ammissione che l’attacco terroristico è stato realizzato da un commando dell’ISIS, che peraltro ne ha rivendicato per due volte la paternità. Subito dopo la distinzione tra esecutori e mandanti del gesto criminoso in danno di innocenti cittadini, ha preso subito corpo la pista della matrice ucraina, con l’appoggio strategico degli USA e del Regno Unito (che simbolicamente, nell’immaginario collettivo rappresentano l’icona del mondo occidentale e della NATO). Dopo l’arresto sotto tortura dei 4 esecutori materiali della strage e di altri complici, la loro confessione non è bastata per identificare la fonte islamica dell’attacco. Dopo il discorso esplicito dello Zar sono intervenuti Nikolai Patrushev, segretario del consiglio di sicurezza, Alexsandr Bortnikov capo del servizio segreto FSB e Dimitri Peskov, portavoce del Cremlino per chiudere il cerchio: “gli attentatori sono stati addestrati in Medio Oriente sotto la guida di Kyiv, tanto è vero che dopo la strage al Crocus Cyti Hall sono fuggiti - sulla stessa auto con cui erano arrivati- in direzione dell’Ucraina”. Peccato che proprio il Presidente della Bielorussia e fedele alleato di Putin, Aljaksandr Lukasenko, abbia smentito questa via di fuga e di “reimpatrio” affermando che gli attentatori integralisti islamici fossero diretti a Minsk, proprio per evitare il controllo al confine ucraino, il più militarizzato e presidiato del territorio. Ma il teorema della matrice ucraina con il supporto di USA e G. Bretagna era stato studiato a tavolino per giocare il risiko dell’escalation e coinvolgere in un colpo solo Kyiv e l’Occidente. Intanto l’agenzia Bloomberg scrive che “secondo quattro fonti vicine al Cremlino non ci sono prove del coinvolgimento di Kyiv nell’attacco terroristico” mentre gossip anonimi di Mosca confermano che Putin stesso era presente quando i suoi funzionari politici erano giunti a questa conclusione. Ciò nonostante TV e stampa- a cominciare da Vladimir Solovev - hanno martellato l’opinione pubblica russa – “fresca di elezioni plebiscitarie” – con un crescendo accusatorio contro Kyiv e “l’Occidente intero”. Girano intanto dei filmati degli oppositori interni russi secondo cui agenti dell’FSB erano fisicamente presenti nel teatro per allontanarsene chiudendo le vie di fuga prima delle raffiche di mitra che hanno falcidiato gli spettatori. Il teorema del coinvolgimento, di più, della matrice ucraina dell’attentato consente tuttavia a Putin, appena riconfermato Presidente di calare le sue carte, barando come ha sempre fatto secondo un teorema criminale che non riconosce il diritto di autodeterminazione dei popoli, eliminando fisicamente l’ opposizione interna e giocando sporco quando afferma di essere sempre stato disposto al negoziato mentre la distruzione dell’Ucraina è stata un crescendo impressionante di attacchi di ogni tipo, da Bucha a Mariupol, da Charkiv a Zaporizhzhia, da Odesa a Kyiv, diurni, notturni, senza un solo giorno di tregua. L’Ucraina è il chiodo fisso di Putin appena salito al potere per volere di Eltsin, con la sua invasione tuttavia si sta dipanando un piano più ambizioso che mira all’Europa, all’Occidente e allo scontro con la NATO. Le strategie di lungo periodo dello Zar sono ambiziose e giocano anche sul sostegno diretto o indiretto di Cina e India: il suo piano dovrebbe in teoria concludersi entro questo quinto mandato presidenziale. Nel frattempo l’Europa inizia forse a capacitarsi di un pericolo imminente che va oltre le forniture di gas e il commercio di grano, oltre le sanzioni implementate, verso una catastrofe di cui si intravvede uno schizzo iniziale con il possibile attacco ai Paesi Baltici e ai confini occidentali dell’Ucraina. Fa specie, per quanto ci riguarda una certa superficialità con cui l’Italia si prepara alle elezioni europee: il refrain è sempre lo stesso, candidature, capilista, alleanze, manuale Cencelli, dominio dei partiti che non tengono conto dei problemi della società civile che – ad onor del vero – parliamo delle tasche e degli interessi dei cittadini - guarda con sospetto e indifferenza l’appuntamento elettorale. Proprio nel momento in cui si addensano all’orizzonte nubi fosche e tristi presagi e qualcuno comincia a pensare all’utilità di un esercito europeo e – in primis – ad una coesione e compattezza necessarie. Finora l’Europa ha lanciato a Putin segnali di diffidenza ma anche di intrinseca debolezza. Dai talk show dopo i TG italiani emerge ad esempio quanto il filoputinismo sia infiltrato a mistificare e falsare le informazioni, alimentando lo sconcerto.
di Francesco Provinciali