Insensibili ai diritti?
Non era mai successo, nella storia elettorale italiana, che i diritti fossero al centro del dibattito pubblico come è avvenuto nel corso delle elezioni appena concluse. Ovviamente non si tratta di una combinazione. Il tema è, per diverse ragioni, molto attuale e non a caso, durante una campagna elettorale costantemente rivolta verso gli interlocutori europei per dimostrare la “fedeltà” dei contendenti ai valori dell’Unione, i leader politici si sono dovuti confrontare, volenti o nolenti, su questi problemi. Alla vigilia del voto, tutti i partiti avevano compattamente invitato gli elettori a recarsi alle urne. Il 25 settembre 2022 era stato equiparato per importanza al 18 aprile 1948 perché, come allora, si era di fronte ad una sorta di elezione del “dentro o fuori”, quella che avrebbe deciso le sorti del Paese aprendo la strada ad una nuova fase storica. Se lo consideriamo da questo punto di vista, allora si può dire, senza tema di smentita, che il grido di dolore non ha affatto impressionato gli italiani. L’appello di tutti i partiti a restituire lo scettro alla politica, dopo anni di governi tecnici o costruiti sull’ingegneria parlamentare, non ha lasciato il segno, se è vero che l’astensione ha raggiunto livelli record. Il 37% degli elettori (16,5 milioni di italiani) non si è recato alle urne, il 9% in più (vale a dire 4 milioni) rispetto al 2018. Un dato significativo che però analisti e leader politici, dopo l’iniziale sconcerto, hanno volutamente ignorato concentrandosi sui seggi guadagnati e persi dalle formazioni politiche. Come è giusto che sia. Chi non partecipa decide coscientemente di non contare e i ragionamenti, oltre che i governi, si fanno solo a partire dai voti reali che, questa volta, hanno confermato quanto annunciato dai sondaggi, cioè il trionfo di “Fratelli d’Italia”. Tuttavia, una volta esaurite le analisi su quanto raccolto dai partiti e su chi entra e chi esce dal Parlamento, alla vigilia della formazione dell’esecutivo, potrebbe essere utile tornare a ragionare sulla questione delle astensioni. Infatti, proprio mentre si celebra il ritorno della politica e si sottolinea la scelta trasparente con cui gli italiani hanno finalmente indicato il loro governo, non si può ignorare che ben più di un terzo della cittadinanza non intende farsi coinvolgere dalle istituzioni politiche. Ad aggravare il quadro non è tanto il numero record degli astenuti, quanto piuttosto che tale risultato sia arrivato nonostante gli accorati appelli al voto e dopo il richiamo al carattere peculiare di un’elezione presentata, a sinistra, come un bivio tra democrazia e autoritarismo. Il fatto che il Pd non sia comunque stato in grado di mobilitare la “riserva” del proprio bacino elettorale, evidentemente incredulo o indifferente rispetto all’allarme democratico appare un fatto politicamente e culturalmente rilevante. Enrico Letta aveva caratterizzato la propria sfida politica puntando le proprie carte sul tema dei diritti. Una scelta coraggiosa e non casuale: per la prima volta un partito di sinistra ha indicato come prioritaria la difesa dei diritti senza introdurre distinzioni, spesso inventate, tra diritti civili e sociali. Una decisione che sostanzialmente serviva a marcare le distanze dalla coalizione di destra ritenuta non solo estranea a tale cultura, ma anche ostile, in considerazione della vicinanza di Meloni e Salvini a regimi poco attenti, mettiamola così, ai temi dei diritti e delle libertà. Se vogliamo, dunque, il Pd ha provato, sia pure in modo non esplicito, a verificare l’interesse degli italiani e in particolare dei giovani, a difendere la sfera dei diritti, mentre la destra batteva sul tasto dell’integrità nazionale e su quello della difesa dei ceti medi impoveriti. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Non solo il Pd non ha guadagnato consensi attestandosi sotto la soglia simbolica del 20%, ma un numero straordinariamente alto di italiani e italiane ha deliberatamente scelto di non prendere posizione sull’implicito quesito posto da questa tornata elettorale. Il popolo italiano, dunque, conferma la sua storica insensibilità al tema dei diritti, civili e sociali, vale a dire all’essenza ultima del fragile tessuto della democrazia, ormai considerato, non più solo a destra, una specie di questione eccentrica, un lusso che interessa solo i ceti benestanti, quelli che vivono nelle ZTL. In realtà, anche, se non soprattutto, nei momenti di crisi economica, bisognerebbe comprendere che disinteressarsi dei diritti rappresenta una vera e propria trappola. I promotori della cultura neoliberista hanno fatto concessioni su diritti civili ‘a costo zero’, promuovendo una sorta di consumismo narcisistico ed egotico che favorisce la messa in discussione dei diritti sociali sino ad intaccare quelli civili e politici. Smascherare l’ipocrisia di questo modello rappresenta la vera sfida culturale e politica dei prossimi anni per che pensa in termini di rifondazione del progetto liberal-democratico.
di Fulvio Cammarano *
di Francesco Provinciali *