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24 aprile 2024
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Se la destra sceglierà l’alternanza, anziché l’alternativa

Paolo Pombeni - 26.10.2022
Draghi e Meloni

Ci si interroga su quanto durerà il governo Meloni e ci si spacca fra chi propende per la profezia di Calenda (“durerà sei mesi”) e chi affascinato dall’abilità di posizionarsi della nuova premier scommette che resterà in sella per un bel po’ di tempo. Ovviamente nessuno è in grado di sciogliere le molte incognite che pesano sull’esperimento: dalla possibile pulsione di Salvini e Berlusconi a renderle la vita difficile all’evoluzione della situazione economica ed internazionale.

C’è però un elemento sul quale converrebbe puntare l’attenzione: la capacità o meno della giovane leader di scegliere fra il puntare ad accreditare un sistema di alternanza o farsi risucchiare nel gorgo di instaurare una alternativa. Detta così può suonare un po’ criptica, ma vediamo di spiegarci. Una certa visione tradizionale, che fa comodo a tanti membri delle classi dirigenti, è che la politica sia la contrapposizione fra visioni contrapposte che non possono fare altro che cercare di eliminarsi a vicenda (in senso politico e metaforico, si capisce…). In Italia è stato a lungo così e per cavarsela si usa dire che siamo il paese dei guelfi e dei ghibellini, dei Montecchi vs. i Capuleti e via elencando. Chi stava al potere avvertiva che quando avessero vinto “gli altri” si sarebbe perso tutto quello che loro avevano costruito, mentre gli avversari proclamavano che quando avessero vinto avrebbero cambiato tutto. Sebbene con questa radicalità non sia mai stato possibile (perfino ai tempi della dittatura fascista non si andò fino in fondo – per fortuna), è indubbio che così si sia sempre cercato di fare e soprattutto che questo sia stato preteso dai pasdaran dell’una e dell’altra fazione. La spartizione delle risorse beceramente in nome della ricompensa alle fedeltà di partito è qualcosa in cui sono caduti tutti, magari alcuni con più eleganza, altri con più stupida protervia.

É avendo in mente questi costumi che ha suscitato stupore, e in alcuni rigetto, la “successione ordinata” che Draghi ha guidato accompagnando la venuta al governo di Giorgia Meloni, vincitrice della battaglia elettorale. Non è piaciuta non solo agli oppositori del nuovo governo, ma nemmeno a quelle componenti dello stesso che giustamente hanno visto in ciò un freno al loro desiderio di “non fare prigionieri” (tanto per citare una battuta attribuita a Previti ai tempi della prima vittoria di Berlusconi). Di conseguenza ci si è buttati alla ricerca di tutti quei segnali che potevano prestarsi a ripetere la storiella del lupo che perde il pelo, ma non il vizio.

È prematuro asserire che invece tutto sta andando benissimo, perché al potere c’è una destra che vuole essere conservatrice, ma non reazionaria. La politica si misura su una sequenza di atti e comportamenti, non su frasi che potrebbero anche risultare gettate lì solo per affermare la propria diversità rispetto a “quelli di prima”. Ci vorrà qualche tempo per valutare verso dove Meloni vuole indirizzare la sua nave e per vedere se la sua ciurma la seguirà senza renderle problematica la navigazione e farla deviare, se non naufragare.

Intanto però si deve valutare come alcune “denunce” circa un cambiamento di quadro complessivo siano piuttosto strumentali. Molto è legato alla decisione, in verità abbastanza ingenua, di ridenominare alcuni ministeri giusto per sottolineare un nuovo “clima” (supponiamo per accontentare un po’ di pasdaran a cui si poteva giusto concedere questo). Il fatto è che in molti casi si tratta di scelte che potrebbero anche creare nuovo consenso alla destra conservatrice se venissero usate sensatamente e non come inutili manganelli ideologici. Prendiamo il caso del ministero della natalità e della famiglia. I termini possono anche suonare vecchiotti, ma basta guardare alla Francia dove grazie a politiche serie di sostegno alla natalità e alle famiglie la curva demografica non è così in sofferenza. Dubitiamo che la maggioranza della popolazione sia più interessata alla battaglia sulle tirate ideologiche circa l’omotransfobia (già perseguibile con le normative esistenti) che non ad avere più sussidi e sostegni per le coppie con figli a cominciare dall’incremento dei nidi e delle scuole per l’infanzia. Unire alla istruzione il termine del “merito” può essere mettere lì una parola tanto per far scena, ma se significasse rimettere in sesto l’ascensore sociale dando davvero buone opportunità a chi le merita anche se sprovvisto di mezzi non sarebbe una cosa innovativa? (fra il resto risponderebbe ad un dettato della Costituzione, piuttosto rimasto sulla carta nonostante tutto).

Naturalmente bisognerà vedere se davvero si faranno poi queste ed altre politiche più che ragionevoli che sono state promesse e se il quadro sarà davvero capace di rompere ragionevolmente un contesto in cui si è continuato a ritenere sacrosanto che i posti debbano andare agli amici, anche quando questi non avevano esattamente i titoli per occuparli. Lo vedremo presto: c’è in arrivo il rinnovo di un gran numero di posizioni apicali nelle industrie controllate dalla mano pubblica, c’è la cartina di tornasole della RAI sempre utile per valutare (non dubitate che ci sarà un assalto di uomini e donne che esibiranno i titoli di fedeli della destra “ante marcia”), ci sarà da vedere quanta disponibilità esiste di valutare le riforme da fare e più in generale le politiche da avviare ascoltando pareri ad ampio raggio e aprendo un maturo e serio confronto dialettico con le opposizioni (ormai plurali).

Se Meloni riuscirà davvero a gestire un nuovo contesto, avrà aperto, grazie, non lo si dimentichi, al lavoro fatto da quel servitore delle istituzioni che è stato Mario Draghi, finalmente una stagione di alternanza politica fra la destra e la sinistra, che si scambiano i ruoli nel considerare con approcci diversi problemi che riconoscono come comuni (ovviamente passando per confronti elettorali organizzati da leggi che non siano pastrocchi come quella attuale). Altrimenti avremo avuto, non sappiamo per quanto tempo, un altro episodio del succedersi di alternative che cancellandosi a vicenda non fanno mai fare al paese alcun vero passo avanti.