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04 maggio 2024
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Demagogia Fiscale

Paolo Pombeni - 19.07.2023
Pace fiscale

La riproposizione da parte di Matteo Salvini dell’usurato slogan della pace fiscale ho suscitato un coro di critiche non solo da parte delle opposizioni, ma anche da ogni commentatore che non voglia svendersi all’adulazione della maggioranza in carica. Il leader della Lega è un demagogo sperimentato e quindi intuisce temi che gli consentono di allargare il suo spazio: non tanto conquistando elettori, quanto consolidando una sua posizione all’interno del blocco della destra-centro.

Nessuno dei tre partiti che lo compongono è alieno dal predicare il mantra di uno stato oppressore che succhia il sangue del povero contribuente: si tratta di un argomento classico, specie nel nostro paese abituato storicamente a considerare lo stato come un potere esterno ed estraneo. Se era relativamente comprensibile in epoche assai lontane in cui le tasse servivano più che altro a sostenere spese che magari una parte dei cittadini non rilevava come incisive nella sua vita (difesa, amministrazione, comunicazioni, ecc.), lo dovrebbe essere molto meno oggi quando prevale la domanda di servizi gratuiti (sanità, istruzione, previdenza), anzi questa si allarga a dismisura con continue richieste di accollare alle casse dello Stato e dei poteri locali la soddisfazione delle più diverse esigenze (dal ristoro nelle calamità, ai bonus, al sostegno al tempo libero, ecc.).

Non crediamo sia difficile spiegare ai cittadini che se le casse dello stato sono in sofferenza bisognerà rinunciare a molti diritti sociali (sia quelli veri sia quelli discutibilmente pretesi come tali). Eppure la demagogia del meno tasse è difficile da contrastare. Bisogna chiedersi il perché.

La riflessione su questo punto è importante. Il primo dato da prendere in considerazione è che si è diffusa l’illusione che le casse dello stato non siano mai in sofferenza perché possono spendere a debito. Lo stanno facendo almeno da quarant’anni e nonostante proteste e messe in guardia dei tecnici e degli osservatori responsabili il cittadino comune non vede alcuna drammaticità in questo. Sbaglia, ovviamente, perché prima o poi il sistema salterà se non ci si mette mano, ma il tema è sospeso nel fatalismo delle cose futuribili che si spera sempre arrivino dopo di noi.

Il secondo dato è che il deficit della finanza pubblica è in parte coperto sia da un sistema di tassazione indiretta che non viene facilmente percepito (tipico il caso delle accise sulla benzina), sia da un sistema di riscossione coatta sul reddito dei dipendenti che è tassato “alla fonte” senza che sia possibile evadere. Tutte le riforme della demagogia fiscale si guardano bene dal prendere in considerazione questa platea di contribuenti “obbligati”, limitandosi a promettere ad essi piccoli vantaggi che non incidono veramente su quanto versano. L’attenzione si concentra sui contribuenti che non hanno prelievo alla fonte, i cosiddetti “autonomi” di varia tipologia. A questi si offrono continuamente rimodulazioni delle regole di prelievo (da qualche forma di flat tax ai concordati preventivi col fisco). Quel che è peggio, ci si aggiunge la promessa, e in più casi la realtà, di condoni quando essi non abbiano versato il dovuto.

Accantoniamo per un momento il tema dell’equità e del messaggio morale che questo modo di procedere manda ai cittadini nonostante sia un aspetto su cui non si dovrebbe transigere. Cerchiamo di capire le ragioni, per quanto perverse, che ispirano queste demagogie. Il primo aspetto è che continua a prevalere la tesi, non dimostrata, che l’evasione fiscale sia determinata dalla gravosità dell’imposizione: se si dovesse pagare meno, converrebbe a tutti pagare e tutti lo farebbero volentieri. Come dimostra anche solo l’esperienza non accade affatto così: chi è abituato a lavorare “in nero” continua a farlo se può anche quando le tasse sono ridotte in dimensioni ragionevoli. Molte professioni appetite perché portano un buon guadagno sono quelle le cui contribuzioni medie all’Agenzia delle Entrate sono pari o addirittura al di sotto di quelle dei lavoratori dipendenti di medio o basso livello.

Il secondo aspetto è che i demagoghi continuano a diffondere la leggenda di contribuenti che non hanno pagato il dovuto perché erano nell’impossibilità di farlo, sicché meriterebbero se non proprio una cancellazione del loro debito, una sua drastica riduzione. Nessuno può spiegare come questo possa accadere solo a chi ha un reddito autonomo, mentre è impossibile per chi ha un reddito tassato alla fonte. Il secondo se non ce la fa con quanto gli resta dopo aver subito il prelievo, come si dice tira la cinghia, il primo vive come sempre e non paga le tasse.

Una questione estremamente delicata come è la gestione del sistema fiscale non può essere lasciata nelle mani delle demagogie elettorali delle diverse forze politiche, soprattutto se si tiene conto che siamo ormai in presenza di un continuo ricorso alle urne sotto le più varie ragioni. Non si può consentire che si spacchi il paese accentuando il divario fra redditi da lavoro dipendente e redditi da lavoro autonomo, specie quando per i primi il mitico vantaggio del posto fisso a vita ormai non esiste se non in maniera molto limitata. Diffondere l’ideologia per cui ognuno può sentirsi uno “sfruttato”, risorsa che si può impiegare con retoriche tanto di destra quanto di sinistra, significa spingere per una radicalizzazione delle relazioni sociali che è pericolosa tanto in senso assoluto, quanto in senso relativo, perché nello scontro fra le varie categorie di sfruttati immaginari a finire stritolate saranno le fasce più deboli della popolazione: quelle componenti svantaggiate, per dirla tutta, che non trarranno nessun giovamento da politiche fiscali corporative, perché le tasse non le pagano o ne pagano pochissime avendo redditi inconsistenti, mentre non potranno più godere di una adeguata assistenza sociale e servizi connessi, perché la mano pubblica (statale, regionale o comunale che sia) non avrà le risorse per finanziarla, visto che quelle derivano proprio dalle entrate fiscali.