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Obbedienza greca: occasioni per l’Europa?
Come trasformare l’obbedienza greca alle autorità e ai partner dell’eurogruppo in una occasione per far crescere l’Europa? Una domanda ridicola? Nient’affatto. L’architettura del sistema di relazioni commerciali e monetarie globali ancora in parte funzionante con Fondo Monetario e Banca Mondiale è stata creata nel 1944 a Bretton Woods ben un anno prima della fine della seconda guerra mondiale. Dunque perché non cominciare già ora, a negoziati in corso sul salvataggio della Grecia, a ideare innovazioni che numerose debolezze europee sembrano imporre? Eppoi i governi pro-Europa sono in debito d’ossigeno e hanno bisogno di un rilancio. I negoziati tra Grecia e sherpa europei avranno un esito positivo. Ma presto o tardi occorrerà affrontare il tema della ristrutturazione del debito greco o con un allungamento a 30 anni delle scadenze dei titoli di stato e riduzione interessi o con un taglio del loro valore nominale. Il che comporterà un onere per il resto di eurolandia, che potrà essere reso più sopportabile se il progetto europeo riprende slancio e la Grecia cresce.
E allora in primo luogo occorre accelerare l’integrazione bancaria con l’avvio da subito della assicurazione federale sui depositi bancari alla pari di quanto avviene negli Stati Uniti con la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation). Questa assicurazione può essere costituita dalle aziende di credito senza aggravi per il cittadino e per la BCE, lasciando a questa solo il ruolo che sta svolgendo ora senza aggiunta di alcunché. A questa assicurazione federale sui depositi potrebbero partecipare, e sarebbe una vera innovazione, anche altri paesi europei come la Gran Bretagna se fosse disposta a scambiare le informazioni della sua vigilanza bancaria con la BCE. leggi tutto
Alcune mistificazioni sulla crisi greca
Nell’intervista al settimanale tedesco Die Zeit del 27 giugno scorso, l’economista francese Thomas Piketty ha aspramente criticato l’eccesso di rigore del governo tedesco nei confronti di quello greco impegnato nel difficile compito di trovare una soluzione al problema dell’enorme debito accumulato negli ultimi anni. Piketty ha sollecitato una maggiore flessibilità nel pretendere il risanamento del debito ellenico, ricordando che la Germania in passato non ha mai ripagato il proprio debito estero, né dopo la prima, né dopo la seconda guerra mondiale, per cui non è certo titolata a dare lezioni alle altre nazioni costrette ad affrontare ora le stesse difficoltà.
Il tema non è certamente nuovo. Subito dopo il suo insediamento, l’attuale governo greco, guidato da Alexis Tsipras, ha invocato tali precedenti storici, stabilendo possibili paralleli tra la situazione tedesca del primo dopoguerra e quella greca attuale o chiedendo il pagamento dei danni subiti dalla Grecia per l’occupazione nazista. Il tema, poi, è rimbalzato anche nel dibattito pubblico italiano, ad uso di quanti sostengono la necessità per tutti i paesi debitori in difficolta di derogare agli impegni presi o spingono addirittura per porre fine all’esperienza della moneta comune o sono semplicemente animati dalla volontà di polemizzare contro il governo italiano, colpevole di non sostenere la causa greca, essendosi appiattito sulle posizioni di Berlino. leggi tutto
La mossa del cavallo e lo scoglio del taglio del debito pubblico greco
Tsipras ha obbligato i suoi interlocutori ad interrompere il negoziato indicendo un referendum sulle proposte di UE-BCE-FMI. Una mossa avventata e molto rischiosa che rischia di fare molto male alla Grecia e a gran parte dell’Europa. E’ una mossa del cavallo che scompiglia il gioco dell’avversario ma che rischia di esporre in maniera irreversibile chi la mette in atto. Ma perché Tsipras ha sbattuto la porta alla troika? Le lunghe trattative tra le parti si fermano su diversi punti ma il vero scoglio è la ristrutturazione del debito pubblico greco. Tsipras la chiede da tempo. Ma appare una richiesta irricevibile per gran parte dei partners euro, specie quelli Est Europa che hanno sopportato sacrifici notevoli per entrare nell’euro e che hanno visto i sorci verdi quando Tsipras ha preso a cinguettare con Putin. . Il taglio del debito appare essenziale alla maggioranza dei greci. Un debito pubblico pari al 180% del Pil e con tassi nominali che mediamente sono intorno al 10% effettivamente non è sostenibile. Le ragioni per cui si è arrivati a tutto questo dipendono da gravi inadempienze del governo greco e da altrettanto pesanti errori delle autorità europee quando non si è intervenuti subito (nel 2010) sui titoli di stato dei paesi in difficoltà spinti nel 2008 ad aumentare la spesa pubblica anche se con finanze vacillanti. leggi tutto
I contagi di cui soffre l’Europa vengono solo dalla Grecia?
Ancora non si vede all’orizzonte un esito della crisi greca. Chissà se la politica di Tsipras che ha deviato rispetto alla compagine governativa precedente porterà qualche vantaggio alla Grecia o se invece condurrà l’Ellade dritta fuori dall’euro e ad una crisi finanziaria drammatica. Finora Tsipras non ha portato a casa nulla. Anzi ha reso tutto più difficile facendo alzare lo spread sui titoli greci a livelli insostenibili, bloccando una incipiente ripresa e rendendo la gestione del debito pubblico e soprattutto di quello estero (la parte di debito pubblico in mano a stranieri più i debiti dei privati – banche imprese e famiglie – nei confronti dell’estero) ingestibile. Di concreto c’è che la Grecia ha già prodotto un contagio preoccupante. In parte sul piano economico, tenendo in tensione gli spread dei paesi deboli. In parte sul piano politico. E’ l’infezione politica che è temuta in diversi paesi e dai vertici europei. E’ già approdata in Spagna dove alle recenti elezioni si è affermato Podemos, critico nei confronti delle politiche di austerità adottate dal governo spagnolo su sollecitazione delle autorità europee. E’ giunta in Polonia dove altre elezioni hanno visto il rafforzamento di forze che non avvicinano il paese all’euro. E infine in Italia che sembra essersi presa almeno un bel raffreddore dalle regionali con l’avanzata della lega di Salvini e la tenuta di Grillo entrambi antisistema e antieuro. leggi tutto
Il fumo denso della consulta
E’ la volta della tassazione sulle sigarette elettroniche. La consulta colpisce di nuovo e in maniera ancora più sorprendente. Dopo il duro colpo alla riforma Fornero delle pensioni ora la corte costituzionale ne ha combinata un’altra delle sue. Ha infatti dichiarato illegittima l’imposta sulle sigarette elettroniche finora tassate con un’aliquota pari, ahimè, a quella delle diaboliche sigarette di fumo vero. Certo, da qualche parte si sostiene che le sigarette elettroniche siano meno dannose di quelle con tabacco e carta. Ma non c’è in verità una risposta unanime e chiara; molti dubbi restano dal momento che si tratta pur sempre di sigarette che consentono inalazione di nicotina, uno stimolante che dà assuefazione e che non è per nulla salutare. La pronuncia della Corte suprema suona insomma piuttosto stonata, con scarsa base scientifico sanitaria e ancora una volta va a toccare misure fiscali sulle quali la corte è l’unico attore istituzionale che si può permettere di farsi beffe dei vincoli costituzionali (articolo 81 della Costituzione) e dei pesanti impegni europei del nostro paese. La Corte sembra purtroppo muoversi come un attore che si dimentica di agire in maniera istituzionalmente responsabile e che ormai vuole impicciarsi di materie, che proprio non le competono, in maniera spregiudicata, complici anche avvocati dello stato che, invece di difendere l’istituzione che li paga profumatamente, operano come avvocati d’ufficio di serie B, o addirittura usano il loro ruolo per fare campagna contro il governo. Renzi non poteva quindi trovarsi di fronte di peggio. leggi tutto
Come uscire dal pasticcio rivalutazione pensioni
Ritorno sul pasticcio combinato dalla Consulta con la sentenza in cui impone al governo di ripristinare la compensazione per l’inflazione sulle pensioni sopra i 1486 euro. Il buco che questa sentenza produce nei conti pubblici sembra crescere ogni giorno. La quantificazione esatta desta preoccupazioni anche in chi sorveglia da vicino i nostri conti alla Commissione Ue a Bruxelles. In più gli effetti si estendono su un orizzonte temporale molto esteso gettando un’ombra lunga sui conti pubblici di molti anni a venire. Occorre trovare quindi una soluzione e in tempi brevi.
Casi in cui la Corte Suprema ha fatto lo sgambetto al governo si riscontrano anche in altri paesi. Negli Usa, ad esempio, la corte ha una composizione più politica che in Italia e, ancor peggio, i mandati dei giudici (justices) sono a vita. Qualcuno, seppur raramente, si ritira prima, complici acciacchi insormontabili dell’età. Capita che a fronte di una sentenza particolarmente invalidante e con una base giuridica debole, il governo ritorni alla carica con una nuova legge che cerca di sfuggire alle maglie occhiute della corte consentendo di salvare la sostanza di quanto la corte ha cassato. Accade nel 2009 quando la corte suprema degli Usa dichiara incostituzionale una delle prime leggi di Obama che riguarda la discriminazione sul posto di lavoro. leggi tutto
Ha ragione la Consulta. O forse no.
Il vecchio articolo 81 della carta costituzionale recitava “ Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte. ». Il nuovo articolo 81 di 3 anni fa, che ci ha chiesto l’Europa, dice “Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. »
La sentenza della Consulta di fine aprile blocca una parte della legge Fornero. Questa elimina le perequazioni ovvero l’adeguamento al tasso d’inflazione delle pensioni che superano i 1486 euro mensili. La riforma delle pensioni della Fornero ha imposto costi rilevanti ad alcune categorie come gli esodati e a coloro che hanno pensioni medio alte. Ma ha soprattutto obbligato al metodo contributivo le giovani generazioni sulle quali ricade forse l’onere più alto della riforma. Infatti una fascia ampia di coloro che iniziano a lavorare in questi ultimi anni percepirà pensioni molto più basse dei colleghi nelle stesse mansioni ma già occupati da anni.
Ciò che stupisce della sentenza della corte è il non avere considerato tre aspetti fondamentali. Il primo riguarda la nuova versione dell’articolo 81. leggi tutto
Le fondamenta per una nuova Asia? Il caso della Asia Infrastructure International Bank
È passato ormai quasi un decennio dall’inizio della charm offensive cinese che prese il via durante il secondo mandato dell’ex Presidente Hu Jintao, durante la quale la Repubblica Popolare aumentò esponenzialmente il proprio peso politico e culturale del paese all’estero. Fu l’inizio di una fascinazione, in parte tutt’ora in corso, di accademici e giornalisti europei e nordamericani per il nuovo soft power di Pechino. Il termine, coniato dal politologo americano Joseph Nye nei primi anni Novanta, indica la capacità di uno stato di esercitare il proprio potere politico principalmente tramite mezzi non coercitivi, in particolare tramite l’influenza culturale, il prestigio delle proprie istituzioni sociali e politiche, ed il controllo indiretto di istituzioni multilaterali.
Prendendo a pietra di paragone il soft power degli Stati Uniti, si può notare come al di là della capillarità dei prodotti della sua industria culturale, e della capacità delle università e delle sue aziende di attirare i migliori talenti mondali, Washington proietta il proprio potere a livello internazionale soprattutto tramite una serie istituzioni multilaterali, quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale o l’Organizzazione Mondiale per il Commercio nelle quali ha un enorme potere decisionale.
Da questo punto di vista si può capire perché il soft power cinese sia al momento sostanzialmente monco: Pechino è sì diventata nell’ultimo decennio un attore fondamentale nel panorama politico ed economico globale, ma continua comunque ad operare all’interno di istituzioni di matrice occidentale. L’ultimo anno però sembra aver aperto una nuova fase per la diplomazia economica cinese. leggi tutto
Perché lo spread non scende più?
Da quando è iniziato il quantitative easing (QE), ovvero l’acquisto di titoli sovrani dei paesi euro da parte della BCE, lo spread tra tasso sui titoli di stato tedeschi a 10 anni e il corrispondente italiano non è sceso se non sporadicamente e di poco. Era a 103 il primo giorno del QE e rimane più o meno allo stesso livello con lievi variazioni. Lo stesso avviene per Spagna e altri paesi deboli. Perché? E la manovra della BCE prevista protrarsi fino ad autunno 2016 ha già esaurito i suoi effetti?
Lo spread era sceso parecchio nelle settimane precedenti l’inizio degli acquisti di titoli della Bce. Per i mercati finanziari contano gli annunci. Quando sono credibili gli operatori aggiustano immediatamente le loro posizioni in attività finanziarie anticipando cifre e tempi. Una volta che tutti i dettagli della operazione sono noti non si verificano più grandi cambiamenti. Gli operatori si muovono in anticipo. D’ora in poi sposteranno le loro posizioni in maniera marginale e con effetti minimi sui tassi a meno di eventi inattesi. Per far cadere le mura di Gerico bastò il suono delle trombe a prova che gli uomini erano consapevoli della potenza della comunicazione e della parola fin dai tempi più remoti. leggi tutto
Pirelli, Italia terra di oche molto attraenti
E’ ormai certo. Con una manciata di miliardi di euro il colosso chimico cinese Chem si porterà a casa il quinto produttore di pneumatici del mondo, l’italiana Pirelli, all’avanguardia tecnologica, eccellenza della ricerca e sviluppo. Pirelli è una delle pochissime grandi imprese italiane rimasteci. Ha costruito la nostra storia tecnologica ed industriale. La sua vendita è un duro colpo che peserà sullo sviluppo e soprattutto sulle opportunità di lavoro di tanti giovani che spingiamo ad investire in istruzione, in ricerca e acquisizione di capacità scientifiche avanzate. Dopo la svendita delle Ansaldo ai giapponesi da parte della azienda pubblica Finmeccanica, adesso si sale di livello. Se ne va un pezzo fondamentale della tecnologia italiana. Un’azienda sana e ricca. E non c’è la scusa di sinergie, come si poteva a torto accampare per le Ansaldo acquisite da Hitachi. Non ci sono di mezzo neppure “sane” forze di mercato. Solo qualche sprovveduto lo può credere o affermare. Chi compra è un colosso chimico senza un grande pedigree tecnologico. E’ impresa di stato, cresciuta in un capitalismo corrotto, disciplinato da una capillare presenza pubblica in un paese che non conosce democrazia né politica né economica anche se cresce a razzo. Pirelli è invece un’impresa presente nei settori più sofisticati degli pneumatici e nei mercati più esigenti con una rete produttiva fortemente globalizzata e diversificata. leggi tutto