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Una nuova firma sulle banconote
Dopo un presidente olandese, Duisenberg, uno francese, Trichet e l’italiano Draghi, è la francese Lagarde ad insediarsi alla testa della BCE e a porre la sua firma sulle banconote che ci troveremo tra le mani dal prossimo anno. La provenienza transalpina della Lagarde evita una moneta europea troppo made in Germany, ma rivela un peso eccessivo della Francia nel governo dell’Europa. In più il francese Trichet non diede buona prova di sé. Commise errori di politica monetaria che in buona parte causarono la crisi dei debiti sovrani in Europa nel 2010 e nel 2011 della quale stiamo ancora pagando le conseguenze. La BCE sottovalutò l’onda lunga della crisi finanziaria americana e adottò misure restrittive quando se ne richiedevano di espansive. Il risultato furono alti tassi d’interesse e un cambio insostenibile che toccò 1.6 dollari per euro facendo saltare come birilli in serie Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. Dobbiamo però vedere il lato positivo della nuova presidenza francese perché sembra preannunciarsi in continuità con quella di Mario Draghi che ha cambiato radicalmente ruolo e peso della nostra banca centrale. Che nessuno si azzarda a definire federale ma che in effetti lo è essendosi ritagliata sin dall’inizio una fetta di sovranità che i paesi aderenti all’euro hanno leggi tutto
Ilva: strade in salita
La produzione di acciaio italiana concentrata per una buona fetta a Taranto è sotto assedio. L’Ilva è in profonda crisi. L’impresa in precedenza di proprietà della famiglia Riva, oggi parte della multinazionale Arcelor Mittal, è un’eredità della defunta IRI, istituto per la ricostruzione industriale nato negli anni 30 del secolo scorso per soccorrere e rilevare imprese e banche colpite dalla grande crisi. Del patrimonio IRI non è rimasto nulla. Tutte le partecipazioni sono state vendute ad operatori privati industriali e finanziari. Italsider-IRI con diversi impianti in Italia tra cui Taranto viene privatizzata nel peggiore dei modi subendo uno spezzatino e perdendo le sinergie di impianti fratelli a Cornigliano, Piombino e Bagnoli. Quest’ultimo chiuso per ragioni ambientali, i primi due ceduti a privati mentre il polo di Taranto va alla Riva acciai che possiede altri impianti tra cui alcuni rilevati nella ex Germania Est. La privatizzazione dell’Italsider è una tappa di una Caporetto industriale del Bel Paese ahimè ancora in corso. La crisi del polo di Taranto, ora nelle mani della multinazionale franco indiana Arcelor Mittal, nasce così. La pubblica Italsider opera a lungo in un regime di mercato semi-chiuso alla concorrenza internazionale fino agli anni 80 del secolo scorso in una Europa dove il mercato dell’acciaio è organizzato leggi tutto
Contante ed evasione: inutile battaglia
Ma veramente limitando i pagamenti con banconote si toglierebbe ossigeno a evasione e criminalità? Secondo il presidente dell’ABI Patuelli senza armonizzazione europea norme nazionali disomogenee per l’uso del contante sono inefficaci. Il mercato unico europeo mi consente di acquistare un’auto per contanti in Germania o Polonia e portarmela in Italia. Se non basta l’euro è valuta veicolo internazionale largamente utilizzata al di là dei confini di eurolandia così come il dollaro americano. Secondo stime BCE, su 1300 miliardi in banconote emesse circa 500 sono in paesi non euro come il Montenegro dove l’euro è la moneta legale o la Bosnia che ha un currency board inchiodato sull’euro. In altre zone dell’Est Europa, Russia inclusa, in Africa per non parlare di Svizzera e Inghilterra l’euro è accettato diffusamente. Per il dollaro il fenomeno è ancora più vasto globalmente visto che due terzi dei verdoni in circolazione (1700 miliardi) ballano fuori confine (circa 1100 miliardi). L’euro non è la lira e ridurre la circolazione del contante in Italia per combattere la criminalità è come cercare di raffreddare gli oceani riscaldati dal cambiamento climatico gettando cubetti di ghiaccio in mare. Una misura che la BCE potrebbe adottare, mai presa però dalla Fed americana, sarebbe cambiare forma delle banconote ogni 10-20 anni mandando fuori corso leggi tutto
Presunto innocente
L’idea che i contribuenti italiani si dividano nettamente in due grandi categorie, i contribuenti onesti e gli evasori, è palesemente infondata, così come è infondata l’idea che colpendo (solo) i grandi evasori avremmo risolto tutti i problemi. Non esistono infatti, o sono davvero un numero ridottissimo, i contribuenti onesti. Anche i lavoratori dipendenti e i pensionati che subiscono alla fonte le ritenute sui loro redditi e quindi non evadono in entrata diventano evasori in uscita ogni volta che pagano in nero una qualsiasi prestazione. Infatti la prestazione in nero è sempre il frutto di una complicità tra il fornitore e il cliente. Una prestazione diciamo a titolo di esempio di 1.000 euro prevede che il cliente paghi l’IVA (normalmente al 22%) e il fornitore paghi l’Irpef sul reddito percepito (diciamo, in media, circa il 30%). Allo Stato andrebbero dunque circa 500 euro. Pagando in nero il cliente diventa automaticamente evasore IVA mentre il fornitore (che l’IVA la scaricherebbe) diventa evasore Irpef. La perdita per lo Stato è ingente su ogni prestazione in nero.
Basta fare un elenco approssimativo delle prestazioni che spesso sono pagate in nero per avere una idea di cosa parliamo: bar, ristoranti, taxi, artigiani, commercianti, professionisti, colf, badanti, case in affitto per le vacanze, ecc. leggi tutto
Turchia: la trappola siriana
È un gioco rischioso quello iniziato dall’amministrazione Trump e dal presidente turco Erdogan. Gli Usa hanno abbandonato la zona di etnia curda nel nord della Siria, prima presidiata in funzione anti Isis e anti Assad. A seguito di questo il governo turco, con una mossa peraltro attesa dagli Usa, ha invaso militarmente parte della regione suscitando reazioni diplomatiche in Europa, l’intervento della Russia, della Siria di Assad. Gli Usa dopo minacce di sanzioni economiche riescono a raggiungere un accordo per una breve tregua sul campo che ferma la Turchia.
Ma quale sono gli obiettivi di Usa, Turchia e Russia?
Non è facile capire un presidente che ha confessato pubblicamente di avere continui ripensamenti (second thoughts) sulle decisioni prese. Al di là della confusione apparente lo scopo degli Usa sembra comunque duplice. Da una parte cerca di indebolire la Turchia logorandola e isolandola nella trappola siriana in cui si impantanerà spendendo ingenti energie senza ritorno economico e con enormi rischi politici. Dall’altra si vuole rendere la vita più difficile al governo Assad ridimensionando definitivamente la Siria come entità territoriale e ponendola in traiettoria di scontro con la Turchia. Insomma una vera trappola per due che protrae l’instabilità e le sofferenze delle popolazioni dell’area. leggi tutto
Rivedere il Patto di Stabilità, ma come?
Le dichiarazioni del presidente Mattarella e del ministro francese dell’economia sulla necessità di riformare il Patto di stabilità potrebbero aprire una pagina nuova nelle politiche economiche nell’area euro. Ma cos’è il Patto e come lo si può cambiare? Il Patto di Stabilità e Crescita nasce nel 1997 come completamento del Trattato di Maastricht per regolare le politiche fiscali dei paesi una volta entrati nell’euro. Alla base c’è il timore, concentrato nel Nord Europa, che eccessivi deficit pubblici di un paese (come l’Italia) facciano aumentare i tassi d’interesse in tutta l’area euro danneggiando anche gli stati fiscalmente virtuosi. Questa aspettativa si rivela però errata soprattutto a partire dal 2010 quando politiche fiscali poco rigorose fanno salire i tassi d’interesse del paese indisciplinato danneggiandolo mentre quelli degli stati virtuosi scendono traendo vantaggio dagli spread. È l’effetto della potente azione dei mercati finanziari che liquida la ragione prima delle regole fiscali contenute nel Patto. Nonostante questo il Patto è rivisto in modo restrittivo nel 2012 quando diventa Fiscal Compact tracciando percorsi di rientro a tappe forzate da debito pubblico eccessivo. L’Europa soffre questo irrigidimento essendo da poco entrata nel tunnel della crisi dei debiti sovrani scoppiata in Grecia nel 2011 e propagatasi poi a Spagna, Portogallo e Irlanda. leggi tutto
Crisi DB segnale per la Germania
Deutsche Bank (DB) è la maggiore banca tedesca e la sua lunga crisi sembra mettere a nudo alcuni degli errori della politica economica tedesca del nuovo secolo, spesso considerati con indulgenza dalle autorità economiche e monetarie europee. Ma quali sono le ragioni dei conti in rosso di DB quando è ancora calda la crisi fotocopia della Commerz Bank, seconda banca tedesca? Le debolezze di DB sono almeno due. Attività di trading-investimento in titoli esteri. Tassi d’interesse negativi sui Bund, titoli del debito pubblico teutonico, che si scaricano su tutta l’economia e in particolare su banche e assicurazioni.
Gli eccessivi e rischiosi investimenti in titoli e derivati della DB sono figli della grande disponibilità di risparmio che non trova impieghi in Germania. Due decenni di cospicuo surplus del conto corrente della bilancia dei pagamenti con l’estero ne sono fonte e specchio. Quando in un mercato (ad esempio Usa) si esporta a lungo più di quello che si importa si finisce per acquistarne attività finanziarie. Il cronico surplus con l’estero di Berlino non solo ammorba i rapporti economici globali, in particolare con gli Usa, ma richiede al sistema bancario di investire capitale all’estero anche in forme rischiose. Un caso? DB perde in un solo
Flat tax: voto di scambio n.2 e dintorni
Il reddito di cittadinanza può essere visto come una forma di voto di scambio tra il partito di governo che lo sostiene e chi beneficia del provvedimento. La flat tax, tanto cara alla Lega e ad una parte del partito di Berlusconi, appartiene alla stessa categoria di interventi. Si vuole infatti cercare un sostegno elettorale che duri nel tempo tra le categorie medio alte di contribuenti, primi beneficiari della flat tax. Un premio generalizzato per legare al partito di Salvini ceti che in parte votano Lega e che in parte volgono il loro consenso soprattutto a sinistra. La flat tax costa molto dal punto di vista del gettito e rischia di scardinare in maniera irreversibile i conti pubblici già in zona rischiosa. Non stimola la crescita perché esiste già per le imprese e per le categorie professionali autonome che sono quelle più dinamiche. E quindi non farà altro che aumentare il risparmio delle famiglie a spese del crescente disavanzo pubblico. L’unica esigenza a cui la flat tax potrebbe andare incontro è quella della semplificazione. Ma non c’è nessuna garanzia che questo avvenga perché per questo occorre eliminare o raggruppare molte imposte, come quelle locali, che la flat tax non sfiora neppure. leggi tutto
Debito pubblico tra mercati e Commissione Ue
Non sappiamo quanti titoli del tesoro italiani (BOT, BTP etc.) detengano gli elettori dei diversi partiti. Chi vota Lega o Cinque Stelle, probabilmente non ne ha tanti. Chi sostiene partiti che non amano il rigore fiscale forse non acquista Bot e Btp in abbondanza. Ma non è sempre stato così. Nel 2007 le famiglie italiane detenevano circa un quinto dei titoli pubblici mentre ora questa quotai è a poco più del 6%. Non è così in Giappone dove i cittadini sottoscrivono circa un quarto dei titoli pubblici anche se laggiù il debito pubblico è quasi il doppio (240%) di quello italiano. Nella terra del Sushi sembra esserci un approccio bipartisan condiviso sulle questioni finanziarie. Per cui invece di essere più rischiosi di quelli di paesi con bassi debiti pubblici i titoli giapponesi sono addirittura beni rifugio. L’Italia non è forte in coesione nazionale. Nel 2007, prima della grande crisi, invece eravamo più simili al Giappone. Eppure abbiamo un partito sovranista che ha il consenso di un elettore su 3 mentre in Giappone non ce l’hanno. Ma purtroppo qui da noi un approccio bipartisan al debito pubblico è improbabile, anche se non impossibile forse in futuro. Un’altra differenza tra Giappone e Italia è che da noi Banca d’Italia ed euro sistema detengono circa leggi tutto
L'economia e le scelte elettorali
Sebbene l'esito delle elezioni politiche ed europee sia spesso influenzato anche da altre cause (temi come la sicurezza, per esempio, hanno un certo peso) è però l'economia (percepita e reale, generale e familiare) a decidere della sorte dei partiti, in una fase nella quale la volatilità è molto elevata e la situazione del Paese non muta, nonostante il recentissimo magro aumento del Pil. Le promesse di un miglioramento della situazione economica - rimanendo al solo ambito della Seconda Repubblica, per brevità - hanno spesso funzionato, a partire dal milione di posti di lavoro berlusconiano per proseguire con gli 80 euro di Renzi e arrivare, ai giorni nostri, a reddito di cittadinanza, quota 100 per le pensioni e "flat tax". Il problema è che il Paese avrebbe bisogno di interventi strutturali meno vistosi sul breve periodo ma molto fruttuosi sul medio (investimenti in ricerca, sviluppo, scuola, innovazione tecnologica) che però non sono redditizi in termini elettorali. Scartati questi tipi di interventi (per non parlare della razionalizzazione della spesa pubblica, che comporta tagli, cioè voti persi) restano quelli che tendono a premiare le più ampie platee possibili di cittadini/elettori: queste azioni assicurano spesso un rapido ed efficace ritorno positivo in termini di consensi, però alla lunga si pagano. leggi tutto