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Debito pubblico tra mercati e Commissione Ue
Non sappiamo quanti titoli del tesoro italiani (BOT, BTP etc.) detengano gli elettori dei diversi partiti. Chi vota Lega o Cinque Stelle, probabilmente non ne ha tanti. Chi sostiene partiti che non amano il rigore fiscale forse non acquista Bot e Btp in abbondanza. Ma non è sempre stato così. Nel 2007 le famiglie italiane detenevano circa un quinto dei titoli pubblici mentre ora questa quotai è a poco più del 6%. Non è così in Giappone dove i cittadini sottoscrivono circa un quarto dei titoli pubblici anche se laggiù il debito pubblico è quasi il doppio (240%) di quello italiano. Nella terra del Sushi sembra esserci un approccio bipartisan condiviso sulle questioni finanziarie. Per cui invece di essere più rischiosi di quelli di paesi con bassi debiti pubblici i titoli giapponesi sono addirittura beni rifugio. L’Italia non è forte in coesione nazionale. Nel 2007, prima della grande crisi, invece eravamo più simili al Giappone. Eppure abbiamo un partito sovranista che ha il consenso di un elettore su 3 mentre in Giappone non ce l’hanno. Ma purtroppo qui da noi un approccio bipartisan al debito pubblico è improbabile, anche se non impossibile forse in futuro. Un’altra differenza tra Giappone e Italia è che da noi Banca d’Italia ed euro sistema detengono circa leggi tutto
L'economia e le scelte elettorali
Sebbene l'esito delle elezioni politiche ed europee sia spesso influenzato anche da altre cause (temi come la sicurezza, per esempio, hanno un certo peso) è però l'economia (percepita e reale, generale e familiare) a decidere della sorte dei partiti, in una fase nella quale la volatilità è molto elevata e la situazione del Paese non muta, nonostante il recentissimo magro aumento del Pil. Le promesse di un miglioramento della situazione economica - rimanendo al solo ambito della Seconda Repubblica, per brevità - hanno spesso funzionato, a partire dal milione di posti di lavoro berlusconiano per proseguire con gli 80 euro di Renzi e arrivare, ai giorni nostri, a reddito di cittadinanza, quota 100 per le pensioni e "flat tax". Il problema è che il Paese avrebbe bisogno di interventi strutturali meno vistosi sul breve periodo ma molto fruttuosi sul medio (investimenti in ricerca, sviluppo, scuola, innovazione tecnologica) che però non sono redditizi in termini elettorali. Scartati questi tipi di interventi (per non parlare della razionalizzazione della spesa pubblica, che comporta tagli, cioè voti persi) restano quelli che tendono a premiare le più ampie platee possibili di cittadini/elettori: queste azioni assicurano spesso un rapido ed efficace ritorno positivo in termini di consensi, però alla lunga si pagano. leggi tutto
Il rapporto Welfare Index Pmi 2019
È stato recentemente pubblicato sul portale delle piccole e medie imprese italiane il 4° Rapporto “Welfare Index PMI”2019 (https://www.welfareindexpmi.it/rapporto-2019), promosso da “GENERALI”, con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato, ConfProfessioni e con il Patrocinio della Presidenza del Consiglio. Già dal titolo della Ricerca – “Il welfare aziendale fa crescere l’impresa e fa bene al Paese- e dalla prefazione del CEO Marco Sesana oltre che dall’introduzione a cura del Comitato Guida, si evincono i tratti più significativi e peculiari dell’analisi sullo stato del welfare aziendale, che ha coinvolto nell’indagine ben 4500 piccole e medie imprese del Paese, con una crescita nel triennio 2016/2019 dal 7,2 al 19,6 delle aziende attive nel settore del welfare.
A partire dai soggetti interessati: l’imprenditore, i lavoratori (e per indotto i loro familiari), lo Stato, le istituzioni locali, le associazioni dei diversi stakeholder, coinvolti nell’intento di fare sistema, con benefici tangibili e condivisibili, nell’ottica di un salto di qualità culturale che promuova il welfare aziendale come “bene comune”, fattore di leva e di crescita nella linea dell’umanizzazione leggi tutto
Per una economia responsabile
Nel suo Responsabili. Come civilizzare il mercato (Il Mulino, 2019) Stefano Zamagni individua nella “responsabilità” l’unica soluzione da opporre ai rischi odierni posti dal mercato globalizzato ed i suoi squilibri, dalla finanza deregolamentata ed oligopolistica, dalla digitalizzazione societaria e dagli avanzamenti, evidenti tanto quanto inquietanti, della tecno-scienza. Nell’attuale contesto globale l’autore specifica come sia facile per l’uomo commettere azioni collettive che suscitano effetti dannosi – non previsti e neppure a volte desiderati – sugli altri, delle quali tuttavia, in quanto individuo non riesce a sentirsi responsabile. Le conseguenze determinate dallo straripare della tecnica nella vita umana minano direttamente le “prospettive di sopravvivenza, nonché le stesse basi biologiche” dell’uomo in quanto tale.
È proprio l’innalzamento valoriale della responsabilità, etica e morale al tempo stesso su base individuale, che l’autore individua come risposta all’empasse odierno. Zamagni infatti pone l’esigenza di una nuova forma di responsabilità, attiva, dal carattere pubblico, legata alla reciprocità. Non è sufficiente “non fare più il male” ed il “rendere conto” (accountability), essere responsabili oggi deve significare “agire per il bene, prendersi cura”.
All’interno della sua ricerca, debitrice di una rilevante capacità leggi tutto
Rimborsi per i crack bancari: sono proprio giusti?
Le crisi bancarie italiane non sono state gestite bene. Certo si poteva fare anche peggio. Ma anche meglio. Serve a poco recriminare su chi abbia più colpe: il governo di allora, la Commissione Ue, la banca d’Italia o la Consob. Tutti hanno un pezzo di responsabilità. Nessuno però è unico colpevole. Abbiamo una moneta che ha compiuto 20 anni a inizio anno ma che mostra ancora alcuni caratteri adolescenziali. Non per colpa della BCE e del suo presidente. Ma dei governi che sono riluttanti nel devolvere l’intera fetta di sovranità che richiede una moneta federale come è l’euro. In questa situazione di limbo che da troppo tempo dura la crisi nata nel 2008 ha falciato alcune banche italiane di piccola dimensione e una grande, il Monte dei Paschi di Siena, l’istituto di credito più antico del pianeta. Nel caso di MPS si è proceduto con una nazionalizzazione, soluzione già ampiamente adottata ad esempio nella -a parole ma non nei fatti - iperliberista Gran Bretagna per la Bank of Scotland e altre minori. In Italia le banche minori in difficoltà sono state acquistate a costo zero da grandi banche come Banca Intesa. Ma cosa è successo agli individui coinvolti? Per chi aveva un deposito in conto corrente non leggi tutto
Banche tedesche vittime dell’eccesso di risparmio
Il lettore si chiede come possano essere in difficoltà le maggiori banche della Germania paese con l’economia più forte d’Europa, con un deficit pubblico ormai pari a zero, un surplus con l’estero vertiginoso e un tasso di disoccupazione invidiato da tutti. La ragione profonda di tutto questo ha un’origine apparentemente semplice ma non sempre compresa: l’eccesso di risparmio. Un male che affligge l’intero paese ovvero entrambi le sue due componenti: il settore pubblico e quello privato. Quest’ultimo ahimè spende molto meno di ciò che guadagna. Le famiglie e le imprese spendono poco. A spiegarlo ci sono anche fenomeni abbastanza “nuovi” per gli analisti economici che riguardano le persone anziane in pensione e che lavorano le quali risparmiano molto di più rispetto alle corrispondenti generazioni passate. Il tradizionale investimento immobiliare abitativo soffre poi la diminuzione di popolazione autoctona, la sola che ha capacità di spesa a fronte però di un numero di figli inferiore rispetto al passato. Mentre gli immigrati che avrebbero più figli non hanno le disponibilità per acquistare immobili. Di conseguenza il settore immobiliare non assorbe più una quota di risparmio cospicua. E dunque l’eccesso di risparmio si canalizza verso le banche, leggi tutto
Reddito di cittadinanza: il voto di scambio nel XXI secolo
È forse il più grande voto di scambio della storia d’Italia e del secolo XXI. Secondo le stime del governo toccherà poco più di 5 milioni di cittadini. Ma potrebbe raggiungere cifre più ragguardevoli in grado di fare saltare il banco. Il reddito di cittadinanza costituirà per i 5 Stelle una base di consenso elettorale di lunga durata, che sarà difficile da scollare per qualsiasi opposizione presente e futura. Una parte della platea, probabilmente un quarto, riceverà la pensione di cittadinanza. Per queste persone non ci sarà alcun obbligo di ricercare un lavoro e quindi si tratta solamente di un aumento delle pensioni sociali, ovvero un regalo per persone povere ma anche e soprattutto per coloro che non hanno versato mai contributi e che vedranno la loro pensione vicina a quella della maggioranza degli italiani che hanno pagato contributi. Per il restante tre quarti si tratta di un reddito che in pochi casi avrà una caratteristica di temporaneità come il governo vorrebbe far credere. Per due ragioni. Perché la maggior parte degli aventi diritto sono senza lavoro di lunga durata o persone che non hanno mai cercato lavoro. E in secondo luogo perché in Italia non ci sono 4 milioni di posti di lavoro leggi tutto
La Cina riduce l’avanzo commerciale con gli Usa. Occasione per l’Europa
Un accordo tra Usa e Cina su riduzione dazi e accesso al mercato cinese di beni e capitali sembra vicino. Gli Usa puntano ad un annullamento dell’avanzo commerciale (differenza tra valore di export ed import) dell’ex impero celeste. Anche se si procede su base bilaterale la richiesta degli Stati Uniti segue un principio di reciprocità che è uno dei pilastri dell’azione del WTO, istituzione multilaterale che disciplina il commercio internazionale. Gli squilibri commerciali intraeuropei da oltre due decenni sono invece coperti da una cortina di silenzio, complice il dettato di Maastricht che li ignora. La trattativa tra Cina e amministrazione Trump nonché le dichiarazioni di Juncker sulle dosi di austerità da cavallo imposte alla Grecia dal 2010 sono però un’occasione per ripensare aspetti problematici dell’area euro, anche per non lasciare l’iniziativa a forze destabilizzanti. Ma quali sono i punti da rivedere?
Il primo tocca proprio i conti con l’estero. Quando l’euro nasce nel 1999 gli squilibri con l’estero sono ritenuti irrilevanti. Moneta unica e mobilità dei capitali consentono di metabolizzare bilance dei pagamenti sofferenti. Effetti su tassi d’interesse, liquidità nei paesi in posizione deficitaria, stabilità finanziaria non preoccupano. Una convinzione questa che è diffusa anche oltre atlantico, leggi tutto
Euro ed UE: un anno di tregua
Il sofferto via libera della Commissione Ue alla manovra finanziaria italiana per il 2019 è arrivato dopo estenuanti trattative e con costi molto alti per il bel paese. Il peso maggiore finora pagato è quello dovuto allo spread salito da circa 120 punti prima delle elezioni del 4 marzo agli oltre 320 dei giorni di maggiore tensione della trattativa con le autorità europee a novembre. Si tratta di un aggravio dei conti pubblici che si aggira intorno ai 3 miliardi l’anno ma che potrebbe salire a cifre ben più alte, se lo spread non ritornasse verso quota 100 abbastanza velocemente. La manovra ha comunque dimostrato che il governo non intende né oggi né in futuro rompere con UE ed euro. Ed è forse questo il segnale un po’ rasserenante per i cittadini italiani e per i “mercati”. Questi ultimi, non dimentichiamolo, non sono un’entità globale lontana e minacciosa, come qualcuno nel governo crede, ma sono cuciti anche nei portafogli degli italiani. Le cui scelte di investimento finanziario, o più semplicemente di risparmio, hanno un peso non indifferente nella determinazione dello spread. Lo abbiamo visto in occasione di una asta di BTP di alcune settimane fa riservata ai risparmiatori italiani il cui insuccesso ha dato un segnale particolarmente negativo ai leggi tutto
Alitalia e Ferrovie dello Stato paradosso stellare
C’è un aspetto paradossale nel piano di rinazionalizzazione di Alitalia immaginato dal ministro del lavoro per il quale nel capitale della compagnia di bandiera dovrebbe entrare Ferrovie dello stato con un apporto consistente di capitale e con future sinergie. La proposta sorprende in quantoviene da una parte politica che ècontro l’alta velocità delle nostre ferrovie e che sta bloccando opere già in corso che godono di sostanziosi contributi europei. Il paradosso è che i pochi profitti che Ferrovie dello stato ottiene vengono proprio dall’alta velocità. Da una parte si cerca di impedire lo sviluppo delle infrastrutture ferroviarie per l’alta velocità fonte di utili e dall’altra si chiede Ferrovie dello Stato di risanare Alitalia? Ferrovie dello Stato è una Holding pubblicacui fa capo Trenitalia che ha i treni ad alta velocità. La Holding inoltre controlla la rete ferroviaria (RFI), Anas e altre società. Presenta un fatturato di 9.3 miliardi nel 2017 di cui 5.5 arrivano da Trenitalia. Ha un utile netto di 550 milioni di cui 400 da Trenitalia. Ferrovie dello stato sta per emettere obbligazioni per circa 4.5 miliardi sui quali dovrà pagare i tassi che soffrono gli spread impazziti, in quanto condivide lo stesso rating della Repubblica italiana, ovvero BBB. Ha le risorse Ferrovie dello stato per leggi tutto