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La Germania e la crisi economica
La Germania è vittima di una sorta di maledizione sulla quale storici e pubblicisti discutono da decenni.
Se prova ad esercitare la propria influenza, traducendo la sua forza economica in scelte politiche, la cosa migliore che può capitare è l’evocazione di un famigerato quarto Reich. Se invece sceglie un atteggiamento di basso profilo ripiegando sulla difesa dei propri interessi che non appaia protagonismo internazionale allora il coro intona la grettezza teutonica incapace di vedere oltre la sua meschina convenienza.
Ne nasce un enigma irrisolvibile: è sempre colpa della Germania.
L’attuale crisi dell’eurozona non fa eccezione. La Germania è doppiamente colpevole: di cercare di instaurare un’egemonia tedesca sull’Europa con mezzi diversi dalle avventure militari dei precedenti tentativi; ma allo stesso tempo è colpevole di non esercitare una leadership sufficientemente forte e visibile per consentire a tutta la zona Euro di uscire dalle difficoltà.
In verità, il dibattito europeo, certamente esacerbato dalla crisi e alimentato da strumentalizzazioni politiche al servizio di interessi di parte, manca di chiarezza sia su cosa succede sulle sponde del Reno e dell’Oder sia dei motivi che spingono i tedeschi a una politica che in apparenza miope e senza prospettive.
La Germania ha avviato un processo di riforme per il quale paga un prezzo sociale alto. Certo, ha un grande surplus commerciale, imprese competitive, conti pubblici in ordine, un Welfare state ancora relativamente generoso leggi tutto
Sineddoche e corpi intermedi
Molti amici e colleghi che operano in diversi campi dell’arena politica e economica cominciano a sostenere che Renzi abbia una precisa strategia di attacco ai corpi intermedi e portano a riprova della loro tesi numerosi esempi concreti oltre alle frequenti dichiarazioni dello stesso Presidente del Consiglio. La mia impressione, almeno al momento, è in parte diversa. Quello che Renzi attacca è la sineddoche politica e cioè la pretesa di molti corpi intermedi di essere la parte che rappresenta il tutto. Pochi esempi per capire. La pretesa della Confindustria di rappresentare l’imprenditoria/economi italiana è palesemente infondata. Intanto rappresenta solo una parte delle imprese. Molte non sono iscritte; molte sono uscite dall’associazione; molte sono iscritte ad altre associazioni. Lo stesso vale per la pretesa del sindacato di rappresentare il lavoro. I sindacati rappresentano una parte consistente ma minoritaria del mondo del lavoro. La stragrande maggioranza degli iscritti sono pensionati o dipendenti pubblici. Precari, partite Iva, disoccupati, dipendenti delle piccole imprese, ma anche molti lavoratori della grande impresa non sono rappresentati dal sindacato (per sua stessa blanda ammissione). Perché Renzi sembra preferire Landini alla Camusso? Non credo per simpatie personali ma perché il primo rappresenta seppure minoritariamente un mondo reale e la seconda e l’espressione più classica della sineddoche politica. leggi tutto
Perché le imprese pubbliche devono uscire dalla Confindustria
Le imprese pubbliche che, stando a fonti giornalistiche, versano ogni anno alla Confindustria circa 25 milioni di euro, devono uscire da questa associazione per almeno quattro ragioni.
La prima è che le imprese pubbliche sono imprese dello Stato, cioè di tuti i cittadini e non si capisce perché i cittadini, per altro del tutto inconsapevoli, debbano finanziare un’associazione privata. Magari questi cittadini sono imprenditori iscritti ad altre associazioni oppure lavoratori dipendenti, iscritti al sindacato, che da anni finanziano, senza saperlo, un’associazione che è concorrente o controparte. Dal momento che, da che mondo è mondo, nel nostro ordinamento l’adesione ad una qualsiasi associazione è volontaria e libera andrebbe quanto meno chiesto loro se vogliono finanziare la Confindustria. E’ facile presumere che non tutti sarebbero d’accordo. D’altra parte non si capisce perché se i trattati europei proibiscono gli aiuti di Stato alle imprese sia invece lecito dare contributi di Stato ad una (sola) associazione imprenditoriale. Oltretutto in una fase di spending review in cui si mette un tetto agli stipendi dei manager risulta ancora più incomprensibile perché le imprese pubbliche debbano finanziare un’associazione privata.
L’ipotesi avanzata da alcuni che questi contributi servano a dare rappresentanza, in termini in particolare di lobby e contrattazione, alle imprese pubbliche tramite la Confindustria non sta in piedi. Infatti, seconda ragione, è ridicolo pensare che presidenti e amministratori delegati nominati direttamente dal governo abbiano bisogno di attori terzi, di intermediari associativi, per parlare con il governo stesso. Anche sul piano contrattuale, terza ragione, considerando le particolarità settoriali e dimensionali leggi tutto
Calamità naturali: un’occasione per solidarietà, mercato e un freno al cemento
A Genova il copione delle calamità naturali che si abbattono sul nostro paese si è ripetuto puntualmente la settimana passata. Poco importa che fosse o meno prevedibile. Purtroppo siamo sempre indietro con le opere di protezione dell’ambiente . Il problema resta e, al di là delle semplificazioni demagogiche non è di immediata soluzione. La Suprema Corte il 16 febbraio 2012 cancellò per illegittimità costituzionale la norma che chiedeva alle regioni di partecipare con maggiori imposte locali al finanziamento delle emergenze dovute a calamità. Certo, lo scarico di responsabilità è un gioco che si ripete. Le colpe , quando ci sono, sono diffuse tra cittadini, spesso veri roditori del territorio, e vari organi dello stato, nessuno escluso.
In ogni caso dobbiamo affrontare il finanziamento delle emergenze ambientali, dei grandi rischi e della Protezione Civile. Un modo meno impegnativo per le casse pubbliche potrebbe passare attraverso il ricorso ad assicurazioni private. Le emergenze e i grandi rischi toccano in maniera imprevedibile e casuale zone diverse del paese lasciando altre temporaneamente immuni da danni. Nessuna area è immune da rischi anche se tra loro diversi. Si tratta quindi di eventi agevolmente assicurabili se il territorio nazionale viene coperto da assicurazione obbligatoria contro una vasta gamma di grandi rischi calamitosi. A dire il vero, vi sono già alcuni soggetti, ad esempio imprese, che assicurano stabilimenti, macchinari e manufatti contro questo tipo di rischi. Ma per molti altri non è così. Per le residenze abitative una tale copertura è quasi assente. Così come per molti edifici pubblici e infrastrutture. leggi tutto
Fino a quando useremo banconote e monete?
Qualche giorno fa il settimanale inglese “Economist” si chiedeva fino a quando useremo banconote e monete metalliche per i nostri pagamenti. Diversi studiosi si stanno occupando del tema, tra cui Kenneth Rogoff vicepresidente del Fondo Monetario Internazionale. La questione tocca diversi aspetti non puramente economici della vita pubblica e privata. Le tecnologie digitali oggi hanno portato due grandi novità. La prima concerne la moneta prodotta dalla banca centrale in collaborazione con il sistema delle banche. La seconda riguarda la nascita di nuove monete digitali che circolano solo sulla rete e che sono gestite da privati o da web communities senza alcuna supervisione dell’autorità monetaria. In alcuni paesi la tendenza è ad usare sempre meno banconote e monete e al loro posto utilizzare il sistema dei pagamenti privato delle banche con carte di credito, di debito, prepagate e carte bancomat con supervisione della banca centrale, organismo pubblico. Questo ha significato in diversi casi una riduzione della circolazione della moneta prodotta dalla banca centrale, ovvero il contante. Il fenomeno però non è diffuso in modo omogeneo e in alcuni paesi la circolazione del contante legale (legal tender) è ancora su livelli sostenuti. A fianco di questo fenomeno c’è quello del tutto nuovo di monete digitali private. leggi tutto
La BCE senza una strategia e noi?
La Bce estrae il suo bazooka ma le polveri sono bagnate. La grande operazione sbandierata da mesi è arrivata ma è un mezzo flop. Le banche cui è destinata la liquidità offerta dalla BCE chiedono solo 82 dei 100 (o forse 200) miliardi che erano stati previsti. Insomma molto rumore per nulla, ma soprattutto la dimostrazione che quando si arriva tardi dopo annunci per mesi senza seguito il mercato non riesce più neppure a digerire la magra medicina offerta. Non è un bel segnale. E’ però la dimostrazione che la Bce non può continuare a vivere di annunci e che questi scivolano via come l’acqua sul marciapiede. Le banche non sono più disponibili, o lo sono solo in parte, a sporcarsi le mani. Faticano a finanziare le imprese perché le imprese non si espongono in quanto non vedono segnali positivi per investire. La BCE ha lasciato crescere le posizioni debitorie dei settori pubblici di molti paesi – Italia compresa – senza intervenire energicamente per eliminare gli spread e questo ha imposto ai paesi più deboli manovre fiscali su manovre e tagli alla spesa pubblica riducendo la domanda interna in maniera eccessiva soprattutto per pagare interessi divenuti esorbitanti a causa della inanità della BCE e dei veti tedeschi sugli eurobonds. Ora anche la politica monetaria può poco perché arriva tardi. Siamo in una trappola della liquidità in cui si continua ad accumulare liquidità in attesa di tempi migliori e intanto i prezzi scendono facendoci entrare in un processo deflativo che non sarà facile fermare, visto anche la ormai quasi impotenza cui si è autocondannata la Bce, brava nel chiedere riforme ai paesi ma un po’ meno nel fare il suo mestiere. leggi tutto
NTV errori e lezioni
Il quasi fallimento della NTV, concorrente nell’alta velocità di Trenitalia, è il risultato di una lunga serie di errori dai quali potremmo trarre però qualche lezione per il futuro qualora avessimo la disponibilità a riconoscere onestamente dove si è sbagliato.
Il primo errore è che si è voluto in maniera ideologica e pretenziosa introdurre la concorrenza in un settore che per molti versi è una sorta di monopolio naturale. Nel quale le economie che derivano dall’avere una sola impresa sono di gran lunga superiori ai vantaggi di avere concorrenza, che in certi settori costa troppo e i consumatori non sono disposti a pagarla. Insomma le ferrovie sono un monopolio naturale dove avere più di un operatore ha costi esorbitanti e dunque non c’è spazio per la concorrenza. Si obietta che il trasporto ferroviario è monopolio naturale solo per la rete ferroviaria e non per gli operatori che mettono i treni sui binari. E quindi si può scorporare la rete dagli operatori e le stazioni dalla rete come si è fatto in Italia. Ma queste politiche non portano a risultati positivi perché sono talmente tante le sinergie tra rete, operatori dei treni e stazioni che il loro scorporo e separazione (unbundling) non porta a guadagni di efficienza ma solo a costi aggiuntivi per i consumatori in termini di prezzi e soprattutto di servizio che diventa più scadente, meno accessibile alla fasce basse dei consumatori e alle zone remote, se non viene pesantemente sussidiato. leggi tutto
Un altro passo della BCE e il corridoio stretto delle politiche per il rilancio
Un altro piccolo passo si è aggiunto il 4 settembre nel cammino della BCE verso una politica monetaria espansiva. C’è un ritocco dei tassi verso il basso che costringe le banche ad evitare di ritornare la liquidità alla stessa BCE che l’ha creata. C’è infatti un tasso negativo sui depositi presso la BCE che ora si è fatto più cospicuo (-0.20% dal livello precedente di -0.10%) e che dovrebbe spingere le banche a prestare di più a imprese e (forse) a governi. Poi c’è l’impegno ad acquistare titoli derivati ABS con la speranza che il conseguente abbassamento del tasso su questi si trasferisca anche a titoli obbligazionari privati e pubblici. Per quanto riguarda le manovre di espansione della offerta di moneta (quantitative easing) più volte promesse sembrano divenute meno probabili o sostituite da misure indirette ma certamente meno efficaci. Insomma un pacchetto di politiche che vanno nella giusta direzione ma con tempestività che appare in affanno e di dimensione sempre insufficiente. Ormai abbiamo compreso che in eurolandia tutte le politiche economiche sono costrette in corridoi molto stretti e che gran parte dei governi devono spingere al massimo sulla comunicazione perché nella sostanza possono fare sempre meno. leggi tutto
Di turismo si vive? La stagione turistica 2014 e l’economia della Grecia
“La Grecia come la immaginiamo”
Oia è un minuscolo villaggio cicladico arroccato sullo sperone settentrionale di Santorini, cinquecento metri sopra lo sguardo ammirato di chi raggiunge l’isola via mare. L’intero scenario in cui si colloca contribuisce all’entusiasmo per il suo avvistamento, per il contrasto tra il candore abbacinante dell’abitato sferzato dal sole e il profilo cinereo dell’isola, che ne denuncia l’origine vulcanica. Non mentono dunque le guide quando battezzano Oia “la Grecia come la immaginiamo”, cartolina punteggiata di cupole celesti che dal vivo non può lasciare indifferenti. Raggiunto il suo dedalo di vicoli contorti, ci si accorge presto come esso sia ormai completamente occupato da un ecosistema al cui centro si colloca il turista di ogni origine e portafogli. Una lunga teoria di attività commerciali ne ha preso possesso negli anni, a onor del vero con ben maggiore armonia e rispetto di quanto purtroppo riscontrabile altrove nel Mediterraneo. Una capacità di adattamento dimostrata anche nell’attrarre la più recente ondata di avventori dai “paesi emergenti”: a ben ascoltare, qualunque esercente (compresa l’attempata custode della piccola chiesa centrale) sembra essersi impadronito a tempo di record di un frasario fondamentale in russo, cinese e arabo. leggi tutto
Deflazione: quantò si’ bruttà
I timori espressi su queste colonne sul pericolo deflazione si sono materializzati con le notizie sui prezzi in calo (inflazione negativa = deflazione) e sullo stop della Germania il cui Pil nel secondo semestre è sceso dello 0.2%, come l’anemica Italia.
Intendiamoci, sarebbe positiva per l’Italia una dinamica dei prezzi più contenuta che in Germania per recuperare la competitività erosa nei primi due decenni di vita dell’euro con l’inflazione italiana superiore a quella teutonica. Dovremmo però evitare di gettarci in una scivolosa spirale deflazionistica. Avremmo perciò bisogno di un po’ di inflazione in Germania, attorno al 2-3% annuo, e stabilità dei prezzi in Italia. La Germania non sembra però disposta ad un’inflazione al 2-3% annuo. Eppoi un’inflazione zero è rischiosa. Perché implica prezzi che scendono un po’ in alcuni comparti e che salgono in altri. Ma non è facile trattenere i settori dove i prezzi crescono dal farli scendere per rincorrere i consumatori. leggi tutto