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19 aprile 2025
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Libero scambio Europa – Giappone: un patto con tante luci e qualche ombra

Gianpaolo Rossini - 12.07.2017

E’ in dirittura d’arrivo il patto di libero scambio tra Unione Europea e Giappone. Presentato al G20 di Amburgo dal presidente della Commissione Ue e dal premier del Giappone Abe. Dovrà in seguito essere approvato da Consiglio, Parlamento europeo nonché ratificato dai parlamenti nazionali che intendono esprimersi secondo quanto stabilito in maggio dalla corte di giustizia della Ue. Con questo accordo Giappone ed Europa si avvicinano mettendo ordine in un commercio non sempre facile ma in espansione e che vede il Giappone in perenne surplus. L’accordo non è una reazione alla cancellazione dei negoziati per l’area di libero scambio nel Pacifico da parte di Trump. I negoziati iniziarono infatti nel 2013 ed è prevista anche una possibile alleanza strategica (Strategic Partnership Agreement) su questioni come l’ambiente, la sicurezza e la collaborazione in caso di disastri.  L’accordo commerciale tra Ue e Giappone prevede un abbattimento progressivo dei dazi doganali, un’apertura, anche questa graduata su diversi anni, a molti beni che oggi semplicemente non entrano in Giappone, un riconoscimento simultaneo di gran parte delle denominazioni d’origine per prodotti del settore agroalimentare - di grande interesse per l’Italia - l’apertura reciproca degli appalti pubblici alle imprese delle due aree e forme di convergenza tecnica normativa in numerosi settori. leggi tutto

Chi ha paura del protezionismo?

Gianpaolo Rossini - 08.07.2017

Le politiche commerciali riguardano norme, imposte (dazi) e agevolazioni su esportazioni ed importazioni di beni e servizi di un paese. Il Trattato di Roma cancella le politiche commerciali nazionali e attribuisce la materia alla Commissione UE. Nel 1957 l’Italia ha un interscambio - Import + export - sul Pil pari al 30% (nel 2016 è quasi il 50%).  C’è più specializzazione: un settore che esporta molto importa poco e viceversa, mentre oggi  ogni comparto esporta ed importa molto. Negli anni ‘50 scarsi sono i servizi scambiati, limitati al turismo. Le imprese fanno in casa gran parte dei beni intermedi invece di comprarli o produrli ai quattro angoli del pianeta come avviene oggi. Poche multinazionali sono presenti in limitati settori manifatturieri. Oggi sono tante, medie e grandi, in tutti i settori, servizi compresi. Per questo nel 1957 non trova opposizione il trasferimento delle politiche commerciali dalle capitali europee a Bruxelles, con un dazio unico sulle importazioni extra Ue e zero dazi intra Ue. Ne risulta un’unione doganale con libertà di movimento delle persone (perfezionata con Schengen nel 1995) e delle attività finanziarie (massima nell’aera euro) in un mondo di tassi di cambio fissi e trascurabili flussi finanziari internazionali privati.

Molto è cambiato in sessant’anni. Soprattutto la profondità della integrazione internazionale ridimensiona strumenti di leggi tutto

Sulle conseguenze economiche del voto di dicembre

Maurizio Griffo * - 24.05.2017

Lo scorso autunno, nel corso della campagna elettorale per il referendum sulla riforma costituzionale, fra gli argomenti messi in campo vi è stato anche quello delle conseguenze economiche del voto. I fautori del “sì” ricordavano che la bocciatura della riforma avrebbe nociuto alla performance economica del nostro paese, configurando un fattore aggiuntivo di debolezza. I fautori del “no” rispondevano sdegnati, accusando i sostenitori di questa tesi di far ricorso a un indebito catastrofismo, ovvero ricordando che non si poteva approvare un progetto di riforma delle istituzioni in base a una ipotetica incidenza economica. Adesso, a distanza di alcuni mesi dal voto, è forse possibile valutare in maniera più equilibrata l’effetto di quel risultato elettorale sulla salute economica del nostro paese.

Nell’immediato, la reazione delle borse e dei mercati è parsa dare ragione agli anticatastrofisti. Dopo il 4 dicembre, infatti, non c’è stato nessun tracollo. Le borse hanno assorbito la vittoria dei “no” tranquillamente senza alterare il proprio corso. Anche le previsioni di crescita del nostro paese per il prossimo futuro sono rimaste, grosso modo, immutate.

Tuttavia, con il passare delle settimane si sono manifestati segnali tutt’altro che positivi. A gennaio l’agenzia canadese DBRS ha peggiorato la valutazione del nostro paese passandola da A-low a BBB-high. leggi tutto

Europa ed euro da non lasciare

Gianpaolo Rossini - 17.05.2017

Alla fine degli anni 80 del secolo scorso l’Europa dà vita ad un programma pionieristico di integrazione del quale si fa paladina la Gran Bretagna entrata nella allora Comunità da pochi anni, ovvero dal 1975.  Si tratta del progetto del mercato unico europeo (European Single Market) cui lavorano per alcuni anni economisti, giuristi, politologi. Lo scopo è di dare vita ad un’area altamente integrata che possa consentire scambi tra paesi membri della Comunità con una facilità vicina a quella che si riscontra tra gli stati degli Usa.  Si tratta di un grande balzo che cambia registro rispetto allo spirito originario della Comunità che nelle sue prime fasi si afferma con intenti più difensivi, ad esempio nel settore dell’acciaio e dell’agricoltura, piuttosto che in una prospettiva di maggiore apertura e concorrenza. Nei primi anni della Comunità ci sono infatti più timori che speranze. In Italia nella sinistra si fa la conta dei settori che saranno fagocitati da Germania o Francia. Grandi distruzioni di capitale umano e industriale sono previste con enormi costi sociali e instabilità politica. Ma l’eliminazione dei dazi intra europei, completa nel 1969 secondo il dettato del Trattato di Roma, non produce le tragedie evocate da “sinistre” Cassandre.

Le imprese sono le protagoniste leggi tutto

Spese per la difesa federali e titoli del tesoro al portatore per aggredire il debito pubblico

Gianpaolo Rossini - 26.04.2017

Il nodo del debito pubblico rimane tema caldo. Una parte del partito democratico ha avanzato  richiesta di moratoria sulle privatizzazioni. La proposta è stata respinta dal ministro dell’economia Padoan, non si sa se per convinzione o perché la sua posizione non lascia spazio ad alternative, pena una doccia fredda da Europa e mercati. Purtroppo a imporci in maniera pressante e spregiudicata di svendere parti del nostro patrimonio arriva il giudizio dell’agenzia di rating Fitch che ci degrada per l’ennesima volta. La questione è preoccupante perché gran parte delle privatizzazioni in Italia ha provocato un grave danno alle casse pubbliche, che avrebbero dovuto invece risanare, visto che sono stati svenduti cespiti che fruttavano molto di più di quanto non rendano in media i titoli di stato. In più le privatizzazioni sono un’ipoteca sullo sviluppo in quanto hanno prodotto un arretramento in settori chiave come quello delle comunicazioni stradali (si legga di Giorgio Ragazzi I signori delle autostrade edito dal Mulino) e telefoniche fortemente danneggiate dalla scarsità degli investimenti delle nuove proprietà. Queste hanno beneficiato della posizione di mercato privilegiata (le autostrade ad esempio sono un monopolio naturale in cui non è possibile avere concorrenza) per estrarre rendite cospicue spesso finite in avventure finanziarie all’estero. leggi tutto

Italia riprendi a crescere, ma come?

Gianpaolo Rossini - 25.02.2017

L’Istat comunica che nel 2016 la crescita del Pil è dell’1%. Notizia buona dopo anni di stagnazione, ma al di sotto di ciò che vorremmo e condita da una previsione per il 2017 sotto l’1%. Insomma siamo lumache e non recuperiamo il livello pre 2008. Qualche settimana fa ho delineato i motivi della lentezza economica del bel paese. Ora vediamo quali strade percorrere per uscire dalla impasse.  

 

Le chiavi della crescita

La produttività

E’ uno dei nervi scoperti perché dal 2003 al 2015 il prodotto orario per lavoratore in Italia cala da 101 a 98. Per invertire la rotta dobbiamo investire di più (siamo ancora ¼ sotto il livello pre 2008) ammodernando le imprese nel loro cuore produttivo. Ma come fare? Iniziamo dalle migliaia di partecipate da entità pubbliche locali e nazionali, soprattutto “utilities” che godono spesso di posizioni di monopolio locale. Soprattutto nel Nord Italia incassano cospicui utili e quindi hanno risorse per investire. Se le infrastrutture sono così rese più efficienti e moderne possono contribuire alla produttività anche di altre imprese nei servizi e nella manifattura. Devono investire di più anche le imprese privatizzate. Sorprende la concessione di aumenti dei pedaggi autostradali dal 4 all’8% a inizio 2017 in presenza di inflazione da tempo in territorio negativo. leggi tutto

Sono solo sparate di Trump?

Gianpaolo Rossini - 08.02.2017

Trump non perde tempo e dà corso al suo programma più velocemente di qualsiasi altro presidente americano di epoca recente. In economia chiude il negoziato per il trattato di libero scambio nel Pacifico. Attacca Cina, Giappone e Germania accusandole di manipolare i cambi e minaccia dazi doganali. Su un altro fronte nomina alla corte suprema un giovane giudice schierato sul fronte antiabortista che daràuna impronta duratura all’alta corte Usa dato che la nomina è a vita. Sta sbagliando su questi due fronti Trump? O dà corso ad una reazione ormai inevitabile a situazioni deteriorate sfuggite di mano?

Iniziamo dall’economia. Nel corso della storiatensioni e guerre feroci scoppiano per squilibri nei conti con l’estero. Non di rado i paesi cercano di risolvere i  loro guai finanziari con l’estero facendo guerra a chi ha concesso loro credito. La guerra dell’oppio del 1839 è dichiarata dall’impero britannicoalla Cina nei confronti della quale ha un debito insostenibile. La Cina esporta manufatti di qualità e risparmia troppo. L’Inghilterra di Lord Palmerston non regge la concorrenza dell’impero celeste ed è meno formica. Cosa possono vendere gli inglesi alla Cina per colmare il divario? Visto che il made in UK non piace non resta che l’oppio prodotto nei possedimenti reali di Tailandia e Afganistan. leggi tutto

I perché della bassa (o non) crescita del bel paese

Gianpaolo Rossini - 21.01.2017

Il panorama del prodotto interno lordo (PIL) dal 2003

Dal 2003 al 2015 la Germania vede il suo Pil crescere del 36%, la Gran Bretagna del 50%, la Francia del 33%. L’Italia si ferma al 18%. Ovvero circa 1.3% annuo.  Il Pil di un paese si espande per due ragioni: perché aumenta la popolazione, dunque più persone impiegate, e perché cresce la produttività, ovvero ciò che produce ogni occupato.

 

La produttività

Dal 2003 al 2015 il prodotto orario per lavoratore in Germania passa da 96 a 103, in Francia da 94 a 102, in Gran Bretagna da 96 a 102, in Italia cala da 101 a 98. La produttività del lavoro sale perché gli individui sono meglio organizzati nei processi produttivi e perché investimenti in macchinari (robot etc.), infrastrutture (strade, porti etc.), capitale umano (istruzione), comunicazione e logistica, in innovazione elevano la capacità di produrre di ogni soggetto impiegato.

 

Gli Investimenti e la Ricerca e Sviluppo (R&S)

In Germania si investe nel 2015 come nel 2003 il 20% del Pil, in Francia il 22% mentre nel 2003 è il 21%, in Gran Bretagna il 17% come nel 2003, in Italia il 17% mentre era il 21% nel 2003. La spesa scolastica, quella sanitaria (per mantenere il capitale umano sano), quella per mantenere pulito l’ambiente non sono considerate investimento. Lo sono quelle in ricerca e sviluppo delle imprese e del settore pubblico. leggi tutto

Dieselgate e ratings: un’Europa che non vuole diventare adulta

Gianpaolo Rossini - 18.01.2017

Il dieselgate ha per ora toccato Volkswagen ed FCA. Questi due produttori sono colpevoli di avere venduto su suolo americano auto diesel che inquinano troppo, più di quanto non dichiarassero i test ufficiali e i dati forniti dalle stesse case produttrici.  Per i produttori che non vendono negli Usa auto diesel come Renault e PSA i problemi sono marginali. Perché tutto questo? La ragione è che in Europa, come su altri temi, si è ritenuto di percorrere una strada diversa da gran parte dei paesi avanzati. Ovvero si è voluto a tutti i costi perseguire da oltre tre decenni lo sviluppo della trazione basata sul gasolio anche per le auto. Mentre nel resto del mondo sviluppato si faceva il contrario addirittura bandendo in alcuni casi la trazione a gasolio per automobili, come in Giappone, Brasile, Cina, in Europa ci si intestardiva sullo sviluppo dei motori diesel nonostante numerosi studi ne individuavano il grado di nocività ambientale e gli effetti particolarmente gravi sull’apparato respiratorio. Le lobby dei grandi produttori europei hanno spinto non solo per forme di tolleranza ma addirittura per agevolazioni fiscali di questo combustibile per auto. Senza accorgersi che così si condannavano leggi tutto

Con chi va l’Italia in un’Europa divisa?

Gianpaolo Rossini - 24.09.2016

Ripercorriamo il tracciato della parabola europea. Nel 2009 viviamo in un’Europa quasi granitica. Il sogno di tanti è intatto. Il 15 settembre 2008 la FED fa fallire Lehman Brothers che deflagra al centro dei mercati finanziari seminando terrore come un kamikaze. L’economia mondiale è preda a una sincope. Ecco che la Germania si fa paladina di una espansione della spesa pubblica per tutti i partners euro, indipendentemente dal loro debito pubblico, perché occorre reagire al drammatico stop dell’economia Usa. L’Europa agisce e naviga tranquilla. E’ porto sicuro in cui i paesi euro procedono concordi. La BCE aiuta la FED. I nuovi entrati dall’ex Comecon cominciano ad orientarsi nei corridoi di Bruxelles. Sono nella Ue dal 2004 dopo aver cercato a lungo la famiglia europea. Ora si attendono sicurezza e prosperità e vorrebbero non sentire più sul collo il fiato dell’orso russo. Alcuni si muovono per avere le scintillanti monete bimetalliche dell’euro con i loro simboli nazionali. Slovenia, Slovacchia e le tre Grazie Baltiche bussano ed entrano nel club di Francoforte. Anche Albione è ad un passo per abbracciare il baldanzoso euro. Delusa dagli Usa, le sue banche più prestigiose hanno investito nei mercati dei cugini yankee, ma i conti non tornano e i contribuenti britannici devono aprire la borsa per salvare una, leggi tutto