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Elezioni: meno vacuità uguale meno astensionismo
E’ difficile capire, nel battage della comunicazione elettorale per le comunali 2016, quali siano le agende dei candidati che si affannano a cercare voti. La comunicazione è vuota di contenuti programmatici. Si compone soprattutto di “no”, di slogan tristi e triti come “avanti”, “possiamo”. I “si” sono rari. Accompagnati da idee farlocche con un sapore semi goliardico. Il progetto della candidata penta stellata a Roma prevede come alternativa alla rete della metropolitana teleferiche di tipo alpino nel cielo della capitale. La pubblicità di merendine per bambini è più seria ed informativa. Se non basta parecchi candidati cambiano posizione su temi rilevanti a distanza di pochi giorni suscitando sconcerto e disaffezione nei votanti. Un esempio? Il sindaco di Bologna chiede agli elettori un secondo mandato. A quattro giorni dal voto firma per il referendum abrogativo del Job’s Act. Fino a qualche ora prima aveva sostenuto il governo Renzi. Nella maggioranza dei candidati risulta impossibile leggere ciò che vorranno fare se eletti. Certo non è un problema solamente italiano. E tocca la delicata questione della diffusione della informazione in democrazia. Accanto a questa nebbia sui programmi di chi chiede i voti agli elettori manca spesso anche la capacità dei media di colmare questo gap informando adeguatamente i cittadini. Oltreatlantico si osserva un fenomeno che già si comincia a manifestare anche da noi. E’ un po’ figlio della caduta nelle vendite dei giornali. leggi tutto
Generazione perduta. O no?
Media e firme di rango continuano a insistere. E ai giovani tocca di subire quotidianamente un bombardamento fatto di falsità e proclami basati su proiezioni sballate che hanno come effetto unico di trasferire alle nuove generazioni vecchie e nuove paure e in più i rimorsi e i vuoti delle vecchie generazioni. Che invece di risolvere i problemi pragmaticamente non trovano di meglio che fare terrorismo informativo.
Cominciamo con un argomento tanto trito quanto errato, ma che ahimè continua come un vecchio ritornello ad uscire da bocche e penne senza distinzione di parte politica e spesso anche da colleghi un po’ appannati. Si tratta della questione del debito pubblico. Alto o basso che sia è sempre presentato come un peso sulle spalle delle generazioni future. Un macigno che ogni giovane eredita da genitori incoscienti. Una vera tragedia. Ma per fortuna è una balla colossale. Perché? L’Italia, nel suo complesso fatto di settore pubblico e settore privato, è un paese pressoché in pareggio nei confronti del resto del mondo. Ovvero non è indebitata. Lo è all’indomani della seconda guerra mondiale a causa dei costi della ricostruzione e della necessità di importare beni strumentali e di prima necessità in un paese con una base produttiva fortemente danneggiata. Gli italiani adulti “scaricano” gli errori di una guerra crudele e costosissima sui loro figli. leggi tutto
Il 730 precompilato massivo
Si legge sul sito dell’agenzia delle entrate che “Dal 15 aprile è possibile il prelievo del 730 precompilato massivo” per la dichiarazione dei redditi 2015. Quanto virgolettato è una scheggia del linguaggio con cui i cittadini hanno a che fare ogni giorno quando devono comunicare con una amministrazione pubblica come quella della agenzia delle entrate o con altre. Una bella gatta da pelare. Innanzitutto il cittadino deve sapere che “prelievo” in questo caso sta per “scaricare” ovvero, con l’inglese universale dei computer, sta per “download”. La parola prelievo è abbastanza nuova per la tecnologia dell’informazione cui siamo avvezzi. Non è neppure male. Ma un emigrato che deve fare il 730 o una persona con cultura media di fronte a questa parola esita subito. Pensa piuttosto ad un bancomat o ad un test clinico. Per giungere al download ci vuole un po’. E’ curioso ma a volte si ha l’impressione che nel linguaggio della pubblica amministrazione si cerchi in maniera vezzosa, e un po’ dispettosa, di riesumare parole che sono comunemente usate con altri significati imponendo loro segni remoti. Altre volte sembra che ci si butti su veri e propri neologismi che paiono quasi fare il verso al linguaggio del vate D’Annunzio o alla prosa futurista di un secolo fa, senza però averne lo spessore poetico ed artistico. leggi tutto
Deflazione: la fine dei dogmi?
Viviamo ormai con una deflazione conclamata che è entrata con forza nel comune pensare e ha preso il posto di decenni di saggezza popolare legata a come meglio comportarsi con l’inflazione. I prezzi hanno cominciato a innestare la retromarcia in Italia in maniera continuativa negli ultimi due anni. Ma anche negli anni precedenti a ritroso fino alla prima metà del primo decennio del nuovo secolo non si può dire avessero dinamiche inflazionistiche vere e proprie. Da circa venti anni i prezzi in Italia viaggiano tra 1 e 2% all’anno superando solo in un caso il 3% di un soffio. Questo ha mutato la cultura economica inducendo tutti a pensare che l’inflazione è scomparsa e che come un televisore col tubo catodico, ovvero non tornerà. Gli ultimi tre anni hanno convinto anche i più increduli. I prezzi al consumo in Italia sono cresciuti meno dell’1% (in 3 anni) e ormai hanno cominciato un costante cammino sotto zero.
Da dove viene tutto questo?
La risposta è semplice. Ma pesante come una montagna. E’ il risultato del divorzio tra banche centrali e autorità fiscali. Un’idea che risale agli anni 80 del secolo scorso. Buona per disintossicare le economie da inflazione a due cifre che fu debellata con successo. Ma nefasta quando divenne un dogma che viaggia senza meta come un iceberg che si stacca dai ghiacci polari per navigare a sud verso la sua lenta naturale consunzione. Prima della quale però può fare danni e provocare tragedie. leggi tutto
La BCE e lo “stimolo” monetario per la crescita: ma funzionerà?
All’indomani delle decisioni della BCE, di giovedì 10 marzo, di aumentare il programma di acquisto di titoli di Stato e privati e di ulteriore riduzione dei tassi di interessi per le imprese finanziarie i quotidiani hanno titolato con un peana: “La spinta di Draghi all’economia” (Corriere della Sera 11 marzo 2016) e poi “Effetto Draghi, volano le borse” (Corriere della Sera 12 marzo 2016). La seconda notizia non prova la correttezza della prima e la prima è solo l’enunciazione di una speranza.
Quali dovrebbero essere, in concreto, le conseguenze sull’economia dell’espansione della base monetaria e della riduzione dei tassi di interesse per le banche? Creare inflazione, quella ritenuta salubre, intorno al 2 %, o quanto meno evitare la deflazione, il che dovrebbe spingere le famiglie a non rinviare le spese di consumi e le imprese a non procrastinare gli investimenti; spingere le banche a aumentare i prestiti alle imprese e alle famiglie, e quindi stimolare la ripresa di consumi e investimenti.
Peccato che non sia così semplice. Magari bastasse la politica monetaria a “far ripartire” l’economia. Non ci sarebbe nulla di più semplice, visto che dall’abbandono delle monete metalliche l’offerta di moneta può essere liberamente determinata dalle banche centrali. È quindi sufficiente a un board di economisti-politici, dopo aver consultato i dati macroeconomici a cui ci si affida come a degli oracoli, di decidere l’acquisto di titoli (prima di tutto di Stato, leggi tutto
Il crollo del prezzo del petrolio: cause, conseguenze e sfide per l'Europa
Dal Giugno 2014 a oggi il prezzo del petrolio è sceso di oltre il 75%, da circa 110$ al barile fino anche a meno di 30$. Il crollo è stato drammatico ed è andato di pari passo con instabilità finanziaria e turbolenze sui mercati mondiali. Storicamente è l'aumento del prezzo del petrolio ad avere effetti negativi sull'economia mondiale. Ma non per nulla l’economia non è considerata la “scienza triste”. In altre situazioni, infatti, sono le aspettative pessimistiche dei mercati finanziari oppure le previsioni di imminenti recessioni economiche ad avere ripercussioni negative sui contratti petroliferi. Ad esempio, nel 1997 il prezzo del petrolio calò principalmente a causa della crisi finanziaria asiatica e dell'incertezza sulla ripresa economica della regione. Economisti e stampa specializzata, tuttavia, non sempre mettono in evidenza questo doppio nesso di causalità.
La situazione attuale: i principali fattori del calo del petrolio
Le emergenti turbolenze sui mercati finanziari a livello globale sono però solo una delle concause della recente volatilità dei prezzi del petrolio. E’ vero che la domanda di greggio è stata più debole del previsto in Europa e in Asia; tuttavia, secondo economisti come Arezki e Blanchard, solamente tra il 20% e il 35% del recente calo del prezzo del petrolio può essere spiegato da fattori legati alla domanda aggregata. Quali altri fattori sono allora alla radice di un calo così drammatico? Dal lato dell’offerta, il fattore più importante è sicuramente la fine delle sanzioni economiche all'Iran: leggi tutto
Bail-in la filosofia povera di un Europa inacidita e triste
E’ un neologismo nato con la crisi finanziaria di questo secondo decennio del XXI secolo. Bail è la cauzione che si paga per evitare la prigione. Bail out significa che qualcuno paga per salvare qualcun altro che è in difficoltà. Bail in vuol dire invece che chi è in forte sofferenza deve basarsi sulle proprie risorse senza contare su aiuti esterni per venirne fuori. Sembra questa la filosofia che in poco tempo si è diffusa in Europa come un’epidemia. Tutto è partito dal mercato del credito con la “Direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014 , che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento”. Si tratta di uno schema regolamentare, piuttosto corposo e complesso spalmato su 160 pagine[1]. Contiene una forma di sussidiarietà portata all’estremo che impone a banche e ad altri soggetti finanziari ed economici di auto salvarsi con le proprie forze ogni volta che sono in dissesto e sono costretti a risanare. E’ stata applicata per la prima volta alle quattro banche italiane in dissesto dal novembre 2015 (Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria, CariChieti, Carife). La direttiva sul bail in riduce lo spazio ma non impedisce del tutto l’intervento di uno stato a salvataggio di una banca. leggi tutto
Due ragioni per non buttare l’Europa nel vortice della crisi
Predicare in mezzo alle tempeste finanziarie in favore dell’Europa ricorda la preghiera di Paolo durante il naufragio dal quale si salvò approdando fortunosamente a Malta. Certo le difficoltà sul cammino dell’integrazione che sono scoppiate dalla primavera del 2010 sembrano essere tutte ancora lì e averne generate di nuove per le quali la soluzione appare ancora più lontana di prima. Sul piano finanziario l’area euro e il resto della Ue rappresentano un mercato tra i più aperti del globo. Il che può essere un vantaggio ma anche un’ipoteca in momenti in cui le correnti speculative sono travolgenti. Se questo l’Europa non può tornare indietro, occorre sapere che una forte esposizione richiede anche difese adeguate. Per tutti e non solo per i paesi che in un particolare momento sembrano più deboli.
Consideriamo due temi caldi per l’integrazione europea.
Il primo, sottolineato dal presidente della BCE Mario Draghi, e sul quale più volte mi sono soffermato su questo periodico, tocca l’ assicurazione federale sui depositi, fino a 100000 euro, ricordandoci che negli Usa (la FDIC) arriva invece a 200000 dollari. Questa assicurazione, negli Usa, garantisce i depositanti nel caso la banca fallisca. E’ basata su fondi federali e quindi su base geograficamente mutualistica. leggi tutto
Apple a Napoli: cercasi app
Un paio di settimane fa in Italia ha ricevuto molta attenzione mediatica l’incontro tra Renzi e il CEO di Apple Tim Cook nella cornice dei damaschi di Palazzo Chigi e davanti a una tazzina di vero caffè, per dare risonanza al massimo livello all’annuncio della creazione a Napoli del primo centro di sviluppo app iOS in Europa. La stampa e la TV italiane hanno riportato la stessa notizia nello stesso modo, niente più che un’agenzia di 22 righe gentilmente diffusa da Roma dall’ufficio stampa di Apple basato in +44, verosimilmente Irlanda. Siccome il premier Renzi ha detto che “la Apple farà 600 posti di lavoro a Napoli” la notizia è di quelle che fanno esplodere i mortaretti, e dunque siamo andati a cercare i dettagli. Ma non li abbiamo trovati, e non disponendo di contatti privilegiati con le fonti americane, romane o napoletane direttamente coinvolte, abbiamo cercato di farci un’idea in piena solitudine informativa.
Nel comunicato stampa di Apple si parla estesamente della leadership di Apple nell’innovazione e del ruolo maieutico di Apple Store alla crescita di una “vibrant” comunità di sviluppatori di app (1,2 milioni di posti di lavoro in Europa, oltre 75.000 in Italia) e al suo prosperare (10.2 miliardi di Euro di ricavi dalla vendita di app nel mondo). L’iniziativa a Napoli riguarda la creazione di un centro di formazione per fornire a studenti “skills and training” per lo sviluppo di iOS app che concorrano a rafforzare “seamless experiences” entro l’ecosistema Apple generato dalle quattro piattaforme software (iOS, OS X, watchOS, tvOS), leggi tutto
Prezzi del petrolio in discesa: opportunità e rischi
Un piccolo rimbalzo del prezzo del petrolio da 27 a 32 dollari tra venerdì 22 gennaio e inizio settimana non altera molto la condizione dei mercati dell’oro nero che hanno visto le quotazioni scendere dai quasi 110 dollari a barile toccati nel 2012-4 ai livelli del 1979. Come cambiano le prospettive dell’economia mondiale con un prezzo del petrolio tornato ai livelli di quasi 40 anni fa? Chi ci guadagna? Chi ci perde? E come saranno i prezzi nel futuro prossimo?
Iniziamo dall’ultima questione osservando che dal 2008 il consumo di petrolio nel mondo è cresciuto ad un misero tasso annuo dello 0.5%. Dal 2000 l’energia prodotta con le rinnovabili è cresciuta circa 15-16 volte e quella idroelettrica dal 2010 ha compensato con la sua salita la lenta discesa di quella nucleare. Le proiezioni dei consumi per i prossimi 15 anni, per quanto veritiere, ci danno tassi di crescita annuali del consumo di petrolio attorno allo 0.4%. A fronte di nuovi giacimenti scoperti soprattutto in Africa, produzione Usa di shale oil e ripresa estrazione in Iran le previsione di prezzi, a meno di conflitti di larghe proporzioni, sono piatte se non cedenti.
Per capire invece gli effetti del basso prezzo dell’energia, occorre muoversi per grandi aree. Nei paesi produttori del golfo persico le entrate fiscali provengono in gran parte dalle royalty su petrolio e gas esportati. Ad esempio, nel sultanato dell’Oman, petrolio e gas fanno il 72% del bilancio pubblico. leggi tutto