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Cose di un altro mondo?

Paolo Pombeni - 11.10.2023
Guerra Israele

Con quel che sta accadendo in Israele la situazione in Europa e in Italia rimarrà o ritornerà ad esser quella di prima? Difficile pensarlo. La guerriglia terroristica su larga scala intrapresa da Hamas è qualcosa di diverso da quel che avevamo visto sin qui nel lungo conflitto israelo-palestinese: per intensità, per obiettivi e per il contesto in cui si inserisce. Crediamo di poter dire che si intravede un altro mondo rispetto a quello che era stato costruito fino all’inizio del nuovo millennio.

È abbastanza evidente che un’azione di quella ampiezza e di quella portata non è pensabile come nata semplicemente dalla pur agguerrita organizzazione di Hamas. Servivano troppi soldi (mille razzi hanno un costo proibitivo per una componente non statale e limitata) e un addestramento meticoloso delle forze impiegate che hanno anche usato mezzi non usuali come i deltaplani (impossibile che questo sia stato fatto nella striscia di Gaza monitorata costantemente dagli israeliani). Dunque qualcuno o più d’uno ha dato soldi e spazi ed opportunità per prepararsi.

Poi c’è il contesto particolare: tutto avviene nel momento in cui la guerra in Ucraina sembra in un relativo stallo, mentre in Europa cresce una opinione pubblica stanca di sostenere attivamente quella guerra. Al tempo stesso Putin accentuava la presentazione della sua strategia come una lotta contro “l’Occidente e il suo imperialismo”, una ideologia che attecchisce facilmente nel mondo che per convenzione chiameremo islamico e che delinea una lotta di civiltà o qualcosa di simile.

Non ci vogliono strumenti particolari per capire che la prospettiva di una ennesima guerra intorno ad Israele, cui non è interessata solo Hamas, ma anche gli hezbollah in Libano, l’Iran e varie altre componenti di quel mondo induce i paesi europei a frenare la loro politica di invio di armamenti all’Ucraina. Essi hanno gli arsenali ridotti (grazie al cielo non si stanno producendo armi a tutto spiano) e se si affaccia la possibilità di dover usare quanto c’è lì per sé in caso dell’allargarsi del conflitto in Medio Oriente si è spinti a mandare meno mezzi agli ucraini, il che faciliterebbe una ripresa dell’iniziativa dei russi.

Chi ha pianificato l’attacco terroristico ad Israele ha tenuto conto anche di un certo imbarazzo che poteva esserci in Europa a sostenere un governo come quello di Netanyau che non brillava per lungimiranza nella gestione della questione palestinese, ma non ha capito che la ferocia bestiale dell’operazione avrebbe quasi azzerato quelle perplessità (tranne nei soliti ambienti estremisti). In parallelo ha contato sul fatto che proprio un leader in crisi profonda come il Primo ministro di Gerusalemme si sarebbe buttato in una risposta molto dura nel tentativo di salvare la sua posizione quando fosse finita l’emergenza (la scelta di rendere la vita impossibile nella Striscia va in questa direzione). Anche questo complicava le prese di posizione.

Perché tutto questo pone problemi enormi all’Europa e in specifico all’Italia? Per due ragioni. Senza lasciarci andare a previsioni catastrofiche sull’instaurarsi di un conflitto generalizzato che per fortuna non è ancora inevitabile, la situazione di grande turbolenza mette tutti i paesi in una situazione di enorme tensione, il che significa chiusure nel proprio particolare, rifiuto di politiche economiche espansionistiche coraggiose, ma rischiose, possibili ulteriori crisi sul mercato dei carburanti, tanto del petrolio quanto del gas. Segnali in questa direzione vengono evidenziati da molti analisti economici e politici. L’Italia in questo scenario con il pessimo rapporto debito/PIL che si ritrova, nonché con una situazione poco brillante quanto a capacità della pubblica amministrazione di garantire un governo decoroso delle emergenze, è il classico vaso di coccio fra vasi che se non sono proprio di ferro (si veda quel che è accaduto in Germania con le elezioni in Baviera e in Assia) sono comunque di materiali più robusti.

La seconda ragione da considerare è che l’indurirsi delle crisi internazionali porta a radicalizzazioni nelle opinioni pubbliche nonché all’estendersi di queste tensioni nei rapporti fra gli stati del blocco Occidentale. Anche in questo caso l’Italia non è messa bene, ingolfata com’è da polemiche scenografiche fra destra e sinistra, da conflitti che accentuano il ricorso alla demagogia da parte di tutti i campi in gioco, da un ritorno di tensioni fra il groviglio di lobby e di corporazioni che è cresciuto ulteriormente negli ultimi decenni.

Per toccare un aspetto niente affatto marginale, la strategia del cosiddetto piano Mattei per l’Africa che poteva far guadagnare al nostro paese un ruolo di un certo peso in Europa, ma anche in ambito Nato, è messa in crisi se le fiammate dell’estremismo islamico-palestinese non si spegneranno, perché facilmente si trasmetteranno agli stati africani sul Mediterraneo e anche a quelli a ridosso (la recente vicenda del Niger qualche campanello d’allarme dovrebbe averlo fatto scattare). Questo senza pensare a cosa potrebbe succedere nella frontiera fra Libano ed Israele dove è presente una forza d’interposizione dell’esercito italiano. Episodi di guerra che coinvolgessero pesantemente i nostri soldati non sappiamo come potrebbero essere gestiti in un clima esasperato e ideologizzato come quello che riscontriamo quotidianamente.

Una azione di costruzione politica di una qualche sorta di solidarietà nazionale in vista delle crisi che sono all’orizzonte e che naturalmente tutti ci auguriamo non siano troppo pesanti sarebbe una operazione da mettere all’ordine del giorno cominciando a coinvolgere quelle forze intellettuali e sociali che amano più aiutare il proprio paese che rimirarsi allo specchio nei panni teatrali dei condottieri di popoli.