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17 aprile 2024
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Un tramonto della demagogia?

Paolo Pombeni - 02.06.2021
Platone demagogia

Ci si interroga se siamo di fronte al tramonto del dominio della demagogia. Preferiamo questo termine a quello che ci pare più ambiguo di “populismo”, perché mentre una certa dose di appello al popolo è un elemento costitutivo della democrazia, altra cosa è illudere il popolo che, per dirla con una battuta, la colpa sia sempre di un diavolo che il demagogo, persona, fazione o partito che sia, è in grado di scacciare anche solo denunciandolo.

Ci pare indubbio che abbiamo attraversato una lunga fase in cui la demagogia la ha fatta da padrona. Per essere chiari, tanto quella di destra quanto quella di sinistra, anche con un uso spregiudicato di argomenti che erano sufficientemente ambigui per poter essere usati dai due campi. Anzi abbiamo anche avuto un movimento, il grillismo, che ha tranquillamente mescolato demagogia di destra e di sinistra senza farsene alcun problema. I movimenti demagogici hanno raccolto buoni e talora notevoli successi, naturalmente in rapporto alla loro collocazione più o meno “fuori del sistema”, perché non è facile ergersi ad esorcisti del diavolo, se si è sospettati di essere in traffici con esso. Detto brutalmente: se la radice della demagogia è sostenere che chi è al potere ha rapporti stretti con tutti i demoni contro cui ci si scaglia, è evidente la difficoltà per chi è al potere di presentarsi come esorcista. Qualche volta ci riescono, ma ci vogliono doti molto più raffinate di quelle dei demagoghi che fanno le loro intemerate essendo fuori, o pretendendo di essere fuori dal circuito del potere.

Cosa si pensa stia succedendo in questo momento? Molti si convincono che la pesante crisi indotta dall’inaspettato fenomeno della pandemia con le sue conseguenze abbia spinto il popolo a diffidare dei demagoghi, perché ci si è resi conto che il diavolo non si sconfigge urlando esorcismi, ma provando a batterlo sul suo campo. Soprattutto i buoni risultati che al momento si stanno ottenendo nella lotta alla pandemia da parte di un governo di persone che agiscono con razionalità anziché fare propaganda, la sua qualificazione come una squadra formata da “tecnici” (cioè persone con la competenza adeguata rispetto ai problemi che affrontano) sembra avere costretto sulla difensiva la grande truppa dei demagoghi.

Abbiamo qualche dubbio che sia davvero così, anche se ci piacerebbe tanto che lo fosse. La demagogia è un’arte subdola e può facilmente essere impiegata addirittura come una denuncia di sé stessa proprio per continuare ad usarla. Una classe politica corrotta dalla demagogia quando si accorge che la domanda pubblica ha cambiato i propri gusti non esita a vestire i costumi di scena che piacciono al pubblico in quel momento per continuare la sua opera di “guida (perversa) del popolo” (questo demagogia significa).

Prima però di affrontare questo aspetto è opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che intanto in questo momento la demagogia per così dire tradizionale non ha affatto disarmato. Tanto da destra quanto da sinistra c’è ancora un ampio ricorso all’agitazione per l’agitazione, al cercare di suscitare nella gente la convinzione di vivere sottoposta a molteplici “complotti” che mirano a privarla della possibilità di quella che sarebbe una vita migliore, solo che si lasciasse campo libero ai demagoghi.

Basta guardare oltre che a quella commedia dell’arte che sono i talk show, dove un po’ di demagoghi non può mai mancare, a come si stanno costruendo le campagne elettorali per le prossime amministrative con la destra prigioniera della sua ala estrema, e la sinistra che non ha il coraggio di rompere con le sue componenti radicali che la tengono sotto scacco con l’eterna accusa che altrimenti sarebbe socialdemocratici (o, come oggi si dice, “renziani”).

Certo si scorge qualche segnale di ripensamento di questo modo di fare politica, magari tenendo conto della crescita di consenso che stanno registrando Draghi e il suo governo. Di Maio si accorge che usare le gogne mediatiche a prescindere non è una cosa buona, ma subito Conte lo ridimensiona perché non si può dimenticare “l’etica pubblica” (ma sa di cosa parla?). Salvini propone a Letta di fare fronte comune per la proroga del blocco dei licenziamenti, ma subito dal PD lo si bolla come uno che fa continue giravolte. Tutti dicono che le riforme le vogliono fare, ma poi nessuno è disposto a riporre nell’armadio le sue bandierine. Soprattutto, ed è un indicatore importante del permanere di una cattiva politica, nessuno vuole rinunciare a fare dell’elezione del successore di Mattarella una corrida fra i partiti anziché cogliere l’occasione per mostrare al paese cosa può significare un accordo largo per dargli un presidente che rappresenti davvero l’unità nazionale.

I cambiamenti in politica percorrono strade lunghe ed è scontato che quelli che vedono finire la loro stagione resistano con le unghie e coi denti. Dunque possiamo anche sperare che, come ha detto il governatore Visco citando Monnet, siamo in una fase in cui l’Europa (e di conseguenza anche l’Italia) impari dalle sue crisi e cresca grazie ad esse. Siamo appena all’inizio di questo percorso, ma se l’opinione pubblica lo sosterrà abbandonando le sirene dei demagoghi faremo molti passi avanti. Contare solo sulla conversione dei demagoghi ci pare poco realistico.