Il gioco si fa duro?
Non che far funzionare a pieno ritmo la campagna vaccinale o mandare in tempo e in forme adeguate il PNRR a Bruxelles sia stata un’operazione facile. Però Draghi ha potuto contare, sia pure solo in parte, sul clima della cosiddetta “luna di miele” di chi inizia un’avventura politica. E poi c’era un po’ sempre la spada di Damocle di un possibile, per quanto difficile scioglimento della legislatura con rinvio di tutti alla prova delle urne: un esito di cui a parole nessuno ha paura, ma che in realtà tutti temono moltissimo.
Adesso però la luna di miele è finita e l’ipotesi di una conclusione anticipata della legislatura a due mesi dall’inizio del semestre bianco appare surreale. Invece si moltiplicano le decisioni che il governo deve prendere, mentre i partiti sono impegnati in una campagna elettorale per le amministrative che è densa di incognite. Tutto questo crea un clima poco favorevole alle intese che pure sarebbero necessarie.
Ci sono alcuni nodi da sciogliere che sono evidenti e ce ne sono altri che sono meno percepibili. Al primo genere appartengono i piani per le tre riforme che la UE ci impone per dare l’avvio ai finanziamenti del Next Generation UE: giustizia, fisco, pubblica amministrazione (a cominciare dalle semplificazioni). Su tutte e tre abbiamo già visto attivarsi la competizione fra partiti che sono vittime delle narrazioni che hanno sparso ai quattro venti negli anni passati. Perché è inutile nasconderselo: se sostieni per anni che senza una certa impostazione crollerà il palco, poi diventa difficile fare marcia indietro. Dovresti poter contare su leader con una credibilità personale così alta da far digerire agli elettorati qualsiasi cosa e contemporaneamente da tenere sotto controllo il proliferare di fazioni che c’è in ogni partito. Merce rarissima di questi tempi.
Sulla giustizia, l’abbiamo già scritto, c’è lo scoglio dei Cinque Stelle che Conte non è in grado di mettere in riga e che Letta continua a ritenere un alleato indispensabile per cui gli si deve concedere tutto. Sul fisco c’è la solita contrapposizione fra ideologie da fumetti: togliere ai ricchi per dare ai poveri contro diminuire drasticamente le tasse a tutti per realizzare il paese di bengodi. Sulla riforma della pubblica amministrazione sono a parole tutti d’accordo, salvo che quando scendi nel dettaglio ti accorgi che è tutto maledettamente complicato. Esemplare la storia degli appalti: un sistema barocco che serve solo ad intasare i TAR e a non far partire i lavori, ma che non si può riformare perché ogni abolizione di clausole preventive di sbarramento è vista come un favore verso la criminalità organizzata e il malaffare.
Eppure Draghi ha assoluta necessità di realizzare quelle riforme, altrimenti si mette a rischio tutta la macchina dei finanziamenti, ma nessuno vuole abbassare le sue bandierine nel timore che questo risulti pregiudiziale nella contesa elettorale d’autunno. Molti osservatori ritengono che il premier non abbia problemi a tirare dritto per la sua strada lasciando ai partiti lo spazio per dar sfogo a vuoto lle varie propagande. E’ sicuramente così da vari punti di vista, ma da altri la questione è differente.
Perché adesso Draghi deve mettere mano ad una lunga serie di nomine nelle aziende pubbliche e partecipate. Sono posizioni su cui l’attenzione dei partiti è molto alta e su cui si dice che c’erano state spartizioni più o meno informali ai tempi del Conte 2. Si tratta però, almeno per alcune partite importanti come Cassa Depositi e Prestiti e Ferrovie dello Stato, di aziende strategiche per al gestione del PNRR, non solo perché sono destinatarie di quote molto alte del finanziamento europeo, ma anche perché devono investirle in rapporto con vari snodi della presenza dei partiti sul territorio (regioni e comuni, innanzitutto).
E poi c’è la consueta patata bollente della RAI, che, per quanto non più decisiva come ai tempi d’oro, è pur sempre un’industria che muove informazione e consenso, cioè materie vitali per gestire quello che una volta si chiamava “lo spirito pubblico”: una risorsa che non può essere sottovalutata in fasi di ricostruzione.
Potrà Draghi gestire tutti questi passaggi riservandosi il controllo dei ruoli apicali e accontentando i partiti con un po’ di poltrone nei vari Consigli di Amministrazione? Può sembrare semplice sulla carta, ma in realtà qui il gioco si farà duro. Un poco perché con una coalizione così vasta gli appetiti da saziare sono tanti e i posti con maggiore capacità di incidere non sono poi molti. Un poco perché i partiti capiscono benissimo che essendoci alle viste prima o poi una tornata di elezioni nazionali (e il rischio è che arrivino più prima che poi) la necessità di “occupare” posizioni di potere è molto alta e vitale.
Questo può scatenare un ulteriore incremento delle fibrillazioni, uno sciame sismico che oltre tutto sarà amplificato dal fatto che la campagna elettorale per le amministrative da fine giugno, superata la sceneggiata delle primarie PD (che lascerà morti sul terreno, vedrete), entrerà nel vivo e non consentirà più neppure quel minimo di fair play che è rimasto in piedi.
Mattarella e l’Europa faranno da scudo a Draghi e alla sua squadra, ma poi i provvedimenti dovranno passare in parlamento cioè in un contesto che i partiti governano ormai solo relativamente, perché è diventato il campo in cui le fazioni regolano i conti coi loro capi partito (il fenomeno non è nuovo, ma è sempre stato pericoloso). E’ questo uno dei passaggi più rischiosi che ci separano dalla grande prova di fine anno con l’appuntamento per le elezioni quirinalizie.
di Paolo Pombeni
di Francesco Domenico Capizzi *