Ultimo Aggiornamento:
14 dicembre 2024
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A sinistra la politica gira a vuoto

Paolo Pombeni - 10.04.2024
Conte e Schlein

Mentre il mondo appare sempre più costretto a misurarsi con un espandersi di conflitti che rischiano di portarci prima o poi nel vortice di uno scontro globale, nella nostra piccola Italia la politica resta legata alla competizione modesta di tutti contro tutti, senza che si capisca quale sia la vera materia del contendere.

Come spesso accade, ciò è più evidente fra le forze di opposizione, perché quelle di maggioranza, che pure non è che vadano proprio d’amore e d’accordo, sono tenute insieme dai vantaggi che hanno a stare al governo. La presunta esplosione del cosiddetto “campo largo”, in realtà il rapporto fra PD e M5S, tiene attualmente banco, ma, ci si consenta di dirlo, è solo un modo per sfruttare il marketing elettorale in vista dell’appuntamento delle elezioni europee.

Immaginiamo che qualche lettore si stupirà di questa analisi, considerando che la rottura si è avuta a proposito delle elezioni comunali a Bari e di quelle regionali in Piemonte, dunque in due competizioni amministrative. L’obiettivo di Conte però non è quello di rompere una alleanza, ma di sfruttare il solito argomento populista (noi con i corrotti, mai!) nel tentativo duplice di portar via un po’ di voti al PD e magari di richiamare a casa un po’ di pasdaran nostalgici delle intemerate grilline, ma al tempo stesso di tenere in piedi quell’alleanza dovunque possa portare posizioni di sicuro potere. Tanto per chiamare le cose col loro nome, i Cinque Stelle non hanno deciso di uscire dalle maggioranze di governo a livello locale dovunque questo abbia portato loro vantaggi: sono rimasti nella giunta regionale e nella maggioranza della Puglia di Emiliano (che quanto ad imbarcare adepti provenienti dai più diversi rivoli non è secondo a nessuno), ma rimangono anche nei governi e nelle maggioranze di regioni e comuni retti da quel PD che accusano di non essere riuscito ad eliminare “cacicchi e capibastone”.

Dunque si può sospettare che una volta acquisito l’esito delle urne europee Conte tornerà ad una alleanza che per lui non solo è vantaggiosa, perché senza quella non va da nessuna parte, ma anche relativamente facile vista la incomprensibile volontà di una parte del gruppo dirigente del PD (tanto schleiniano quanto di altre appartenenze) di assecondare quella soluzione.

Naturalmente è anche comprensibile che sia così: il PD da solo non ha la forza per resistere all’assalto di una destra-centro che si è saldamente insediata ai vertici del paese e che non ha remore a fare un uso privatistico della distribuzione dei posti in mano al governo (ma, anche questo va detto, sono stati allievi dei precedenti governi di altro colore, che, a parte alcune eccezioni da riconoscere, hanno fatto più o meno lo stesso). Questo ha finito per dare adesso al partito democratico una “doppiezza” da far impallidire quella storica che si imputava a Togliatti: da un lato il rilancio di una vocazione movimentista che tanto piace a quell’opinionismo che ha promosso la vittoria della Schlein; dall’altro il mantenimento di una professionalità nella gestione di ruoli di governo, nella quale ci sta anche un po’ (e a volte anche più di un po’) di utilizzo delle tecniche più spregiudicate per la raccolta del consenso.

Ci permettiamo di osservare che non è che Conte e i suoi possano presentarsi su questo terreno come delle ingenue verginelle. Nei due governi diretti dall’attuale capo politico dei Cinque Stelle si sono distribuiti posti e si sono favorite carriere avendo ben in mente il requisito della fedeltà alla causa, e altrettanto è successo nei non molti casi in cui M5S ha avuto accesso a leve di comando in regioni e comuni.

Oggi dunque Conte punta semplicemente a due obiettivi. Il primo, come già detto, è sia aumentare il proprio bottino elettorale, sia erodere quello del PD alle elezioni europee. Il secondo è smarcarsi dall’alleanza con Schlein e compagni in tutti i casi in cui le prospettive di vittoria alle amministrative siano scarse o nulle: così non solo non si verrà accomunati nella sconfitta della opposizione al destra-centro, ma si stenderà un velo pietoso sul fatto che M5S è probabile vada maluccio in elezioni di quel tipo.

Per rendersene conto basta ricordare che se in Piemonte e in Basilicata, dove la vittoria del destra-centro (anzi in quei casi del centro-destra per una buona performance degli uscenti) pare scontata, i Cinque Stelle stanno per conto loro, in altre realtà dove la vittoria del vecchio centro-sinistra è probabile come per esempio in Emila- Romagna i seguaci di Conte continuano a candidarsi nel contesto del campo largo.

Il PD non sta reagendo bene all’assalto pentastellato. La segretaria prova a fare la faccia truce ed a rispondere per le rime, ma le manca la capacità comunicativa: si sarà visto per esempio che in una occasione di notevole importanza come il comizio di Bari in cui cercava di rintuzzare a muso duro gli attacchi di Conte leggeva un testo: non proprio la postura che ci si attenderebbe da un leader politico alla testa di quello che al momento è ancora il maggior partito dell’opposizione.

Il suo antagonista pentastellato, sulla cui caparbia volontà di rimettere sé stesso a Palazzo Chigi ci sono in giro pochi dubbi, ha ben presente questa debolezza: se Schlein non uscirà molto bene dalla prova elettorale di giugno si potrà aprire nel suo partito una faida interna che comunque vada a finire lo lascerà privo di una guida autorevole. E a questo punto “l’uomo di governo” a disposizione tornerebbe ad essere solo Conte.

Son tutti calcoli cervellotici dettati da circoli politici autoreferenziali: se la situazione internazionale non riesce a trovare una qualche forma di stabilizzazione, non sarà con materiale del genere che si potrà costruire una posizione adeguata per il nostro Paese.