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L’era Merkel al tramonto

Gabriele D'Ottavio - 31.10.2018
Angela Merkel

L’era Merkel finisce così com’è iniziata: dopo un’elezione regionale. Per chi ha buona memoria, la sua ascesa al potere cominciò con una bruciante sconfitta elettorale subita dai socialdemocratici nel maggio 2005 in Nordreno-Westfalia, uno dei Länder più popolosi e ricchi della Germania. All’epoca, la SPD governava il Land da 39 anni e il suo leader nazionale, il cancelliere in carica Gerhard Schröder, decise di ricorrere al voto anticipato. Il pareggio strappato ai cristiano-democratici alle elezioni politiche del settembre successivo e la partecipazione al primo governo di grande coalizione guidato da Angela Merkel si sarebbero dimostrati di lì a poco una vittoria di Pirro. I socialdemocratici non riuscirono ad arrestare l’emorragia di consensi, mentre la cancelliera riuscì in poco tempo a consolidare la sua leadership, gettando le basi per diventare uno dei capi del governo più longevi nella storia della Germania del dopoguerra. 

Tredici anni dopo, le elezioni regionali in Baviera e in Assia sembrano delineare una nuova cesura storica. Il risultato parla chiaro: gli elettori hanno sanzionato duramente i cristiano-sociali della CSU in Baviera, i cristiano-democratici della CDU in Assia e i socialdemocratici della SPD in entrambe le regioni, mandando un messaggio difficilmente equivocabile a Berlino. Secondo un sondaggio dell’emittente televisiva ARD, in Assia addirittura un elettore su due avrebbe votato con l’intenzione di sfiduciare la cancelliera in carica Merkel.    

Dopo il voto in Baviera e quello di ieri nella regione di Wiesbaden e Francoforte, era quasi inevitabile che i partiti della Grosse Koalition si ponessero la questione di come continuare al governo. In tutti gli scenari immaginabili la prospettiva di una prossima fine dell’era Merkel appariva concreta come mai lo era stata finora. I partiti di governo potevano infatti decidere di ignorare il segnale delle regionali, correndo però il rischio, con l’appuntamento delle europee all’orizzonte, di una rapida agonia. Oppure potevano optare per un nuovo inizio, che passasse, innanzitutto, per il rinnovamento della leadership nel principale partito di governo.

Con l’annuncio di oggi (ieri per chi legge) di non ripresentare la sua candidatura alla guida della CDU al congresso di Amburgo nel dicembre prossimo, Angela Merkel ha fatto capire che la prima opzione, oltre che rischiosa, sarebbe stata difficilmente praticabile. Nel caso la cancelliera avesse resistito all’idea di un suo passo indietro, sarebbero stati molto probabilmente gli alleati di governo (e forse anche gli stessi membri del suo partito) a creare le premesse per una crisi, destinata a sfociare in una fine anticipata della legislatura. Soprattutto la SPD di Andrea Nahles è alle prese con una crisi esistenziale e, per evitare l’eclisse, ha bisogno di segnare una netta discontinuità con il passato. Sempre per questa ragione non si può escludere che dopo il rinnovamento della leadership cristiano-democratica, i socialdemocratici pretendano anche un rinnovamento alla guida del governo, approfittando della condizione di debolezza della cancelliera. La storia tedesca, almeno finora, ha insegnato che la leadership del e nel partito di maggioranza è una condizione irrinunciabile per poter guidare il paese.

A un’analisi più attenta, la fine del lungo cancellierato Merkel potrebbe inoltre segnare la fine di un’era ancor più importante dal punto di vista storico: quella dei grandi partiti di massa. Un messaggio in questa direzione arriva dai Verdi, che sono emersi come i veri vincitori delle due elezioni regionali. I Grünen rifiutano categoricamente la definizione di nuova Volkspartei («partiti di massa» o «di tutto il popolo»). I loro leader preferiscono piuttosto presentare il loro partito come Bündnispartei, come «partito delle alleanze», proponendo un’innovativa piattaforma programmatica, ma anche disponendosi a fare delle concessioni per poter guidare il paese all’interno di un governo di coalizione.

Al momento è ancora troppo presto per capire se e fino a che punto il pragmatismo e la proposta politica dei Verdi, che combina europeismo, società aperta e temi come sicurezza e Heimat (la patria), possano contenere la progressiva dissoluzione del tradizionale sistema dei partiti in Germania. In Baviera e in Assia gli elettori hanno inferto dei colpi durissimi, forse fatali, a un sistema politico che nel corso del secondo dopoguerra si era strutturato attorno a due grandi partiti di massa che si erano dimostrati capaci di rappresentare tutti i ceti sociali (o i milieu, come li chiamano i tedeschi). L’impressione è che anche in Germania, come nel resto d’Europa, i ceti sociali non esistano più o siano comunque sulla via del tramonto, proprio come il lungo cancellierato di Angela Merkel.