Le fascinazioni superficiali per gli esempi stranieri
Siamo da sempre un paese che ama rispecchiarsi in quel che avviene nei grandi paesi. È dal Risorgimento che va avanti così: la Francia, l’Inghilterra, poi la Germania, poi gli USA, qualche volta la Spagna, la Cina, con continue entrate e uscite, a volte anche di paesi un po’ strane (ricordate le fascinazioni per Cuba e per il Vietnam?). Ovviamente non è che si prendano in considerazione proprio le complessità di quel che accade altrove, in genere ci si accontenta di assolutizzare alcune impressioni che possono portare acqua al mulino di questa o quella forza politica.
L’ultimo caso è la vittoria di Trump nelle elezioni per la presidenza americana, che hanno infiammato le letture del futuro da parte delle destre e condizionato quelle di molte altre componenti. Non moltissimo tempo fa c’è stata l’esaltazione della vittoria elettorale del “Nuovo Fronte Popolare” in Francia che aveva galvanizzato le sinistre nostrane e i commentatori che le supportano. In quel caso stiamo vedendo che non è che stia andando a finire benissimo, almeno per ora, ma noi non facciamo parte di nessun fan-club per cui sappiamo che i tempi della politica sono più lenti di quel che si pensa.
Tornando a Trump, adesso si scommette a destra che sia venuta l’ora della svolta che ci porterà fuori dall’età dell’esaltazione pseudo culturale ultra radicaleggiante che è sembrata dominare e che ha contagiato non solo le sinistre estreme, ma anche quelle più tradizionali. In parte c’è del vero in questa analisi, non fosse altro che per la banale legge del pendolo che tutto sommato condiziona l’andamento della politica: quando il pendolo ondeggia così forte da raggiungere l’apice su un lato, torna a spostarsi verso il lato opposto. Sarebbe bene che si riuscisse a fermarlo prima che arrivi a toccare il lato opposto.
Detta così è banale, e ce ne scusiamo. Vogliamo piuttosto richiamare l’attenzione su due aspetti, su cui qualche riflessione varrebbe forse la pena fosse fatta. Ci sembra in atto un po’ in generale, ma certamente qui da noi, la tendenza a pensare che l’unico modo di successo nel fare politica sia radicalizzare gli scontri, non lasciare spazio a confronti ragionevoli, perché si pensa che questo insegni la lezione americana. Attenzione, non è così semplice.
Trump ha senz’altro vinto sfruttando paure, ma più che altro stanchezze dell’opinione pubblica verso una corsa a soluzioni mirabolanti per problemi che vengono percepiti come di difficile dominio. Si dirà: ma non è che lui proponga soluzioni credibili. È vero, ma sono soluzioni che per l’immaginario possono essere percorribili, perché non rinviano come quelle contrapposte ad un cambiamento futuro verso un mondo che nessuno conosce e che si fantastica totalmente diverso, ma il ritorno a vecchie tecniche che si suppone abbiano avuto successo in passato. Qui però c’è un dato che ai trumpisti nostrani sfugge: il tycoon è percepito credibile perché è titolare di un successo personale economico apparentemente costruito fuori della politica (così come fu per Berlusconi). I nostri capi partito sono professionisti dell’attività di agitazione, se va bene di amministrazione pubblica, e per questo sono molto meno, o non di rado assai poco credibili come “costruttori”. Per questo l’uso da parte loro della radicalizzazione contrappositiva, siano di destra o di sinistra, ha una presa minore sul pubblico, tanto più quando sono percepibili come semplici prodotti appunto di leadership in un’età di “agitazione”.
Il secondo punto da tenere presente è che sarebbe meglio aspettare di vedere qualcosa di più di quel che sarà la politica di Trump. I discorsi elettorali sono pubblicità (neppure pubblicità progresso, ma assai più pubblicità regresso), poi quel che si potrà fare quando si prende in mano la guida della politica è un altro paio di maniche. Noi lo stiamo vedendo, sia pure in maniera confusa perché naturalmente non è che tutto quel che si è sparso al vento per galvanizzare i rispettivi pasdaran poi si dissolve come nebbia col sole.
Proprio per questo è molto pericoloso sia per la maggioranza, ma specie per il governo, che per l’opposizione, ma specie per il PD, accettare la logica dello scontro angeli e demoni, nell’illusione che Trump possa diventare il surrogato di quel che rappresentò da noi Berlusconi (ci permettiamo di dire che in quel caso non andò a finire bene). Stiamo per affrontare passaggi delicati: il 12 la Corte Costituzionale affronta la questione dell’autonomia differenziata, ci sono le forche caudine della legge di bilancio, ci sarà il delicato passaggio della nomina dei giudici della Corte Costituzionale, si avvierà l’iter per la riorganizzazione dell’ordinamento giudiziario. E sorvoliamo sul fatto che domenica e lunedì si vota per le regionali in Emilia Romagna e in Umbria.
Tutte scadenze che potrebbero portare il nostro sistema politico tanto a piombare nella spirale perversa dello scontro angeli demoni, quanto ad avviare qualche forma di ricomposizione di un equilibrato confronto che ci aiuti ad affrontare il cambio di orizzonte che indubbiamente arriverà con il nuovo assetto della politica mondiale a cominciare da quella americana. Mattarella, con la cautela e il volare alto che gli è tipico, lo ha detto a Pechino, sede non esattamente marginale. La situazione in Francia, ma ancor più quella in Germania dovrebbero indurre tutti a ragionare con impegno.
Qualsiasi sforzo si farà per andare in queste direzioni sarà un contributo, per piccolo che sia, alla costruzione di un mondo migliore, quello che certo non nasce dall’esaltazione per gli scontri, verbali (pseudo ideologici) o peggio ancora fisici.
di Paolo Pombeni