In ginocchio. Il football americano e Donald Trump davanti alla questione razziale
Tra le voci di protesta contro la politica di Donald Trump negli Stati Uniti degli ultimi giorni si sta levando molto forte quella degli sportivi professionisti, in particolare dei giocatori di football.
Una risposta unanime
Durante un comizio in Alabama, venerdì 22 settembre il presidente, con la diplomazia che gli è propria, si è rivolto ai proprietari delle squadre NFL (National Football League) invitandoli a licenziare quei “sons of a bitch” che si inginocchiano durante l’esecuzione dell’inno nazionale e mancano di rispetto al Paese. Il riferimento è al gesto di protesta, meglio sarebbe dire di sensibilizzazione, inaugurato nel 2016 da Colin Kaepernick, al tempo quarterback dei San Francisco 49ers. Figlio di una coppia mista, adottato da genitori bianchi e benestanti,Kaepernick mise il ginocchio a terra durante l’inno per denunciare l’eccessiva brutalità usata troppo di frequente dalla polizia contro gli afro-americani. Diversi suoi colleghi ne hanno imitato il gesto, accendendo così l’ira di Trump al momento della ripartenza della stagione agonistica. Le parole del presidente sembrano non aver suscitato l’effetto (da lui) sperato: giocatori, proprietari e gran parte dei tifosi si sono uniti nella risposta, chi mettendo il ginocchio a terra, chi abbracciandosi, chi rimanendo nello spogliatoio mentre si canta l’inno, richiamando insomma in vari modi il diritto alla libertà di espressione garantito dal Primo Emendamento. Tra tweet caratterizzati dall’hashtag #taketheknee e interviste, poi, la condanna delle parole di Trump è stata molto decisa, condivisa anche da esponenti di spicco del mondo del basket e del baseball.
Kneelers
Realmente inginocchiarsi può essere considerata una mancanza di rispetto? In un articolo davvero interessante, il gesuita americano Thomas Reese ha provato a rispondere, ragionando sulle sostanziali differenze di significato dei gesti simbolici nelle differenti culture. Chi decide il significato di un simbolo? In un’organizzazione gerarchica come la Chiesa cattolica, argomenta Reese, lo decidono i vertici clericali, anche se non sempre con successo. Nel caso della NFL, però, sono coloro che si inginocchiano a spiegare il loro gesto, se ci dicono che si tratta di una protesta contro l’ingiustizia razziale e non di attacco alla bandiera, la loro opinione va rispettata. Accusandoli così duramente, specifica Reese, Trump sembra essersi auto-attribuito il ruolo di papa del Football, solo lui infatti determina il significato del simbolo. Alla fine dei conti, la sua partita pare persa: nel momento in cui molte persone supportano chi si inginocchia e molte altre ne ripetono il gesto, dai professionisti fino ai giocatori delle scuole superiori, si può dire che i kneelers hanno vinto.
Kaepernick
Nel polverone sollevato dal presidente e dalle risposte alle sue esternazioni, Colin Kaepernick è rimasto in silenzio, ma continua a parlare attraverso le azioni, ancora una volta, precisamente attraverso una sequenza di generose donazioni in beneficenza, a favore di una lunga serie di organizzazioni impegnate nell’aiuto di vittime della discriminazione razziale, dell’ingiustizia sociale e della violenza poliziesca. Non si inginocchia, però, o almeno, non pubblicamente. Non che non lo voglia fare, ma nella stagione appena iniziata Kaepernick è senza contratto. Una notizia sportivamente poco sensata, dal momento che si parla di un giocatore di soli trent’anni, capace nel febbraio del 2013 di guidare la propria squadra all’atto finale del campionato nazionale (il Superbowl). Nessuno crede che la sua assenza forzata dai campi sia legata alle qualità sportive, dirigenti interessati a ingaggiarlo lo hanno pure ammesso. I suoi colleghi ribadiscono innumerevoli dichiarazioni di sostegno, tanto da nominarlo miglior giocatore della prima giornata di campionato, da Colin mai giocata.
In seguito alla risposta così compatta alle provocazioni di Trump, chiunque si interessi di NFL si sta chiedendo chi sarà il più coraggioso tra i proprietari a rompere l’ostracismo e ingaggiare Kaepernick. Forse non sarà il più coraggioso, ma quello nella squadra del quale si stanno evidenziando le lacune più grosse. Staremo a vedere. Certo è che Donald Trump si è messo a giocare una partita difficile, eleggendo a nemico un’organizzazione – la National Football League – capace di sottrarre le domeniche alle chiese, come si è detto negli States.
di Paolo Pombeni
di Simona Silvestri *