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Rivedere la didattica in un’ottica interculturale
Pluralità di colori, linguaggi, sonorità, forme, ritmi, codici e fedi connotano ormai lo scenario sociale italiano: un caleidoscopio etnico che riflette identità e appartenenze i cui contorni sono sempre più sfumati per il gioco di mescolanze culturali continue nel lavoro, nel gioco, nella vita.
Anche la scuola è sempre più un crocevia di culture. La presenza di alunni non italofoni, fenomeno in crescita per l'incalzare di problemi economici, religiosi, politici e bellici, pone una sfida pedagogica, culturale e organizzativa assai stimolante ma impegnativa per i numerosi interrogativi e bisogni a cui occorre dare risposta. Il pericolo più grosso – visto che in molte scuole si toccano percentuali di bambini provenienti dall’estero superiori al 60% con una forte concentrazione in alcune classi – è quello delle cosiddette classi “ghetto”. Un fenomeno contrastato dalla maggioranza degli insegnanti, che nonostante i numeri riescono a progettare attività di accoglienza coinvolgendo al meglio la totalità degli alunni, anche se presente in alcune situazioni limite. Altrettanto rischioso – come dicevano alcuni anni fa i sociologi Pierre-André Taguieff e Michel Wieviorka – “è cadere nella “pedagogia del cous-cous” o “folklorizzare” la cultura degli allievi stranieri fino a considerare le culture altre come culture radicalmente irriducibili alla nostra,con le quali è pertanto impossibile qualsiasi relazione”.[1] leggi tutto
A Scuola con i videogiochi: il progetto BYOEG (parte 2)
Nel mese di giugno abbiamo deciso di iniziare l’avventura di BYOEG (Bring your own educational game), ovvero creare da zero dei giochi educativi. La nostra idea iniziale vale ancora oggi: basta con pacchetti confezionati da altri, che mal corrispondono ai bisogni reali della classe, ogni docente ha la possibilità di adeguare la lezione alle potenzialità dei propri alunni, ai loro interessi, realizzando un proprio videogioco.
Il progetto BYOEG ha alcuni aspetti originali:
1) I giochi vengono costruiti dal basso, ovvero dai docenti e dagli studenti
2) Si utilizzano programmi gratuiti dedicati alla realizzazione di videogiochi
3) I giochi sono educativi, ovvero esplicitamente finalizzati a veicolare conoscenze e competenze.
4) I giochi sono veicolati con precise metodologie didattiche (nel nostro caso IBSE, PBL, Problem Solving, Brain storming, Cooperative learning, Learning by doing)
L’utilizzo di un linguaggio quale quello dei videogiochi permette di tenere alto e più a lungo il livello della motivazione, dell'attenzione e della concentrazione e di agganciare anche quei bambini che hanno difficoltà di apprendimento; cambiando il setting della lezione che diventa pratica, creativa, metacognitiva, sperimentale e collaborativa, avendo la possibilità di adeguare lo stile d'insegnamento ai molteplici stili di apprendimento secondo l'ottica di Gardner.
L'uso di Scratch, alla primaria ad esempio, consente di attuare un principio educativo per noi molto importante "Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco!” (Confucio); leggi tutto
A scuola con i videogiochi (parte 1)
Nel linguaggio comune alla parola gioco tutto si associa tranne il termine “serio”. Quando parliamo di gioco ci viene subito in mente quella dimensione ludica, propria dell’età della giovinezza, dove il gioco è un momento in cui , in compagnia (o da soli), si stacca la spina dalle vicende quotidiane, è una dimensione spaziale e temporale, dove è possibile lavorare di fantasia, immaginare scenari nuovi, ovvero una dimensione dove l’ “imparare come si fa scuola” non è spesso contemplato.
E’ possibile imparare giocando e farlo in una dimensione scolastica?
In un comune gioco si imparano strategie, si superano insidie, livelli, si impara giocando. Con il termine serious games si intendono giochi che hanno un chiaro intento educativo, che può essere implicito o esplicito. Nella nostra visione non ha senso parlare di gioco educativo ad hoc, in quanto tutti i giochi veicolano apprendimento, però nel proseguo nell’articolo ci riferiremo al termine gioco educativo, o serious games, quei giochi che non hanno come principale obiettivo lo svago, il divertimento.
Negli ultimi anni l’attenzione dei giochi educativi si sta spostando verso i giochi digitali, leggi tutto
Suggestioni per una scuola del futuro (ma anche del presente…)
Nella prefazione al libro “Nascita di una Pedagogia Popolare”, Elise Freinet, moglie di Célestin, scrive: “E’ il perenne problema del fanciullo, con le pressanti esigenze del suo presente e del suo avvenire, che determina l’accrescersi della massa di artigiani dediti all’opera educativa. Così si foggia senza pretese il bel mestiere dell’insegnante, così si costruisce una pedagogia valida per tutti i figli del popolo e non per una ristretta minoranza di privilegiati”.
Proprio partendo da questa frase, secondo me, ci si deve muovere per cercare di capire che cosa “dovrebbe” essere la scuola e soprattutto cosa occorra realmente ai bambini per imparare. Tenendo conto del contesto in cui viviamo, sempre più caotico e denso di problematiche socio-culturali, è necessario individuare azioni pedagogiche, metodi d’insegnamento e strategie che si adattino al momento attuale. Sicuramente, a differenza di allora – si parla della Francia negli anni ’50 del secolo scorso – i bambini hanno acquisito una maggiore consapevolezza riuscendo a ritagliarsi, forse loro malgrado, una maggiore attenzione.
Se da un lato, almeno in apparenza , sono diventati più autonomi grazie all’avvento delle tecnologie – anche se mi viene da pensare che probabilmente lo erano ancor di più quando sapevano utilizzare le mani per costruirsi giochi da usare in strada – dall’altro, purtroppo, sono sempre più spesso in balìa di un mondo dove il tempo è il vero motore di tutto, con i genitori che tendono ad impegnarsi di più per realizzare i loro sogni di “ex adolescenti” leggi tutto
Riformare la scuola
È stato molto acceso il dibattito che ha animato l’approvazione della “Buona Scuola”, tradottasi nella legge del 13 luglio 2015, n. 107. E c’è da aspettarsi che saranno ancor più intense le discussioni sulle sue modalità attuative. In primo luogo, ci sono già stati gli immancabili ricorsi dei docenti delusi, e altri ne verranno. In secondo luogo, anche le contestazioni sindacali non si placheranno, complice una campagna referendaria ad hoc, volta ad abrogare molte delle nuove disposizioni. In terzo luogo, la legge contiene ampie e importanti deleghe, che il Governo dovrà puntualmente concretizzare.
Sul merito delle innovazioni si potrebbe discutere a lungo, e in realtà le occasioni non sono mancate. Ciò che, però, si fatica tuttora a comprendere è che l’evoluzione storica della disciplina del sistema scolastico è sempre stata, non solo in Italia, la risultante dell’equilibrio tra due diversi poli, e tale sarà anche in futuro.
L’istruzione, lo ricordava con efficacia già Montesquieu, è un essenziale instrumentum regni. Con l’istruzione si pongono le basi per l’esercizio della sovranità, perché se ne alimentano coloro che sono destinati ad esserne, al contempo, i destinatari e i protagonisti. Con l’istruzione, poi, si perseguono anche politiche altre, poiché essa crea i presupposti per la materiale realizzazione di obiettivi della più varia natura, anche di quelli che si rivelino più attuali per il benessere collettivo. leggi tutto
Quer pasticciaccio brutto della scuola
Stato di riforma permanente
Così ci siamo. Salvo improbabili sorprese, il maxi emendamento governativo, approvato in ultima lettura al Senato e che approderà nei prossimi giorni alla Camera, dovrebbe rappresentare l’ultima tappa della riforma della scuola targata Renzi. Diciamolo subito: è una pessima notizia. Perché prima ancora di ogni valutazione di merito sui contenuti, l’emendamento 1934 Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti segna il trionfo di uno sport anche troppo praticato nei palazzi romani: la riforma permanente. Non c’è in pratica esecutivo degli ultimi decenni che si sia sottratto alla voglia di marchiare con il nome dell’ambizioso ministro di turno il settore pubblico, confidando di affermare così il proprio decisionismo e la propria identità politica. La scuola si è sempre prestata particolarmente bene a questo desiderio: riserva di caccia protetta della DC sotto la prima Repubblica, è diventata poi terra di bracconaggio degli esecutivi in cerca di facile visibilità.
E perché no? Chi difende gli interessi (e la dignità) della scuola intesa come luogo di formazione e di merito? I sindacati no di certo, considerato che il loro interesse si esaurisce nel procacciare a più individui possibili un posto purché sia, infischiandosene della competenza, leggi tutto
Scuola, affettività, sessualità: educazione o “diseducazione”?
L’anno scolastico si è concluso con una scia di polemiche sul ruolo della scuola in merito all’educazione all’affettività, alla sessualità e al contrasto della disparità di genere. Tra i molteplici punti discussi vi è il documento OMS del 2010 “Standard per l’educazione sessuale in Europa. Quadro di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie, specialisti”.
Il documento dell’OMS sull’educazione sessuale
In particolare, l’uso nel documento di specifici termini quali masturbazione infantile, amicizia e amore con persone dello stesso sesso, “il mio corpo appartiene a me” ha fomentato inquietudini e allarme, soprattutto in ragione dell’accostamento di questi temi all’infanzia.
Per comprendere meglio il contesto del dibattito, occorre innanzitutto ricordare che le linee guida sono un documento molto ampio di salute pubblica, e non programmi scolastici. Esse non offrono strumenti didattici né guide per l’implementazione di non meglio definiti “corsi di gender”.
Di cosa trattano dunque le linee guida? Sulla base di un’idea di sessualità come fondamentale componente dell’esperienza umana, l’OMS afferma la necessità per bambini e adolescenti di accedere a un’educazione alla sessualità appropriata alle diverse fasi dello sviluppo. L’obiettivo ultimo è formare le capacità di comprendere e rispettare i vissuti propri e altrui, considerate alla base di una vita relazionale equilibrata e soddisfacente. leggi tutto
La cattiva scuola. Ideologismi e demeriti di una riforma (annunciata)
C’è del marcio nella buona scuola
Come è spesso capitato in questi malaugurati anni di riforme permanenti, non è realmente chiaro cosa succederà al settore scuola nei prossimi mesi. La posizione presa dal presidente del consiglio (ma non sposata dal ministro competente) di prevedere un passaggio parlamentare ordinario senza percorrere la scorciatoia del decreto legge ha però suscitato subito l’allarme di una vasta galassia di sostenitori dell’annunciata riforma “per la buona scuola”. Le reazioni sono state a volte scomposte (è il caso di Laura Boldrini che ha dimostrato una volta di più di non saper mantenere un contegno istituzionale), a volte francamente bizzarre. La FLC-CGIL, branca del principale sindacato nazionale dedicata ai lavoratori di istruzione e ricerca, ha accusato il governo di voler procedere troppo rapidamente e senza alcun confronto, portando avanti proposte irricevibili. Contemporaneamente si è lamentata del venir meno delle promesse di assunzione di 100 o 150mila precari, un provvedimento giudicato “urgentissimo”. In sintesi, in casa CGIL si ritiene che qualsiasi cambiamento del sistema scolastico possa essere oggetto di discussione (possibilmente all’infinito), mentre la stabilizzazione di una massa di docenti pari a poco meno di un quarto dell’attuale organico (circa 700mila docenti, inclusi quelli di sostegno) ha carattere di urgenza. C’è del marcio nella buona scuola, come in tutte le riforme scolastiche che si ricordino negli ultimi vent’anni, ma sicuramente il problema non risiede nei tempi della discussione parlamentare. leggi tutto
La centralità della scuola nella mobilità sociale
La mobilità sociale è un motore che deve funzionare non solo quando le società sono “ricche”, ma anche quando sono “povere”. Senza la possibilità, la speranza e l’opportunità della promozione sociale, una collettività muore interiormente. E oggi l’Italia, accanto a una crisi generalizzata, testimoniata dalla caduta della ricchezza reale, è bloccata anche nella mobilità sociale. Sempre più gli avvocati sono figli di avvocati, gli architetti di architetti, i farmacisti di farmacisti, e sempre più i figli rimangono, nel bene e nel male, nell’alveo tracciato dalla famiglia. Questa situazione, di conseguenza, non crea difficoltà per chi si colloca nelle fasce più alte, mentre è problematica per chi sta in quelle medie e medio-basse.
Il concetto di mobilità sociale è molto diverso da quello di ugualitarismo sociale. Non si può affermare di essere tutti uguali, se uguali non siamo: è un tratto di “natura” innegabile. Ciò che conta è garantire l’eguaglianza delle opportunità. Ogni persona deve avere la possibilità di esprimere al meglio le proprie capacità, senza vincoli o barriere che derivino dal suo status sociale o economico. Quindi, non uguaglianza dei punti d’arrivo, ma dei punti di partenza, di quelle che nel linguaggio corrente sono definite come “pari opportunità”. Un concetto ormai consolidato nel nostro modo di vedere e di pensare, ma che nei fatti non garantisce che ciascuno abbia la possibilità, tramite i propri talenti, le proprie competenze e motivazioni, di arrivare a un miglioramento concreto e soddisfacente della propria condizione. leggi tutto
Una scuola immutata (e in mutande)
Essere un docente di ruolo significa svolgere la delicata funzione di formare i cittadini di domani contando sulla dignità di uno stipendio fisso.
In questo senso, pare giusto che #labuonascuola di Renzi cerchi di garantire stabilizzazione al personale precario che da anni presta servizio: ciò potrà consentire a molti colleghi una decorosa progettazione del futuro, nonché l'uscita da una condizione fin troppo prolungata di frustrazione ed incertezza.
Ma una volta ottenuta la stabilizzazione, l'esercito dei docenti italiani neo immessi in ruolo sarà chiamato a interrogarsi - proprio come i veterani del tempo indeterminato - sulla propria identità alla luce della missione educativa 2.0.
Or incomincian le dolenti note - viene da dire.
E in effetti non solo la questione cruciale - trovare un senso alla funzione docente nella società odierna - non pare affatto di scontata soluzione, ma il personale arruolato rischia di apparire già in partenza demotivato, sfinito dalla lunga gavetta di precariato e privo di concrete prospettive di crescita professionale che garantiscano alla lunga partecipazione e impegno.
Lo scenario ipotizzabile, insomma, all'alba della maxi manovra di stabilizzazione, rischia di evocare l'immagine delle truppe esauste passate in rassegna da un Carlo Magno vecchio e rintronato ne Il cavaliere inesistente.
Il docente inesistente
Il docente italiano neo immesso in ruolo non è in effetti l'aitante paladino auspicato dalla Giannini, un eroe fresco di conoscenze, protetto dalla sfavillante corazza delle competenze.
È un essere umano: dunque, in quanto tale, effimero e passibile di precoce invecchiamento da burnout.
Sì, perché - parafrasando Seneca - l'Homo Italicus mentre prova a insegnare non solo impara, ma invecchia. leggi tutto