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Un voto "di secondo ordine"?

Luca Tentoni - 23.03.2019
Elezioni europee 2019

Il tema della natura politica delle elezioni europee è da sempre oggetto di studi e riflessioni. Ce ne siamo già occupati in vario modo in precedenti articoli, ma stavolta sembra opportuno rifarsi ad una classificazione risalente al 1980, cioè relativa alle prime elezioni europee a suffragio universale (quelle del giugno 1979). Reif e Schmitt indagarono sul rapporto fra consultazioni nazionali ed europee. In particolare, operarono una distinzione fra Hauptwahlen (elezioni principali, di primo ordine) e Nebenwahlen (di secondo ordine e minore importanza per elettori e partiti). Se è acclarato che nella prima categoria rientrano le consultazioni politiche (e le presidenziali, laddove si svolgono), nella seconda abbiamo le regionali e le amministrative. Per comprendere se le "europee" siano o meno da considerarsi di secondo ordine, Reif e Schmitt hanno individuato cinque caratteristiche, che ci aiuteranno, una volta resi noti i risultati del voto del 26 maggio prossimo, a classificare questa elezione e ad interpretarla meglio. Un voto è di "secondo ordine" se: 1) l'affluenza alle urne è più bassa che alle politiche; 2) l'attenzione si sposta sui temi nazionali più che su quelli europei; 3) i partiti di governo sono sconfitti; 4) i grandi partiti fanno registrare una flessione; 5) il voto ha conseguenze nazionali (a seconda del tempo in cui si svolge: premia i partiti di governo se in “luna di miele”, però li penalizza se si tratta di “mid-term elections”). Storicamente, abbiamo visto che la prima condizione (bassa affluenza) è stata sempre presente, dal 1979 al 2014; probabilmente lo sarà anche stavolta. In quanto al maggior peso dei temi nazionali, quasi sempre si è guardato a Strasburgo pensando a Roma; c'è da osservare che da circa un decennio alcuni problemi interni sono in relazione diretta o indiretta con quelli europei, o sono comuni a tutti i paesi dell'Unione (la crisi economica, l'immigrazione), perciò "trasversali" - in certo modo - rispetto alla categoria nazionale/europeo. In terzo luogo, guardando i sondaggi, sembra che un partito di governo parta battuto, rispetto alle politiche (il M5s) e uno sia pronosticato come grande vincitore della consultazione (la Lega, che otterrebbe fra il 13 e il 17% dei voti in più rispetto al 4 marzo 2018; un incremento record, all'incirca come quello del Pd che passò nel 2014 al 40,8% dal 25,5% dell'anno precedente, guadagnando un abbondante 15% in valore percentuale); su questo punto, sarà difficile capire se la terza condizione di Reif e Schmitt sarà stata soddisfatta, a meno di non adottare come base per il raffronto la somma delle percentuali dei due partiti che sostengono l'Esecutivo. In quarto luogo, un'elezione è di secondo ordine se i partiti maggiori risultano indeboliti; in questo caso dovremmo considerare, oltre al M5S e alla Lega, anche il Pd - secondo classificato alle politiche - ed eventualmente (ma la scelta è più dubbia e discutibile) persino Forza Italia, arrivata quarta nel 2018 col 14%. L'ultimo elemento - l'impatto sugli equilibri politici del Paese - potrebbe però aversi anche in assenza del voto europeo: in teoria l’esito dovrebbe premiare i giallo-verdi, però ad un anno dalle consultazioni per Camera e Senato la “luna di miele” è finita anche se il giro di boa del “mid-term” è ancora lontano. Se la consultazione del 26 maggio avrà conseguenze politiche, queste saranno da ricercare nel "timbro di validità" che il voto per l'Europarlamento darà o meno ai sondaggi di questi mesi, i quali attestano rapporti di forza già mutati e che potrebbero non essere provocati affatto dall'appuntamento elettorale ma preesistere (come si vede per l'andamento delle regionali dal 2018 in poi, per esempio). In parole povere, se c’è già l'intenzione di far venir meno l'attuale governo o di ridiscutere il "contratto" gialloverde, il voto europeo non farà che ratificare, amplificare o attenuare un dato che però forse è nel conto. In tal caso, le elezioni del 26 maggio sarebbero solo il "casus belli" per iniziative già preparate da tempo, oppure - se questa intenzione non vi fosse - non cambierebbero nulla (se nessuno ha un "piano B" per il dopo-voto, avendo visto per mesi sondaggi dissonanti rispetto alle elezioni del 2018, vuol dire che si è scelto di continuare con questo governo qualsiasi cosa accada). Nel 2014 il risultato rafforzò l’Esecutivo e il Pd (ma soprattutto l'allora presidente del Consiglio Renzi) mentre nel 2009 - pur spostando voti dal Pdl alla Lega - non fece che confermare le posizioni del centrodestra; un discorso leggermente diverso si potrebbe fare per il 1999 e il 2004, anche se i governi del tempo non caddero subito; nel 1994, addirittura, si votò, come nel 1979, a brevissima distanza dalle politiche (nel secondo caso gli spostamenti non furono rilevanti; nel primo, invece, FI si rafforzò molto, arrivando al 30% con l'"effetto Berlusconi"); nel 1984, inoltre, il governo Craxi non ebbe il viatico che voleva (anche a causa dell'inatteso sorpasso del Pci sulla Dc, in gran parte dovuto all'improvvisa scomparsa di Enrico Berlinguer); nel 1989, infine, si era al passaggio dall'era demitiana al CAF (le europee premiarono i verdi e la Lega di Bossi, diedero un piccolo premio al Psi e tolsero poco più d'un punto alla Dc, come sempre in questo tipo di consultazioni). Nel ’79, ’94, 2009 e 2014 i governi erano “in luna di miele” (nel ’79 non c’era ancora un governo) e le forze che lo sostenevano furono premiate; il 1984 è un caso a parte; nel 1989, 1999 e 2004 si era a metà legislatura, quindi gli esiti non brillanti (ma neanche disastrosi) dei partiti di governo rientravano nella norma. Detto ciò, la natura di elezione di secondo ordine va forse attribuita alle europee non solo osservando quante delle caratteristiche di Reif e Schmitt sono state presenti in passato (almeno tre su cinque) o quante ve ne saranno stavolta, ma dando un peso maggiore alla partecipazione elettorale (che misura, in questo caso, l'importanza che l'avente diritto al voto assegna alla competizione) e la quantità di "voto in libera uscita" dai partiti (cioè un aumento della volatilità). Va infine osservato che solitamente si attribuisce una valenza di voto di secondo ordine alle elezioni europee nelle quali aumentano i consensi ai partiti populisti ed euroscettici a scapito di quelli di governo, condizione che stavolta non può darsi (per la presenza, in Italia, di un governo che si dichiara apertamente populista e si dimostra sufficientemente euroscettico).