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18 settembre 2024
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La retorica politica al tempo di Twitter. I cinguettii di Renzi

Maurizio Cau - 05.08.2014
Twitter-hashtag

Dal «parlare stampato» ai pensieri in 140 battute

 

L’oratoria politica italiana, lo ha segnalato con acutezza Gabriele Pedullà (Parole al potere, Rizzoli, 2011), è segnata da svolte che ne hanno modificato a più riprese le forme. Se nei dibattiti parlamentari otto-novecenteschi la parola politica ha ricalcato gli stilemi della parola letteraria (si pensi all’emblematico caso di D’Annunzio o alla debordante ma abilissima arte oratoria di Mussolini), col secondo dopoguerra è maturato un sentimento di sostanziale insofferenza per i modelli tradizionali della retorica politica, logorati da una stagione autoritaria che aveva tradito anzitutto le parole (e con esse le idee che rappresentavano). Non che nella storia repubblicana della prim’ora siano mancati oratori facondi e brillanti (è il caso di Nenni o Dossetti), ma il «parlare stampato» ha perso progressivamente peso, in parte sostituito da una parola più diretta e disadorna, capace di andare - come amava ripetere De Gasperi - al «nocciolo delle cose». Sono venuti poi i tempi del «politichese», quel parlare evasivo ed equilibrista in cui la politica ha amato nascondersi, celando il carattere volubile delle proprie strategie d’azione dietro la ridondanza di perifrasi ambigue e di infiniti distinguo. E dopo il politichese è giunto il tempo di un ritorno alla parola spiccia, la quale più che ancorarsi al «nocciolo delle cose» si è andata plasmando intorno alle strategie della comunicazione pubblicitaria (Berlusconi) o al parlare di piazza (Bossi e i suoi epigoni), complice il profondo cambiamento innescato dal mezzo televisivo, con il conseguente accorciamento dei tempi della oratoria politica, e il repentino mutamento del paesaggio politico seguito al crollo della cosiddetta Prima Repubblica. È stata poi la volta dei social network e lì, dopo qualche anno di uso non troppo fruttuoso di Facebook da parte dei politici nostrani, la svolta di Twitter, un nuovo potentissimo spazio di azione per la parola politica. Nel nostro Paese non è diffusissimo (si parla di 3,5 milioni di utenti), eppure il dibattito politico e la costruzione del discorso pubblico si stanno spostando significativamente su quella piattaforma, o comunque vengono ampiamente influenzati da ciò che si cinguetta in quello spazio comunicativo. Lo dimostra in termini significativi il ruolo che Twitter ha avuto nell’ascesa politica di Matteo Renzi.

 

A colpi di hashtag. Da Palazzo Vecchio a Palazzo Chigi

 

Per un «uomo di slogan» come il premier italiano si tratta di uno strumento di grande efficacia, come descrive un interessante volume apparso in queste settimane in libreria (Matteo Grandi, Roberto Tallei, #ArrivoArrivo. La corsa di @matteorenzi da Twitter a Palazzo Chigi, Fazi, 2014), in cui si mostra come il successo politico di Renzi sia passato in misura significativa anche attraverso il ribaltamento condotto a colpi di tweet del vecchio linguaggio politico, quello che viveva di paludamenti e costruzioni retoriche più o meno avvolgenti, abituato a schivare la schiettezza in nome della mediazione.

Molti detrattori di Twitter scambiano la forma (di espressione del pensiero) col (suo) contenuto. I cinguettii non sono la sede di costruzione di un nuovo pensiero politico, poiché i limiti strutturali di quella forma comunicativa non consentono di articolare riflessioni di ampia portata, ma nonostante l’esiguo numero di battute a disposizione ogni cinguettio segna (almeno in potenza) l’avvio di un frammento di discorso che, attraverso rilanci, retweet e repliche, sa espandersi ben oltre i 140 caratteri, contribuendo alla costruzione del tessuto narrativo attorno a cui si costruisce il consenso politico. L’hashtag è l’unità narrativa elementare di questo racconto, tanto che il linguaggio politico contemporaneo si sta in parte rimodellandointorno alla sua forza espressiva fatta di brevità.

L’ascesa politica dell’attuale Presidente del Consiglio deve molto a questo nuovo modello della discorsività pubblica e allo storytelling asciutto ed emozionale che lo caratterizza. Renzi ha compreso molto bene che le regole della comunicazione politica non sono e non possono essere più le stesse e che il superamento dell’esperienza politica precedente passa anche attraverso nuovi modelli di organizzazione e comunicazione dell’azione politica. È probabilmente l’unico politico italiano a usare Twitter con piena consapevolezza, tanto che una parte non secondaria della sua strategia comunicativa (e del suo appeal politico) passa dall’uso dell’uccellino azzurro. Non a caso è lui a gestire il suo profilo, che per spavalderia e immediatezza ne ricalca in buona misura il carattere. Non un semplice strumento per postare proclami, ma uno spazio per creare interazione con l’elettorato e per orientare l’agenda politica. I numerosi hashtag lanciati da Renzi fotografano le tappe della sua ascesa: #coseconcrete, #altrofilm, #lavoltabuona, #proviamoci, #matteorenzirisponde, #noalibi sono alcune delle tappe della rivoluzione digitale applicata alla politica con cui Renzi ha dato una spallata al sistema mediale della politica nostrana, senza concessioni alle belle lettere ma con un parlare schietto che molta parte dell’elettorato sente affine al proprio orizzonte culturale.

Che non si tratti di aspetti secondari lo dice la nervosa cronaca politica di questi giorni, in cui il confronto tra il premier e le opposizioni è avvenuto a suon di tweet, pontamente rilanciati, discussi e sezionati da stampa e tv. Cinguettii contro la pioggia di emendamenti caduta sulla riforma del senato, contro le accuse di autoritarismo lanciate da Grillo, contro le critiche per i tagli agli stipendi della Camera; una piccola offensiva a colpi di 140 battute che ha indotto Filippo Sensi, portavoce del premier, ha twittare a sua volta - a metà tra il serio e il faceto - «Ok, ok, ora levategli Twitter, per favore».