Se bastasse una sentenza …
Non è un sistema sano quello che ritiene che una sentenza di assoluzione in secondo grado per Berlusconi possa cambiare l’assetto del nostro futuro politico. Quel che è accaduto è comprensibile, ma non risolve certo i nostri numerosi problemi.
Una società che aveva spettacolarizzato la giustizia, facendo del “processo” la via maestra per la ricerca della giusta strada per uscire dai nostri guai, si scopre ora vittima del meccanismo che ha creato. I processi infatti non sono stati solo quelli delle aule dei tribunali di vario ordine e grado, ma anche quelli televisivi nel diluvio di talk show – zuffa che ci ha afflitto per più di un ventennio, perché in essi si è replicato alla nausea il giochetto dialettico accusa-difesa, con esponenti sempre più estremisti in entrambi i ruoli. Da Tangentopoli in avanti il grande sport è stato questo e dunque è inutile stupirsi se la vittoria o la sconfitta di una parte sia poi interpretata come una sorta di giudizio di Dio.
Forse (e sottolineiamo forse) siamo arrivati alla stanchezza per questo genere di spettacoli. La sentenza d’appello di Milano, più che ad una logica di “pacificazione nazionale”, del tutto impropria in quella sede, sembra ispirarsi ad una ripresa del principio che i giudici si pronunziano su fattispecie previste dalla legge come reato e non su comportamenti che possano essere riprovevoli alla luce di altri parametri. Non “santificano” gli assolti come non dovrebbero “demonizzare” i condannati: accertano semplicemente se si sia violata o meno una certa norma in rapporto a dei fatti specifici.
Dunque per Berlusconi la sentenza di Milano non è un lavacro, né certifica la “bontà” della sua condotta, ma semplicemente che essa non era penalmente rilevante. La richiesta di commissioni parlamentari di inchiesta sulla sua caduta è risibile, perché Berlusconi non è caduto per un giudizio di tribunale (che fra il resto non c’era al momento della fine del suo governo), ma per un giudizio di incapacità politica e di inaffidabilità personale che veniva dalle classi dirigenti interne ed internazionali, nonché dalla drammatica sfiducia dei mercati nelle sue capacità di direzione della crisi.
Quel giudizio politico è stato sino ad ora confermato dall’andamento dei trend elettorali e dalle vicende di sbandamento del blocco di centro-destra. Immaginarsi che questo panorama muti per effetto di una sentenza intermedia di assoluzione (per correttezza va ricordato che c’è ancora da passare, quasi inevitabilmente, per il vaglio della Cassazione) è rischioso.
Cosa possiamo dunque aspettarci? Indubbiamente un certo ripensamento della posizione dei pasdaran delle due tifoserie contrapposte. Non che quella sia gente che molla facilmente, ma oggi come oggi sembra che una certa voglia di mettere tutto nelle mani del confronto all’ultimo sangue fra angeli e demoni sia nettamente in fase calante. Se il trend si confermerà e si svilupperà positivamente la politica italiana conoscerà inevitabilmente una nuova stagione.
A guardare le cose dall’ottica odierna sembra che sia in crisi anche il tentativo di Grillo & Soci di strappare dalle mani degli avversari l’impresa della costruzione di patiboli pubblici su cui far salire, equanimemente, berlusconiani ed anti berlusconiani, dipinti come i famosi ladri di Pisa che di giorno litigano e di notte vanno a rubare insieme. Lo stesso, più o meno, si può dire per la nuova Lega stile Salvini. Con un orizzonte del futuro sempre più incerto, con una situazione internazionale che si ingarbuglia per non dire di peggio, nell’assenza di leadership esterne a cui guardare, il paese è invece costretto a puntare su sé stesso ed a convincersi che o si trova un equilibrio sufficiente a gestire questo passaggio difficile, o si finirà per essere travolti da esso.
Renzi ha da tempo intuito che sarebbe arrivato questo momento e non si fa cogliere di sorpresa, ma adesso deve fare i conti con le priorità per cui ha optato. La riforma istituzionale poteva sembrare un buon mezzo per mostrare che si può “cambiare verso” in termini ragionevoli: infatti è uno di quei casi in cui, almeno apparentemente, una volta portata a casa la legge il problema è risolto. L’intervento in economia invece richiede tempo e nessuno crede che far approvare una legge porti al risultato, ma aspetta di vederlo in atto.
Solo che è cresciuto il rischio è che la “velocità” (relativa) delle riforme istituzionali non riesca ad evitare deragliamenti. I famosi “sassi sulle rotaie” di cui ha parlato Renzi sono una metafora azzeccata: in fondo, a volte, per mettere in crisi macchine poderose bastano anche mezzi modesti alla portata di alcuni irresponsabili. La tenaglia fra grillini e destra, con il supporto di un po’ di guastatori di sinistra, è un pericolo reale ed è una strategia che fa comodo a tutti quelli che vorrebbero guadagnarsi, a qualunque costo, lo spazio per ricostruire un sistema feudalizzato in cui alla fine tutti hanno qualche carta da giocare.
E’ una partita perversa già vista nel dopo Tangentopoli. Se si potesse evitarne la ripetizione questa volta, il paese avrebbe da guadagnarci.
di Michele Marchi
di Paolo Pombeni