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Riformare per valorizzare. Verso un nuovo assetto del sistema culturale italiano?

Maurizio Cau - 22.07.2014
Dario Franceschini

Il messaggio che giunge dalla recente presentazione del rapporto annuale di Federculture parla chiaro: pur contando su un patrimonio artistico, storico e paesaggistico di straordinaria ricchezza, in ambito culturale l’Italia non si può permettere di vivere di rendita. Fino a quando la politica non riserverà al comparto culturale e turistico l’attenzione che merita, intervenendo con politiche incisive capaci di rilanciare la crescita in uno dei settori economici più rilevanti, non sarà possibile rovesciare le sorti di una situazione dai contorni avvilenti e paradossali, quelli di un Paese incapace di mettere a frutto l’enorme potenziale di crescita su cui può contare.

 

La sofferenza del sistema culturale in cifre

 

I numeri parlano chiaro e sottolineano quanto negli ultimi anni il sistema culturale sia stato un comparto da sacrificare in nome dei risparmi di bilancio, ben più che un volano per rilanciare la crescita. Invece di riqualificare la rete di servizi per migliorare gli aspetti informativi, comunicativi, ricettivi, si è pensato anzitutto a tagliare le risorse per la cultura: gli investimenti di Stato e amministrazioni locali sono così diminuiti negli ultimi dieci anni del 27,4%, con la previsione di un ulteriore calo del 3,14% nel prossimo triennio. Gli investimenti privati (calati tra 2008 e 2013 del 41% e risaliti di qualche punto percentuale solo negli ultimi due anni) e il calo di attenzione da parte delle fondazioni bancarie (un buon 30% in meno di erogazioni nell’ultimo lustro) non hanno certo aiutato a riequilibrare una situazione dai contorni drammatici, ulteriormente aggravata dal calo di consumi culturali registratasi negli ultimi anni (un calo del 3% annuo della spesa culturale da parte delle famiglie, con un tracollo del 21% della spesa per le mostre).

In un contesto così disastrato, le misure approvate recentemente dal governo sembrano segnare un piccolo ma significativo momento di discontinuità (se ne parlava qui http://www.mentepolitica.it/articolo/eppur-si-muove-il-sistema-culturale-italiano-ai-tempi-della-crisi/93). Un nuovo promettente (almeno sulla carta) tassello sembra giungere dalla riorganizzazione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo annunciata nei giorni scorsi dal ministro Franceschini, il cui attivismo si sta rivelando una sorpresa per molti. 

 

I volti della riforma: luci e ombre

 

Tre, in sintesi, le leve su cui sembra orientata l’azione riorganizzativa del MiBACT: una semplificazione della macchina ministeriale (attraverso il ripensamento del sistema delle soprintendenze e il loro coordinamento con le direzioni generali di competenza e con i segretariati regionali), un ripensamento delle strutture museali (con l’attribuzione di maggiore autonomia – finanziaria e di indirizzo – ai direttori), un’integrazione tra cultura e turismo (con la trasformazione delle direzioni regionali in segretariati amministrativi periferici e misure per potenziare le competenze regionali in ambito turistico).

Sulla carta le riforme prestano sempre il volto più seducente, e tocca aspettare di capire attraverso quali vie questi intenti riformistici troveranno realizzazione, ma un dato positivo va sottolineato fin d’ora, ed è quello della preferenza che la dimensione riorganizzativa del sistema sembra aver preso rispetto alla razionalizzazione della macchina perseguita attraverso tagli lineari, lo strumento che dell’immobilismo politico e organizzativo sono stati negli anni l’arma prediletta.

Un buon disegno di riforma non garantisce, in altre parole, la sua piena praticabilità, ed è facile pensare che alcune partite, si pensi all’accidentato percorso verso un’autonomizzazione dei maggiori musei nazionali e alla stessa ridefinizione dell’architettura organizzativa delle soprintendenze, segneranno cammini assai incerti, perché si troveranno inevitabilmente ad essere gestite, almeno in parte, da quelle componenti della macchina burocratica ministeriale che in questi ultimi anni non ha brillato per dinamismo e creatività. Il problema, in altre parole, è quello – classico – del rapporto tra la forza di indirizzo esercitata dalla politica e la sua concretizzazione da parte delle strutture burocratiche.

La novità, di non poco momento vista la tradizionale evanescenza dell’indirizzo politico in materia culturale, è che il governo manifesta una chiara volontà politica e sembra intenzionato a snellire gli apparati ministeriali puntando sulla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale nazionale, ma sulle effettive possibilità di riuscita di questo vigoroso approccio decisionista (il confronto con le varie parti in gioco non sembra essere stato, in linea con quanto accaduto per altri disegni di riforma avanzati dal governo, particolarmente articolato) non ci si può esprimere anzitempo. Del resto i tentativi di riforma nel settore dei beni culturali in questi anni non sono affatto mancati (ben cinque in dieci anni) e gli esiti non sono stati certo dei migliori, a dimostrazione del fatto che la riorganizzazione delle strutture può poco se con le geometrie della burocrazia non cambia anche la cultura di chi quegli apparati dello Stato li guida e li governa.