Questione italiana, questione europea
Ci sono due affermazioni che circolano abbondantemente e sulle quali è bene soffermarsi a riflettere. La prima è che in questa campagna per l’elezione del parlamento di Bruxelles-Strasburgo si è parlato poco, o addirittura quasi per niente di Europa. La seconda è che i risultati del voto di domenica 25 maggio non sarebbero un test sulla politica italiana. Sono due affermazioni vere solo molto parzialmente.
E’ naturalmente sotto gli occhi di tutti che di questioni europee non ha parlato quasi nessuno, a meno che non si vogliano considerare argomenti in questo campo le varie sciocchezze che sono circolate sull’uscita dall’euro e sulla restaurazione di una non meglio specificata sovranità nazionale. C’è però da chiedersi se c’erano davvero a disposizione dei politici impegnati nella campagna elettorale argomenti “europei” in grado di muovere l’interesse di una platea vasta. Chi pensa che potesse esserlo il potere, peraltro abbastanza incerto, di queste scelte elettorali di designare il vertice della Commissione, evidentemente non vive in mezzo alla gente normale che per l’elezione del successore di Barroso ha lo stesso trasporto che potrebbe avere per la nomina di un nuovo vertice, che so, della BBC. Può non essere giusto, ma è un fatto che la Commissione non viene considerata una sede di rappresentanza della democrazia.
Aggiungeteci il fatto che le liste di candidati sono state fatte da tutti i partiti a prescindere dall’obiettivo di mandare a Bruxelles-Strasburgo gente che potesse avere i numeri per esercitare una leadership “transnazionale” (le eccezioni sono pochissime) e capirete perché non parlare di Europa sia stata la scelta obbligata da parte di chi era interessato a farsi almeno ascoltare. Ovvio che invece di Europa parlassero coloro che usavano quell’argomento in funzione di capro espiatorio per indicare alla gente il “colpevole” dei mali di oggi.
Perché l’Italia è oggi una “questione europea”
In realtà la scelta che gli elettori compiranno ha una valenza europea maggiore di quanto molti non realizzino, e ciò proprio perché in realtà si finisce per “testare” quanto sia radicato il cambiamento politico che si è determinato dopo i risultati complessi delle ultime elezioni politiche con quel che ne è seguito. I nostri partner della UE non sono affatto disinteressati a capire come stanno le cose o come almeno si può presumere che stiano, così come disinteressati non sono gli uomini dell’economia e della finanza internazionale e in generale le classi dirigenti dei grandi paesi.
Come dicevamo in apertura, a parte Grillo, che ha gridato ai quattro venti che il voto del 25 maggio butterà all’aria il tavolo della politica italiana, sia Renzi che Berlusconi hanno cercato in forme diverse di ricordare che il risultato di quelle urne non potrà incidere sugli equilibri politico-parlamentari. Formalmente è vero, sostanzialmente no. Infatti ciò che ci si aspetta di capire dalle scelte degli elettori è da un lato quanto Renzi abbia sfondato nello smuovere la tradizionale viscosità del nostro sistema elettorale e dall’altro quanto sia forte ed eventualmente irreversibile la perdita di potere del partito di Berlusconi.
La lettura che si darà del peso da attribuire a Grillo, dipenderà infatti da quella che si farà per questi due fattori. Grillo infatti, anche se raggiungesse una percentuale notevole, non sembra in grado di poter aspirare al governo, a meno che non possa aggregarsi qualche altra forza, ma ciò può avvenire solo con uno sgretolamento del PD che a sua volta è possibile solo se Renzi uscirà fortemente penalizzato dalle urne.
Il futuro del sistema politico italiano
Se Renzi riesce anche solo a “tenere” in modo convincente o, meglio ancora, se guadagna un poco, si apre un nuovo scenario. Poiché anche in questo caso è dubbio che possa fare da solo, diventa determinante il risultato di Berlusconi. Se infatti le urne segnassero un suo chiaro declino, non gli resterebbe altra scelta che la confluenza almeno temporanea su una collaborazione di qualche tipo con Renzi in funzione anti Grillo (e non a caso l’ex Cavaliere ha passato le ultime settimane a demonizzare per bene i leader del M5S): nascerebbe così davvero un “nuovo centro-destra”, probabilmente con un Berlusconi marginalizzato e con un recupero di rapporto coi transfughi di Alfano. Qualcosa di simile a quella ripresa di rapporto fra PSDI e PSI che ci fu come premessa all’avvio dell’esperimento di centro-sinistra fra fine anni Cinquanta ed inizio anni Sessanta (il parallelo non so quanto porti bene, ma è abbastanza così).
Si aprirebbe in questo modo una nuova stabilizzazione politica lungo un asse questa volta sinistra- centro(destra). Lasciate perdere la simpatia maggiore o minore che questa formula può ispirare a chi guarda alla politica con criteri di purezza ideologica: certamente alla UE una stabilizzazione della situazione italiana interessa eccome, così come interessa anche di più una marginalizzazione dei populismi di Grillo e compagni.
Per contare in Europa, specie con rappresentanze in quel parlamento non proprio di straordinario profilo, l’Italia ha bisogno di una stabilizzazione politica e a sua volta la UE ha bisogno di evitare che uno dei paesi fondatori finisca per diventare una irrecuperabile mina vagante.
di Paolo Pombeni
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