Qual è la posta in gioco? Italia e Germania alla vigilia del voto
Domani si vota. Ma qual è la posta in gioco? Proviamo a rispondere prendendo per buoni e comparando i messaggi veicolati dalle campagne elettorali di due grandi paesi come l’Italia e la Germania. In Italia si è parlato assai poco di Europa, un po’ più dei «cattivi tedeschi» e dell’euro, molto dei politici italiani corrotti e moltissimo di Beppe Grillo e Matteo Renzi. In Germania non si è parlato quasi per nulla dell’Italia (ad eccezione delle sconcertanti offese di Berlusconi e Grillo), molto poco dell’euro, un po’ più d’Europa e dell’antieuropeismo montante fuori dai confini nazionali, molto di Martin Schulz ma assai meno di Jean-Claude Juncker.
Il destino incerto del governo Renzi
Sebbene si voti per il Parlamento europeo, la narrazione accreditata dalla campagna elettorale italiana è che dal risultato di domani dipenderanno soprattutto le sorti del governo Renzi. «Più che elezioni europee sembra il secondo tempo delle politiche dello scorso anno» ha sintetizzato efficacemente Lina Palmerini sulle pagine de Il Sole 24 Ore. Queste le principali previsioni/speculazioni sul dopo voto. Se il governo Renzi dovesse ottenere l’investitura elettorale che ancora gli manca, potrà forse aspirare a portare a termine la legislatura. D’altra parte, le effettive possibilità di realizzare le riforme annunciate, a cominciare dall’Italicum, non dipenderanno solo dalla performance del Pd, ma anche dai risultati degli altri partiti. In particolare, in caso di una sconfitta di Forza Italia e degli alleati di governo del Nuovo centrodestra il cammino delle riforme condivise potrebbe diventare ancor più impervio di quanto non sia già. Le cose per il governo Renzi si potrebbero complicare ulteriormente, qualora il Partito di Grillo dovesse ottenere un successo elettorale superiore alle aspettative. A quel punto tenere a bada solo con la «speranza» la «rabbia» che il Movimento 5 Stelle intercetta e alimenta potrebbe diventare molto difficile.
Le disarmanti certezze della Grosse Koalition
In Germania, invece, la campagna elettorale è stata condotta nella consapevolezza generale che il voto europeo non avrà alcuna ricaduta sulla tenuta dell’attuale governo di grande coalizione. Stando agli ultimi sondaggi, l’esito di domani dovrebbe confermare, salvo qualche piccolo scostamento, gli equilibri emersi dalle elezioni politiche del settembre scorso. I cristiano-democratici vengono dati di poco al di sotto della soglia del 40%, i socialdemocratici intorno al 26%, i verdi all’11%, la sinistra radicale al 9%, l’Alternativa per la Germania al 7%, i liberali al 4%. L’assenza di ricadute sugli equilibri della politica interna spiega anche perché in Germania i toni della campagna elettorale sono stati molto meno accesi che in Italia. Della moneta unica poi si è parlato pochissimo, anche perché tutti i partiti attualmente rappresentati al Bundestag (esclusa quindi l’AfD, la formazione anti-euro nata nel febbraio scorso) ritengono che l’uscita dall’euro avrebbe un prezzo insostenibile dal punto di vista politico, economico e culturale. Rispetto all’Italia si è parlato invece un po’ più di Europa, anche e soprattutto grazie all’attivissimo Martin Schulz, il candidato del Partito socialista europeo alla presidenza alla Commissione europea, che ha portato la Spd a incentrare la campagna elettorale sui temi di rilevanza europea. I cristiano-democratici tedeschi hanno invece preferito investire nella popolarità della Cancelliera e della sua azione di governo più che sul candidato del Partito popolare europeo, Jean-Claude Juncker. D’altra parte, sulle questioni fondamentali le posizioni di Schulz e Merkel non sono sembrate poi troppo diverse tra loro, a fronte di un movimento eurocritico transnazionale che contesta apertamente il funzionamento dell’eurozona, l’operato della Bce e delle altre istituzioni europee e soprattutto il ruolo svolto finora dalla Germania. Forse è anche per depotenziare i futuri europarlamentari critici che la Corte costituzionale tedesca si è premurata di ribadire la distinzione tra Parlamento nazionale e Parlamento europeo, dichiarando incostituzionale lo sbarramento della legge elettorale per le europee. Pur riconoscendo al Parlamento europeo importanti e crescenti poteri di controllo nei confronti della Commissione europea, tali poteri per la corte di Karlsruhe non sono tali da equipararlo al Parlamento nazionale, dove invece – così recita la sentenza – «è necessaria la formazione di una maggioranza per eleggere e sostenere nel tempo un governo funzionante».
La posta in gioco
Dall’osservatorio tedesco si capisce bene che quella veicolata dalla campagna elettorale italiana è una narrazione molto parziale. In ballo non ci sono solo le sorti del governo Renzi. Domani si vota per i rappresentanti del Parlamento europeo e indirettamente anche per i candidati alla presidenza della Commissione europea. In gioco ci sono, dunque, gli interessi nazionali di tutti gli stati membri dell’UE, che non sono, come del resto non lo sono mai stati, necessariamente e perfettamente coincidenti tra loro. I tedeschi i loro interessi li difendono da par loro, formando una grande coalizione a difesa di ciò che essi considerano irrinunciabile e arginando le forze antisistema. Come gli italiani intendano difendere i loro interessi invece è meno chiaro, soprattutto se domani si recheranno (o non si recheranno) alle urne pensando che in gioco ci sia solamente il destino dell’attuale governo.
di Paolo Pombeni
di Michele Marchi
di Gabriele D'Ottavio